Uno spettro si aggira in questi mesi per la città. E’ il progetto “Si può fare”. Elaborato da un ingegnere, ha trovato l’immediata adesione di diversi cittadini che hanno dato vita al movimento che si definisce goliardicamente Popolo d’ Himera. L’idea è quella, in estrema sintesi, di una riconversione turistica dell’agglomerato industriale utilizzando i 200 milioni di euro messi a disposizione dall’accordo di programma firmato fra il Ministero dello Sviluppo Economico
e la Regione Siciliana per la reindustrializzazione dell’area. Un’idea semplice, per alcuni versi banale, che non può non suscitare immediata adesione.
Chi non vorrebbe vivere in un territorio senza il fumo delle ciminiere, senza rumori, senza scarichi industriali, con folle di turisti che apprezzano il nostro patrimonio artistico, le nostre spiagge, i nostri beni naturali e soprattutto lascino qui i loro soldi? Elementare, Watson! Verrebbe da dire. Ma questo è un’interessante dibattito tra amici al bar o argomento di discussione in quel mondo credulone e superficiale di Facebook dove semplici “contatti” diventano “amici” e il “partecipa” viene scambiato per “adesione” senza che uno l’abbia nemmeno registrato mentalmente, dove è facile essere tutti economisti, politici e filosofi.
Quello di cui si vuole occupare il progetto “Si può fare” è in realtà un complesso processo di trasformazione strutturale, di cambiamento della forma produttiva di un territorio, con l’abbandono di un settore, quello industriale, a favore di un altro, quello turistico-alberghiero. Processi complessi e articolati che prevedono l’intervento di diversi soggetti economici e istituzionali, e purtroppo tempi molto lunghi. Per i sostenitori del progetto “Si può fare” sembra che tutto ciò non esista: con molta ingenuità e con pari incompetenza viene affrontato come se si stesse organizzando un torneo di calcetto o disputando una accesa partita a monopoli. La realtà è un’altra cosa.
Editoriale del direttore Alfonso Lo Cascio
L’ARTICOLO INTEGRALE SU ESPERO IN EDICOLA