Che d. Pino Puglisi sia stato un prete di alto impegno ecclesiale, sociale e civile, in una città così inquinata come Palermo e in un quartiere di triste e tetra atmosfera mafiosa come quello di Brancaccio, non c’è dubbio alcuno. Che proprio a causa di tale suo impegno la mafia l’abbia voluto far fuori in maniera decisa è cosa altrettanto evidente. Che pertanto dalla Chiesa cattolica sia stato beatificato come ‘martire’ perché ucciso in odium fidei, secondo la secolare prassi della Chiesa è una scontata conseguenza, anche se purtroppo ciò è avvenuto dopo molte incertezze e difficoltà. La domanda che tuttavia dobbiamo porci è: che ripercussione ha avuto e continua ad avere la vicenda Puglisi e il suo martirio sulla Chiesa in generale e, in particolare, su quella di Sicilia?
Mi rendo conto che è difficile dare risposte a tale domanda dato che non credo esistano indagini demoscopiche al riguardo e, nel caso, ben poco potrebbero dirci. La mia breve riflessione è quindi frutto dell’aria che si respira e di quanto si riesce a cogliere in concreto. Anzitutto le spettacolari celebrazioni connesse alla beatificazione di d. Pino ben poco hanno a che fare con la solitudine nella quale egli fu lasciato nella sua azione a Brancaccio – solitudine che poi sembra avere avvolto anche il Centro ‘Padre Nostro’ che, in mezzo a tantissime difficoltà e costanti intimidazioni e atti di vandalismo – ha cercato di continuarne l’opera. Quale Chiesa gli è stata accanto, in modo concreto e pubblicamente manifesto, quando con il suo modo timido e educato cozzava contro il muro di gomma delle istituzioni pubbliche che in quel quartiere negavano le più elementari possibilità di sviluppo quali la scuola e l’assistenza ai senza famiglia? quando infrangeva le leggi dei clan mafiosi che non erano (erano?) disposti ad accettare che qualcuno turbasse la pax da loro imposta? quando addirittura invitava al dialogo chi voleva ostacolare la sua azione sociale? Una persona adusa a non alzare la voce e lasciata sola in quel quartiere non poteva che fare quella fine.
di Liborio Asciutto
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