A seguito della pubblicazione dell’ultimo numero di Espero, su Facebook, si è aperto un “appassionato” dibattito. Val la pena precisare che, per quanto concerne l’argomento dei contributi alle associazioni, i post erano quasi tutti di soggetti che si sono sentiti “toccati” dall’articolo di Espero o di chi ne ha approfittato, a causa di rancori personali, per “colpire” il giornale. Addirittura c’è stato chi ha espresso solidarietà alle presunte “vittime” ancora prima di leggere l’articolo: un campione di imparzialità. Nell’altro “dibattito” che si è sviluppato, sempre su Facebook, sull’editoriale che riguardava il progetto “Si può fare” c’è stato invece qualcuno che ha capito cosa c’era scritto nell’articolo leggendo… la locandina: un genio!
Ci corre obbligo in questo caso ringraziare i tanti che ci hanno espresso in vari modi la loro solidarietà per gli attacchi che abbiamo subito: ne ricordiamo solamente uno che nel suo messaggio ha scritto: “purtroppo in questa città qualsiasi critica viene considerata una ingiuria”.
Ma torniamo al “dibattito” nel cortile di Facebook. Agli insulti nei confronti di questo giornale non risponderemo, non è nel nostro stile, chi l’ha fatto si è già qualificato da solo. Si è qualificato anche colui che, in perfetto stile mafioso, ha scritto che bisogna farcela pagare. Una associazione si dovrebbe vergognare di tenere al proprio interno persone di questo genere. Gli interventi, anche polemici, invece ci interessano. Ma c’era un errore di fondo nelle riflessioni proposte: tutti criticavano lo stile con cui sono state raccontate. Nessuno è invece entrato nel merito dei dati forniti. Come se un tizio, invece di ribattere alle idee espresse dal suo interlocutore, per screditare quello che afferma, si mette a parlare dei suoi difetti fisici: operazione semplice ma ignobile. Un post (sarà forse perché chi scriveva non era della zona e quindi vedeva la cosa con molto più distacco) ha invece colto bene il problema: “il giornalismo deve raccontare cose reali con dati/ prove alla mano”. Esatto. Il problema è: sono veri o falsi i dati forniti da Espero? Nessuno l’ha detto, e tutti, qualcuno furbescamente, hanno sviato questo aspetto fondamentale. E i commenti riguardavano cose che non c’entravano nulla con l’argomento: hanno parlato di operazioni diffamatorie, arricchimento personale, qualcuno ha anche ipotizzato strategie nascoste.
Cominciamo a dire che le cifre fornite da Espero sono tutte vere (in solo due casi c’era un errore di date e nel box sotto ne diamo atto). Per noi è un fatto importante perché se avessimo commentato dati falsi avremmo commesso un atto grave. Abbiamo criticato aspramente i contributi che vengono erogati alle associazioni? Certo che l’abbiamo fatto. Anche perché siamo convinti che l’ente pubblico non deve dare soldi alle associazioni ma offrire servizi e fare proprie le iniziative che ritiene più valide. Qualcuno ha detto che un’iniziativa realizzata da un’associazione costa meno della stessa organizza dal Comune. A parte il fatto che ciò significa che molte cose saranno “in nero”, non è un problema delle Associazioni. Se una iniziativa costa troppo non si realizza, non si trova un espediente per trasferire ad altri la responsabilità dell’organizzazione, e fanno male le associazioni che si prestano ad operazioni di questo genere, poiché, se non sono formalmente illegali, sono moralmente scorrette. E una associazione che non abbia un alto senso etico non serve a nessuno. Un giovane che decide di operare in una associazione deve avere chiaro fin da subito che il denaro è l’ultimo motivo per cui si sceglie di fare del volontariato. Qualcuno si è autoincensato su Facebook perché ha trasportato le sedie per fare una serata al castello. E cosa pensa di aver fatto di così glorioso? Questo è fare associazionismo: gratuità e servizio. Se non piace non lo faccia, nessuno lo chiede come obbligo.
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