Un nuovo sito megalitico della “Petra della Madonna” a Valledolmo, che risulta essere completamente sconosciuto. Strutture che sembrano appartenere al periodo preistorico: un betilo/menhir ed una struttura domenica. Una lettura di un complesso di relazioni architettoniche e di allineamenti territoriali significativi che sembra orientare verso un luogo di culto molto antico, la cui sacralità è ancora percepibile e presente nel “genius loci”.
L’Istituto Euro-Mediterraneo di Scienza e Tecnologia (I.E.ME.S.T.), capofila di un progetto di ricerca europeo dal titolo “Thòlos. Simbolo delle origini della civiltà euro-mediterranea” che promuove la conoscenza di questi antichi edifici come simbolo della comune identità euro-mediterranea, nell’ambito delle ricerche in corso lo ha segnalato al Sindaco di Valledolmo ed alle Unità Operative per i beni Archeologici, Architettonici e Paesaggistici della Soprintendenza Beni Culturali ed Ambientali di Palermo in data 13 gennaio 2015. Una approfondita relazione preliminare sui manufatti architettonici rinvenuti nei luoghi è stata curata dal Prof. Arch. Carmelo Montagna del Dipartimento di Scienze umane dello I.E.ME.S.T. ed è consultabile all’indirizzo internet www.iemest.eu/it/news. In essa si rendiconta delle prime impressioni scaturite da due ricognizioni, avvenutel’11.9.2014 ed il 19.10.2014, con i conseguenti orientamenti per l’attribuzione della monumentale presenza.
Fra tante pietre sparse nel paesaggio, proprio quella “pietra” viene associata dagli abitanti di Valledolmo, da sempre, al nome della Madonna, in assenza di eventi miracolistici specifici e noti. Operazione liturgica che, come in altri siti preistorici megalitici europei, a prescindere da ogni altra considerazione, documenta la sacralità ancestrale riconosciuta della “Petra” e del luogo segnalato.
In assenza di bibliografia specifica sul sito, è utile rimandare alla presenza di attestazioni archeologiche importanti in aree limitrofe: i ritrovamenti di armi di bronzo “micenee” a poca distanza nei pressi della stazione ferroviaria di Valledolmo durante i lavori di costruzione della linea ferrata a fine ‘800. Angelo Mosso dei “bronzi di Valledolmo” ne parlò già in “Le armi più antiche di rame e di bronzo”, edito dalla Reale Accademia dei Lincei nel 1908.
Altri importanti riferimenti sono citati dal Prof. Montagna nella relazione. L’autore sottolinea in particolare l’immediata prossimità con i siti che recano tracce di megalitismo “minoico” nell’alta Valle del Platani e gli ipogei e la thòlos della Gurfa; quelli madoniti in corso di studio dall’archeologo Emanuele Di Giampaolo e dai geologi Alessandro e Fabio Torre, anche loro ricercatori I.E.ME.S.T.; il recinto megalitico di Vallescura di Marianopoli studiato dagli archeologi Rosalba Panvini e Fabrizio Nicoletti, dal diametro di circa venti metri e datato attorno al 1900 a.C.; ed ancora quelli di Castellaccio di Fiaccati o Rocche di Roccapalumba, dove è attestata frequentazione a partire dal Neolitico, con rinvenimenti archeologici di ceramiche preistoriche a decorazione impressa di facies stentinelliana, bicromica e tricromica, con utensili di ossidiana ed osso.
“Come succede spesso dalle nostre parti – afferma in proposito il Prof. Carmelo Montagna – per incuria superficiale e sottovalutazione del significato profondo delle cose che ci circondano, mi è così capitato di ‘scoprire’ con grande stupore elementi ed architettura del paesaggio che erano già ‘scoperti’ e sotto gli occhi di tutti da sempre. Come I.E.ME.S.T. vogliamo sottolineare la necessità della ricerca, anche rileggendo i contesti dati per “noti”, perché nel paesaggio siciliano, spesso bruciato dal sole e dall’abbandono, fra tante altre “pietre” ce ne sono alcune che hanno una grande storia da raccontare, come queste di Valledolmo. L’esperienza maturata ci porta a sostenere che questa sfida, problematica e caratteristica del nostro tempo, la si può vincere applicando al lavoro che facciamo, modesto o importante che sia, la formula: togliere banalità alle cose, per ridare loro un senso”.