Sventolava sulle teste dei madoniti come spada di Damocle ormai da tempo e adesso a Cefalù non è più possibile nascere. E tutto in ossequio a fredde logiche di spending review, che nel comparto sanità non sempre tengono conto di esigenze, anche a perdere e del tutto peculiari per i beni in gioco, ma che devono comunque essere soddisfatte.
“Non si può più nascere nelle Madonie” o “nascere nel proprio territorio è un diritto”. Sono le frasi più frequenti che tappezzano le bacheche virtuali della rete. Un intero comprensorio in stato d’agitazione che ancora non riesce a credere all’ennesimo taglio che desertifica da un lato e complica il quotidiano dall’altro.
«Una chiusura annunciata sì, ma che non tiene conto di alcuni fatti inequivocabili: si tratta – continua Lapunzina – di un reparto che ha maturato indubbi livelli di eccellenza e che, pur con 420 parti registrati nel 2014, aveva segnato ormai un trend in netto aumento». E aggiunge: «Ed in ogni caso non è e non può essere solo questione di numeri. Sto convocando proprio adesso i sindaci, i presidenti dei consigli comunali e i capigruppo consiliari dei comuni del distretto sanitario per martedì, 3 marzo, ore 11, presso il palazzo municipale di Cefalù, per decidere quali azioni forti mettere in campo».
La rabbia, adesso, lascia il posto alla determinazione: «Insieme agli altri sindaci, chiederò una convocazione urgente in Commissione Sanità alla Regione, ma siamo giunti ad un punto in cui non bastano solo le parole». E ribadisce la necessità delle azioni forti, di concerto con tutti gli amministratori e i cittadini madoniti. Una chiamata a raccolta per qualcosa che non ha bandiere. Non è questione di campanilismo segmentato, ma di identità. Già emersa l’intenzione dell’amministrazione comunale di Cefalù di proporre ricorso contro il nuovo Piano regionale sanitario, varato a gennaio 2015.
«Riteniamo – precisa Lapunzina – che la nuova Fondazione “Giglio”», il cui statuto è stato sottoscritto proprio il 25 febbraio, «essendo formata esclusivamente da soggetti pubblici, possa ora presentare un sostanziale elemento di novità rispetto al precedente ricorso presentato nel 2013. Se nel luglio 2013, infatti, i giudici del Tar giustificavano la scelta della Regione di mantenere Termini e chiudere Cefalù, entrambi sotto la soglia dei 500 parti l’anno, in virtù della natura pubblica del primo, oggi questo elemento di motivazione può venir meno, stante la composizione interamente pubblica della Fondazione “Giglio”, privilegiando, di contro, il più giusto criterio della territorialità e della sicurezza, che vede il centro di Cefalù decisamente più distante dagli ospedali palermitani, rispetto a quello termitano». E chiosa: «Siamo convinti che, ora come allora, anche le Amministrazioni comunali del circondario madonita non mancheranno di condividere tale iniziativa, nella consapevolezza che l’esistenza del Centro nascite di Cefalù è essenziale per tutto il territorio».
Già, un punto essenziale per tutto il territorio che, da parte sua, si sta già mobilitando con la costituzione di un comitato “Per il centro nascite Cefalù”, mentre è prevista per domenica, 8 marzo, alle ore 10,30, in piazza Garibaldi a Cefalù, una manifestazione pubblica al grido “Chi chiude il centro nascite dice no alla vita”.