Maria Ilardo ha chiuso gli occhi. Fuori dal lirismo a volte prestato alla cronaca più triste, c’è il dramma familiare che è diventato dramma collettivo fin dal primo momento di quel 26 marzo sera (erano appena le 19,30 o giù di lì); fin da quel tragico incidente in piazza Mazzini, che aveva e che ha scosso lo stanco sonnecchiare dei nuclei coinvolti loro malgrado e della vita di un piccolo paese madonita. E nelle piccole realtà i dolori, quelli veri, quelli che lasciano le cicatrici, quelli che segnano il viso con lacrime di forza, di rabbia e, al contempo, di rassegnazione, non vogliono utilizzare i termini crudi di un bollettino, di un comunicato, di una voce che salta di bocca in bocca.
Entra in gioco uno strano e pur delicato pudore che il tam tam dei social network spesso stenta a rispettare e a far proprio e che vorremmo oggi, forse a torto, ricordare pur in punta di piedi.
Maria, 46 anni, era una vigilessa in forza presso il corpo della polizia municipale del comune di Collesano. Uno sguardo, il suo, sopra le righe – perché un sorriso, oggi, tra tanta ipocrisia e superficialità, è sempre meravigliosamente sopra le righe – immerso in due occhi che parlavano di vita quotidiana – lei mamma di due figlie, moglie, figlia e sorella –, di veloci faccende, di una falcata – la sua era quella di una donna alta, “imponente” nel biondo dei capelli – lungo il corso principale, su quella strada dove stava per lavoro e dove, purtroppo, ha lasciato il suo ultimo sorriso.
Tutta la comunità si è stretta attorno a lei, attorno ai familiari, attorno all’automobilista, l’insegnante di educazione fisica, F.L.F., alla guida dell’auto che ha impattato Maria. Il viso e gli occhi lucidi dell’insegnante, oggi, straziano pure loro, a modo loro. Non è un pirata della strada come la veloce e urlata informazione, sulle prime, aveva tentato di dipingerlo. È pure lui un marito e un padre, che tante volte, in quello stesso luogo di quel maledetto, tragico incidente, di quella maledetta, tragica sera, ha incrociato il suo sguardo con quello di Maria, la vigilessa, sempre elegante, vestita di tutto punto. E ci teneva lei. Tanto. Perché l’eleganza ha i suoi canoni e volerli rispettare non è vezzo femminile. No. È gioia esterna di una proiezione interna.
La corsa all’ospedale di Cefalù e poi a Palermo. 17 giorni sul letto di Villa Sofia, presso il reparto di neurochirurgia, tra le alterne speranze di una flebile reazione che potesse essere il punto d’avvio di una difficile e lunghissima, ma forse possibile ripresa – era una speranza, già. Diversi, estesi e profondi i traumi che l’hanno segnata. E alla fine il corpo, in coma, ha ceduto.
Dolori impossibili da raccontare si sono dati appuntamento dentro la comunità di Collesano; dolori sorretti dall’adagio amaro per il quale la vita sembra sempre schiaffeggiare le persone per bene. Fa rabbia. Sì, tanta rabbia. E urlare può essere liberatorio. E il silenzio, oggi, è un potente urlo. Deve esserlo per poter segnare, esso pure sopra le righe, l’onda emotiva che a volte può registrare sbavature.
Domani, alle ore 15, i funerali presso la chiesa Madre di Collesano. Dichiarato il lutto cittadino, il corpo di polizia municipale accompagnerà in alta uniforme e con il gonfalone il corteo funebre. Alle scuole è stato chiesto di interrompere prima le lezioni per permettere la corale partecipazione della comunità.
Entra in gioco uno strano e pur delicato pudore che il tam tam dei social network spesso stenta a rispettare e a far proprio e che vorremmo oggi, forse a torto, ricordare pur in punta di piedi.
Maria, 46 anni, era una vigilessa in forza presso il corpo della polizia municipale del comune di Collesano. Uno sguardo, il suo, sopra le righe – perché un sorriso, oggi, tra tanta ipocrisia e superficialità, è sempre meravigliosamente sopra le righe – immerso in due occhi che parlavano di vita quotidiana – lei mamma di due figlie, moglie, figlia e sorella –, di veloci faccende, di una falcata – la sua era quella di una donna alta, “imponente” nel biondo dei capelli – lungo il corso principale, su quella strada dove stava per lavoro e dove, purtroppo, ha lasciato il suo ultimo sorriso.
Tutta la comunità si è stretta attorno a lei, attorno ai familiari, attorno all’automobilista, l’insegnante di educazione fisica, F.L.F., alla guida dell’auto che ha impattato Maria. Il viso e gli occhi lucidi dell’insegnante, oggi, straziano pure loro, a modo loro. Non è un pirata della strada come la veloce e urlata informazione, sulle prime, aveva tentato di dipingerlo. È pure lui un marito e un padre, che tante volte, in quello stesso luogo di quel maledetto, tragico incidente, di quella maledetta, tragica sera, ha incrociato il suo sguardo con quello di Maria, la vigilessa, sempre elegante, vestita di tutto punto. E ci teneva lei. Tanto. Perché l’eleganza ha i suoi canoni e volerli rispettare non è vezzo femminile. No. È gioia esterna di una proiezione interna.
La corsa all’ospedale di Cefalù e poi a Palermo. 17 giorni sul letto di Villa Sofia, presso il reparto di neurochirurgia, tra le alterne speranze di una flebile reazione che potesse essere il punto d’avvio di una difficile e lunghissima, ma forse possibile ripresa – era una speranza, già. Diversi, estesi e profondi i traumi che l’hanno segnata. E alla fine il corpo, in coma, ha ceduto.
Dolori impossibili da raccontare si sono dati appuntamento dentro la comunità di Collesano; dolori sorretti dall’adagio amaro per il quale la vita sembra sempre schiaffeggiare le persone per bene. Fa rabbia. Sì, tanta rabbia. E urlare può essere liberatorio. E il silenzio, oggi, è un potente urlo. Deve esserlo per poter segnare, esso pure sopra le righe, l’onda emotiva che a volte può registrare sbavature.
Domani, alle ore 15, i funerali presso la chiesa Madre di Collesano. Dichiarato il lutto cittadino, il corpo di polizia municipale accompagnerà in alta uniforme e con il gonfalone il corteo funebre. Alle scuole è stato chiesto di interrompere prima le lezioni per permettere la corale partecipazione della comunità.