Nel leggere tra gli articoli del suo periodico mensile che taluni intellettuali e politici del nostro territorio, come qualcuno abilmente della sua redazione li ha definiti “in cerca di visibilità e con fama di antimafiosità”.
Un ricco parterre di cittadini caccamesi plaude per questa analisi e riflessione sulla figura di Mons Teotista Panzeca, già Arciprete di Caccamo che temporalmente per puro caso, coincide con il sentire comune ed il giudizio di buona parte dei ns concittadini che in piena coscienza hanno sottoscritto una petizione popolare a tutela dell’immagine della città e dello stesso Arciprete, di cui in tanti oggi, dopo un lungo letargo ne parlano solo per notizie de-relato e non certo per aver vissuto in quegli anni 50-60-70 esperienze di vita indimenticabili accanto a lui.
Caro direttore, per facilità di comprensione e se vuole di campanilismo, eviteremo come già detto in altre occasioni di fare difesa ad oltranza della figura di Mons. Panzeca, in quanto per noi caccamesi continua ad essere un baluardo e un nobile maestro di vita e, non saranno certo un paio di occhiali scuri da sole che egli portava sempre a dargli il “target” di mafioso come qualcuno vorrebbe farci credere, ad un uomo protagonista del suo tempo in questa città.
Ci consenta di sottolineare che grandi imprenditori, proprio in questi giorni, che hanno rilanciato a 360 gradi l’immagine di questa terra di Sicilia, nel commercio, nello sport e nella cultura, come il dott. Zamparini che senza mezzi termini ha esternato con lucidità ed intelligenza un pensiero che noi “siculi” abbiamo ben compreso senza fraintendimenti di sorta, vale a dire qual’è la linea di demarcazione tra mafia e antimafia chi ne detta e condiziona i tempi e l’azione, quali interessi…..
E’ finito il tempo dei professionisti dell’antimafia di chi ha costruito le proprie fortune e carriere sulle spalle di altri carpendone magari la buona fede, attraverso sofismi, sillogismi e camuffamenti vari.
Oggi più che mai chi ha responsabilità in sede istituzionale nella nostra terra di Sicilia e soprattutto nel nostro territorio, sa di avere a che fare con una generazione “in fieri” avulsa da logiche estreme di ghettizzazione pseudo-mafiosa, poiché nuovi stili e modelli di vita completamente diversi da un passato recente si stanno rapidamente radicando nel loro DNA. Necessita pertanto “cambiare rotta” mettendo all’angolo chi da sempre con estrema disinvoltura e leggerezza continua ad andare nelle piazze, nei salotti buoni, con l’aiuto dei media, o in veste di intellettuale, di deputato nazionale o sindaco a sbandierare, alzando magari il tono di voce, il proprio vademecum della legalità con argomentazioni sterili, logorate dal tempo e dagli eventi sociali, cercando di mettere in bella mostra ipotetici scheletri nell’armadio “dell’avversario di turno”, dimenticando che a casa propria interi ossari ammuffiti andrebbero seppelliti diligentemente e con più attenzione.
La nostra stima e riconoscenza come cittadini, va a tutti quei magistrati seri che giornalmente in silenzio operano nell’interesse collettivo del Paese e a tutti quegli uomini che hanno pagato con il sacrificio delle proprie vite il loro palese impegno contro la mafia e il malaffare e pensiamo a Falcone, Borsellino, Costa, Dalla Chiesa, Terranova, Mattarella, ai numerosi agenti delle scorte e ai tanti e tanti “giusti” che hanno tracciato un solco di libertà e giustizia che le nuove generazioni stanno imparando a percorrere.
L’esempio di legalità, correttezza e moralità per i tanti ragazzi che studiano e si formano nelle scuole, è dato indubbiamente anche dai propri genitori che si sacrificano per la propria famiglia, condividendone le ansie, le aspirazioni e spesso anche con grave difficoltà sul lavoro quando c’è; affrontano con il sorriso, umiltà ed orgoglio l’inquietudine del giorno che si profila all’orizzonte.
Leggevamo in un link al suo articolo che una nostra concittadina è preoccupata per la leggerezza, sull’onda emotiva e nell’interesse di “qualcuno addetto ai lavori”, di come si affrontano vicende delicatissime che continuano a turbare la serenità della città di Caccamo. Non certo per viltà, sospendiamo ogni giudizio, ne condividiamo le preoccupazioni sottolineando e ribadendo con forza, ancora una volta che, chi ha potestà di governo ai vari livelli e conosce uomini e avvenimenti accaduti nel nostro territorio, al fine di evitare di cadere nel grottesco e consegnare ai posteri, verità scomode fuorvianti per le coscienze che magari inducono l’ignaro cittadino a pensare come in un set cinematografico che il vero problema qui da noi è “il traffico”; abbia il dovere morale e storico di dare risposte e certezze ad un territorio avvizzito, stantio, senza prospettive di un sano sviluppo per le nuove generazioni e per gli attuali abitanti caccamesi costretti all’angolo da questo retaggio e habitus di mafiosità ormai dismessi da tempo.
Nel ringraziarla per la sua disponibilità, ci è gradito porgere cordiali saluti.
In rappresentanza dell’iniziativa civica
Giovanni Ventura
Leggo con sgomento la difesa d’ufficio dell’indifendibile. Non entro nel merito della scelta che ognuno fa dei propri maestri di vita. Se dovessi parlare come un credente, ricorderei, evangelicamente, che “uno solo è il vostro maestro” (Mt., 23), e che molti sono i lupi vestiti da agnelli. Non essendolo, ma avendo un grande rispetto per chi, da credente, agisce conseguentemente, penso di non dovere nulla a chiunque abbia mescolato a lungo il nome di Cristo e le prediche dal pulpito con l’ambiguità, il compromesso e la vecchia abitudine meridionale di mettere insieme l’acqua santa col diavolo. Sento di non dovere nulla a chi, (e si tratta di storie che vanno ben al di là di Caccamo e investono una responsabilità storica della chiesa siciliana), per lungo tempo, ha potuto tollerare che i mafiosi di turno avessero i propri posti in prima fila alla messa della domenica e nelle processioni del santo patrono; che potessero farsi baciare la mano da “devoti” tanto di Cristo quanto della mafia. Quanto poi ad essere solleciti e preoccupati delle sorti di una piccola comunità,non mi stupisce: faceva parte della strategia di chi, per sostituirsi interamente allo Stato, doveva necessariamente giocare con il bastone e la carota, con la sollecitudine, l’elemosina, le offerte per i poveri, il campanile della chiesa da riparare e, dall’altro lato, l’intimidazione, la costrizione, la violenza cieca e brutale. Questo sistema è ben noto a tutti, così come lo è la storia di Caccamo e di tanti paesi come Caccamo: chi dice di ignorarlo ha solo una bronzea attitudine alla menzogna. E chi pensa che si possano fare sconti a chi, più di altri, aveva il dovere di denunciare tutto questo, pesca, come si suol dire, nel torbido. Non ho conosciuto Teotista Panzeca, ma conoscevo a Palermo il parroco di una parrocchia del centro, dove da bambino mi portava mia madre: prete ineccepibile, a dire di tutti, ma con il vezzo, di moda a quel tempo, di veicolare dal pulpito i voti dei fedeli per le elezioni politiche o amministrative verso il partito di maggioranza, ricevendo nella canonica (come ho saputo poi), grigi personaggi, successivamente assurti agli onori di una cronaca non proprio invidiabile. Che questo atteggiamento abbia consentito di addormentare le coscienze, di impedire ai numerosi cattolici di riconoscere e rifiutare la realtà della mafia, tra opportunismo, rassegnazione, ottusità della coscienza o interesse personale, è cosa che sta anch’essa sotto gli occhi di tutti. Il problema di fondo, quindi, non è Teotista Panzeca, ma se esiste la volontà lucida e coraggiosa di fare i conti col passato e di intraprendere una strada nuova, fatta di verità e di netto rifiuto – senza se e senza ma – di atteggiamenti “comprensivi” , che si dovrebbero arrestare, per un minimo di dignità, di fronte ai fiumi di sangue versati dalla mafia. Se questo non c’è, siamo distanti anni luce da una svolta e, volontariamente o in buona fede, si continua ad alimentare un modo di pensare di cui l’unica che non potrà mai lamentarsi è proprio la mafia. Nella lettera c’è tuttavia una cosa che suscita indignazione: mescolare i nomi di chi è morto sotto il piombo o con il tritolo della mafia con quello di chi ci ha vissuto accanto senza difficoltà, tacendo e accomodando la coscienza con fatti e vicende che nulla potevano avere a che fare con la fede e con la civiltà. E in questo, francamente, non c’è buona fede che tenga.
Fausto Clemente
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