Libri. Un paese al crocevia: Storia di Bolognetta di Santo Lombino

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Le storie locali scritte nell’Ottocento sino ai primi decenni del Novecento,  che si occupavano delle   storie di un piccolo paese  o villaggio,  venivano tacciate di campanilismo poiché enfatizzavano  secondo i critici,  le piccole vicende locali spesso sganciate dal contesto generale in cui tali vicende avvenivano.

Ancora oggi c’è una storiografia ufficiale che  arriccia il naso di fronte a dei lavorio storiografici di chi si occupa di storia locale, di un paese  di provincia come  Bolognetta. Per fortuna le cose sono cambiate e le piccole storie sono considerate come  i mattoni costitutivi della storia generale se si vuole rendere giustizia alla complessità delle vicende umane. Ci sono  infatti storie di piccoli centri, come questa di Bolognetta che assumono  un particolare valore in quanto  l’autore ha un approccio metodologico globale rispetto alla complessità dei problemi e degli aspetti che narra.
Questo studio di Santo Lombino sulla sua comunità  (nella foto la copertina del libro) ha una molteplicità di aspetti e temi che adeguatamente  approfonditi  danno al lavoro  oltre che un valore politico culturale anche un valore conoscitivo e scientifico di spessore. Il Libro racconta le vicende di un piccolo villaggio  di contadini  dell’entroterra siciliano che con il tempo diventa una comunità.  L’Autore ne narra la nascita, lo sviluppo con tutte le dinamiche interne ed esterne  proprie di una comunità, cioè non solo narra quanto avviene all’interno di essa ma mette in evidenza anche  le relazioni che le vicende interne hanno con l’esterno  e quanto le vicende esterne influivano sui comportamenti e le relazioni interne al paese orientando l’evoluzione locale, e quanto infine le storie dei singoli e le loro scelte  hanno contribuito a formare i fenomeni d carattere generale. Valgono come  esempio i fatti accaduti attorno all’Unità d’Italia, la Rivolta del Sette e mezzo, l’emigrazione  tra fine ottocento e inizi del novecento, la mafia locale, la sua genesi e il suo sviluppo passando per le vicende del fascismo e dell’ immediato dopoguerra. Inoltre ancora evidenzia  il ruolo delle microstorie personali come quelle di Orobello e Bordonaro   nella storia civile e letteraria locale e nazionale, utili   a capire fatti più generali da loro narrati e vissuti in prima persona.
Quella narrata da Lombino  dunque è una storia locale e generale allo stesso tempo che fonda il suo punto di forza  in una ricerca  pluridisciplinare che si avvale per sua stessa ammissione, anche se questo volume è privo di note, di molteplici fonti storiche,  di fondi archivistici, fonti orali per i fatti più recenti, della tradizione popolare per alcuni eventi. Tutto questo lo fa analizzando i vari aspetti particolari  della vita del paese senza generalizzazioni, cosciente che la realtà che prima vista appare semplice, come le vicende di un piccolo paese di provincia, in realtà poi si rivelano un organismo di fatti complesso e articolato.
Per capire come in origine si sviluppò il paese  analizza la politica del fondatore Marco Mancino che aveva acquistato il feudo dai Beccadelli Bologna di Marineo.
Il Mancino concesse a quanti venivano a stabilirsi nella nuova cittadina  lochi di case, terreni in enfiteusi, terreni in affitto, soccorsi in denaro e mezzi, usi civici sulle terre comuni, esenzioni fiscali, cancellazione di debiti: espedienti tutti utili a invogliare nuovi coloni a venire ad abitare nel nuovo villaggio Strategie in linea con il generale fenomeno della colonizzazione del latifondo siciliano nel Seicento. L’analisi dei conti civici della seconda metà del Settecento oltre a mettere in luce la povertà di un piccolo comune pone in evidenza quali erano le spese che gli amministratori di Bolognetta dovevano sostenere  per erogare alcuni servizi, dove la spesa per il culto era una delle più importanti insieme alle spese militari. Da quelle scarne cifre viene fuori come veniva affrontato per esempio il problema dei minori abbandonati, quello dei bambini proietti,  per i quali venne istituita una ruota, e si rileva quanto diffuso fosse il fenomeno delle relazioni illecite  dalle quali venivano fuori tanti “figli dello spirito santo”.
Per meglio comprendere le dinamiche del potere e dell’ascesa delle elite locali nella scala sociale dell’Ottocento si avvale dello studio delle liste degli Eleggibili redatte a partire dal 1817 cercandone all’interno della composizione i legami di parentela, la posizione sociale, i legami economici, il mestiere l’ètà degli eleggibili. Tali dinamiche trasformeranno le famiglie e i gruppi familiari in partiti famiglie, che hanno dominato la scena politica Bolognettese nell’ultimo secolo e mezzo. Vengono notati i gruppi sociali interessati alla mobilità ascendente e quali nel tempo perdevano prestigio e terreno e sfilano cosi i nomi delle famiglie Benanti, Giuffrida Malleo Monachelli,  Bifarelli,  Mosca  Orobello, Di Peri protagoniste di 150 anni di storia bolognettese. In tutte le categorie sociali rappresentate allora come sempre elemento determinate per l’ascesa sociale era una accorta politica matrimoniale che creando o rafforzando alleanze di gruppi familiari potevano accrescere il peso all’interno della comunità favorendola non solo in termini di prestigio ma anche di rappresentanza. 
Bolognetta poi si è inserita nel corso dell’Unità d’Italia con l’apporto di squadre di volontari a sostegno dei Garibaldi nella presa di Palermo e votando successivamente all’unanimità pieni di speranza per un avvenire migliore l’annessione all’Italia.
Ma ben presto la disillusione  porterà alla violenta rivolta del Sette e mezzo dove Bolognetta con Misilmeri furono teatro di efferati eccidi ai danni dei carabinieri. La politica post unitaria del Governo della Destra aveva esasperato la popolazione che si vide gravata di nuovi balzelli e  obblighi, si vide tolta l’ opportunità di usare le terre comuni e gli usi civici. In questo clima evidenzia l’autore come si consolidano per altro verso potentati locali in lotta tra loro, a volte con metodi violenti, il cui scopo principale era la gestione del potere e delle risorse  dei bilanci comunali (appalti di servizi , impieghi pubblici….).
E’ una storia dalle connotazioni comuni nei paese del nostro territorio dove nasce e si sviluppa il paradigma mafioso. La lotta politica è lotta di partiti famiglie, spesso di famiglie mafiose o che al suo interno potevano contare su elementi violenti in grado di intimidire e di passare all’azione in caso  ne ravvisavano l’opportunità per portare avanti affari e alleanze. In una economia povera e arretrata il controllo anche di piccole prebende pubbliche diventava un affare vitale. La pubblica amministrazione era il luogo di incontro e di coltura degli appetiti dei partii e della mafia. Emblematica in questo senso la gestione delle terre comuni e delle usurpazioni, dove il trasformismo e camaleontismo delle forze in  campo li fa essere conniventi  su tale problema. Il clima infuocato dell’Ottocento fa dire a un pubblico funzionario, è dunque generato dai vari partiti che si contendono accanitamente  il governo della cosa comunale, non rifuggendo dai più biasimevoli maneggi e dalle arti più basse e malvagie per raggiungere l’intento. E’ in questo clima che maturano dei delitti eccellenti come quello del sindaco Verdura, dell’arciprete Ferreri, del Lo Brutto, tutti nati nell’ambito di   feroci lotte di potere in un sistema di relazioni ancora largamente feudale. In Sicilia il feudalesimo ebbe termine ufficialmente nel 1812 per legge. Di fatto esso durò ben oltre in relazione ai rapporti economici e sociali di tipo feudale che dominavano le classi subalterne.
Una prima spallata a questo sistema lo diede l’emigrazione di fine Ottocento quando i contadini impoveriti dalla crisi economica e dalla politica economica del governo persero la battaglia per avere rapporti economici  e contrattuali più vantaggiosi in occasione del movimento dei Fasci. Dopo il 1894, i contadini a fiumi lasciarono la terra e i paesi per emigrare.  E l’emigrazione bolognettese è emblematica nei modi e nelle direttrici, nell’organizzazione degli emigrati all’estero soprattutto negli Stati Uniti. A questo  esodo biblico , ricordiamo che ai primi del novecento circa un milione di italiani  all’anno lasciava la propria terra,  Santo Lombino dedica  pagine documentate da una pluridecennale passione per la ricerca sul fenomeno migratorio. Un altro esempio di come i processi generali ebbero ricadute locali è quello relativo al rapporto tra fascismo mafia e politica locale. L’organizzazione del disagio locale alla fine della prima guerra mondiale vide in primo piano un rampollo della borghesia locale,  Carmelino Lobrutto, a capo del movimento di rivendicazione della terra per i contadini. La mafia locale, gabelloti e impresari agricoli, che vedevano nel movimento che era sotto la bandiera dell’associazione ex combattenti un pericolo per i propri interessi di gestione degli affitti  e dei terraggi e delle rendite di posizione parassitaria dei feudi, uccise il Lo Brutto. Era sindaco allora il fratello di Serafino Di Peri che era il riconosciuto capomafia di Bolognetta che raccoglieva anche le simpatie dell’Arciprete Sucato oltre che l’appoggio di larghi strati della borghesia agraria. Dopo l’omicidio la famiglia Di Peri viene estromessa dal potere  comunale e condannata per il delitto e i nuovi amministratori aderirono al partito fascista per calcolo o per convinzione.  La repressione del Prefetto Mori del 1925-27 sopì  il potere dei mafiosi  non debellando del tutto la mafia nonostante i proclami trionfalistici di regime.  L’autore  annota che la mafia andò in quiescenza, ligi alla massima calati juncu nca passa la china.  I mafiosi infatti  subito dopo la caduta del fascismo dopo l’armistizio del 1943 riprendono il controllo del comune accreditandosi come i perseguitati dal fascismo. Interessante è la narrazione del cambio della guardia a comune quando il riottoso podestà  venne preso di peso con la sua sedia al municipio e buttato fuori.
E’ questo un pezzo di storia importante per capire le vicende sociali politiche e amministrative del comune di Bolognetta e di tanti comuni del palermitano, in parte ancora da scrivere. Quanto poco avesse inciso il fascismo sulla cultura e lo spirito della popolazione inoltre è testimoniato dal numero dei voti presi a livello locale dal partito per il quale vota il clan Di Peri quello  separatista che ottiene 1162 su 1396 votanti, se mai ci fosse stato dubbio su chi realmente comandasse in paese. In questo clima di restaurazione dei vecchi poteri , politico mafiosi,  racconta l’Autore, a poco sono valse le richieste dei contadini di terra e lavoro.  Ogni protesta finiva in un nulla di fatto. I decreti Gullo sulla riforma agraria diedero a pochi bolognettesi  dei piccoli lotti di terreno. Un mondo stava per finire. La terra non garantiva più pane e  decoro. Fu cosi che in silenzio i contadini diedero l’ultima spallata a un mondo ormai in dissoluzione caratterizzato da rapporti sociali ed economici   non più oltre tollerabili.  Molti dovettero emigrare. Altri resistettero trattenuti dalle opportunità che il nuovo corso dell’Italia guidata dalla DC impresse al paese ampliando le possibilità di lavoro nel terziario e nel settore pubblico o fruendo delle generose elargizioni che venivano gestite in maniera clientelare da un sistema collaudato in pochi anni di potere, con i cantieri di lavoro e pensioni. Siamo alla fine degli anni cinquanta. Un mondo finisce. Il paese come tanti altri è a un bivio: seguirà altre direttrici che porteranno a nuovo sviluppo dell’abitato e della popolazione in controtendenze  con il fenomeno dello spopolamento dei paese dell’entroterra. Nuove dinamiche si innescano sia aggregative che disgregative nel microcosmo bolognettese ancora da chiarire e di cui far tesoro per la gestione del presente. Allora è importante studiare la storia locale se ben fatta per il valore politico che assume nella appropriazione delle proprie radici e nella  formazione  di una identità culturale.  La memoria, ha scritto Calvino,  conta veramente solo se tiene insieme l’impronta del presente e il progetto del futuro , se permette di fare senza dimenticare quello che si voleva fare, di diventare senza smettere di essere, di essere senza smettere di diventare.

Nino Scarpulla