Possibile scarcerazione di Riina. Sconcerto tra gli italiani e protesta dai familiari delle vittime di mafia

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Barbarie o diritto? Umanità contro ragione?

In queste ore si è acceso il dibattito, a seguito della decisione della Corte di cassazione di permettere al boss Totà Riina di trascorrere a casa la sua vecchiaia perché gravemente malato, in quanto il “diritto a morire dignitosamente” va assicurato a tutti, anche ai detenuti di mafia. I giudici hanno così accolto per la prima volta il ricorso del difensore del boss, che ha chiesto il differimento della pena o la detenzione domiciliare, proprio per motivi di salute. Ma in molti non ci stanno, soprattutto i familiari delle vittime di Cosa nostra, criticando la decisione. Per Riina “nessuna pietà”, dice Tina Montinaro, vedova di Antonio, il caposcorta di Giovanni Falcone, morto a Capaci il 23 maggio 1992. “Totò Riina ha più di ottant’anni, ma a mio marito non ha permesso di arrivare a trenta. Non ha diritto di uscire dal carcere. È una decisione che ci offende. Non pensa la Cassazione cos’ha fatto quest’uomo, quante famiglie ha distrutto?” Salvatore Borsellino, fratello del magistrato ucciso in via D’Amelio nel 1992: “Non è possibile, non è possibile. Lo sapevano da 25 anni da quando gli hanno commissionato la strage di via D’Amelio assicurandogli che non sarebbe morto in carcere. Stanno pagando la cambiale che hanno firmato 25 anni fa”. Duro anche il commento dell’Associazione dei familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili: “Il pronunciamento della Cassazione sulla richiesta di Riina di andare a morire ai domiciliari ci lascia a dir poco basiti. Dignità, umanità, invocate dalla Corte di cassazione per il macellaio di via dei Georgofili, possono essere esercitate tranquillamente all’infermeria
del carcere o in un ospedale attrezzato per il 41 bis”. E Rita Dalla Chiesa: “Mio padre una morte dignitosa non l’ha avuta”.