Oggi, 22 gennaio, ma 120 anni fa, cioè nel 1898, nacque a Riga Sergei Eisenstein.
Egli fu uno dei più grandi registi della storia del cinema, che tra l’altro rivoluzionò l’idea di montaggio (nell’immagine, il doodle che gli dedica oggi Google, ndr). Tra i suoi film certamente il più noto, anche se in molti non l’hanno visto, è sicuramente “La corazzata Potëmkin”, che con “Aleksandr Nevskij” ed “Ottobre” sono tra le più importanti pellicole della prima metà del Novecento, citate in tutti i manuali di storia del cinema come fondamentali per la quantità di innovazioni. Sergei nacque a Riga, l’attuale capitale della Lettonia, da famiglia benestante. Egli crebbe a San Pietroburgo, dove studiò architettura ed ingegneria, ma presto lasciò l’università per unirsi all’Armata Rossa durante la rivoluzione bolscevica. Lì iniziò ad occuparsi della propaganda, ottenendo riconoscimenti ed approvazioni. Nel 1920 arrivò a Mosca e quì, dopo le prime produzioni teatrali, cominciò a dedicarsi al cinema con cortometraggi e lungometraggi e teorizzazioni sulle applicazioni dell’arte al contesto sovietico e socialista. Il suo primo lungometraggio fu “Sciopero!” (1924), che raccontava la crudele repressione di una protesta in una fabbrica. Ma il successo arrivo l’anno dopo, con “La corazzata Potëmkin”, noto ancora oggi in Italia più che altro per via del giudizio che Paolo Villaggio, alias Fantozzi, fa del film ne “Il secondo tragico Fantozzi”, in cui egli pronuncia la famosa frase: “La corazzata Kotiomkin è una cagata pazzesca”. Il film, muto ed in bianco e nero, è diventato celebre per l’uso di un montaggio serrato e fatto per colpire con certi dettagli lo spettatore, trasmettendo forti emozioni. Nel film Eisenstein usò principalmente attori non professionisti. Esso è diviso in cinque atti e parla dell’ammutinamento di alcuni marinai dopo che viene servito loro del cibo andato a male. La sua scena più famosa è quella ambientata sulla scalinata di Odessa, nella quale i soldati e le vittime sono mostrati solo con dettagli. Col tempo però le sperimentazioni tecniche di Eisenstein non erano più gradite in Unione sovietica e così, dopo essere stato costretto a fare pubblicamente autocritica, Eisenstein se ne andò prima in Europa e poi nel 1930 a Hollywood, che non gradì le sue idee. Così ritornò a Mosca, dove riprese la sua arte tra alti e bassi, tra gradimenti e critiche, finché morì di infarto il 2 febbraio 1948.