Una settimana da dimenticare nel “tempio” della finanza mondiale.
Da una settimana il listino di Wall Street è in negativo, chiudendo in forte calo e registrando la peggiore performance da quando Donald Trump è stato eletto presidente degli Stati Uniti. E dietro Wall Street, il cui indice medio è crollato di oltre il 2% (Dow Jones -2,54%, S&P500 -2,12%, Nasdaq -1,96%), si sono sistemate pure le altre piazze: Londra -0,63%, Parigi -1,64%, Francoforte -1,68%, Madrid – 1,81% e Milano -1,44%. Perché? Pare che lo scenario ottimistico disegnato fino al mese scorso non lo sia più di tanto. Le preoccupazioni sono partite in Germania, dove il sindacato IG Metall chiede consistenti aumenti salariali e questo potrebbe far salire l’inflazione in quel paese, spingendo la Bce a chiudere il quantitative easing, cioè la politica di stimoli, prima del previsto. E ieri questi timori si sono estesi agli Usa, dove a gennaio i salari sono aumentati del 2,9%, una buona notizia per i lavoratori, ma un cattivo segnale per i mercati, perché se salgono i salari l’inflazione può crescere e questo potrebbe indurre la Federal Reserve ad alzare i tassi. Risultato: il mercato ha reagito al ribasso.