Il 23 maggio ed il 19 luglio dal 1992 non sono più state date normali per numerose famiglie che ancora oggi soffrono tentando di rielaborare un lutto troppo insensato.
La parte più sana del paese, anno dopo anno, si è sforzata di dare un senso a quanto è accaduto anche per non vanificare l’enorme perdita di vite preziose, e non sminuire neanche la consapevolezza della tragica rottura di legami affettivi che travalicavano, allora come oggi, gli stretti rapporti familiari, e chiunque sia onesto e sensibile, ancora oggi, si sente in qualche misura leso. Tra l’altro, chi è veramente onesto, non intende neanche dimenticare, anzi desidera trasferire questo dolore alle future generazioni.
E così si va ben oltre la semplice commemorazione, e parole come legalità o antimafia nascondono un forte desiderio di crescita, di un volersi migliorare come individui ma anche, o forse soprattutto, di voler migliorare come collettività.
Tra le tante manifestazione qui si racconta quella messa in scena dall’Istituto Scolastico comprensivo C.G. Cinà di Campofelice di Roccella-Collesano-Lascari. Teatro della manifestazione, durata l’intera giornata, è stato il cuore del centro abitato di Lascari dove gli alunni della scuola dell’obbligo si sono districati in un susseguirsi di arte, musica, giochi, sport, recitazione, ma soprattutto emozioni che hanno condiviso. La scuola non si è aperta all’esterno aprendo le proprie porte, ma si è riversata tra le strade e le piazze di Lascari, e tre comunità del territorio hanno creato una sola realtà dove non si percepivano più confini.
Una scuola quindi che ha saputo fare da collante unificando le persone di un territorio, e già solo questo è antimafia visto che nella cultura mafiosa il territorio lo si divide per meglio fagocitarlo.
Gli eventi del pomeriggio meritano però di essere raccontati un po’ più nel dettaglio senza trascurare neanche gli aspetti che non hanno funzionato. “Imperfezioni” che esigono di essere evidenziate non tanto per dovere di cronaca ma per dovere di onestà intellettuale; perché nel concetto di legalità è intrinseco il rispetto delle regole e quindi il rispetto in generale e dunque il rispetto per gli altri, il rispetto per la verità, una verità che naturalmente non ha la pretesa di essere l’unica verità oggettiva ma sicuramente quella che è apparsa a chi scrive. Veramente lodevoli le performance che si sono susseguite, classe dopo classe, nella splendida cornice della piazza di Lascari, ma un triste aspetto che ha colpito gli adulti presenti è stato la notevole distraibilità dei giovani studenti che attendevano il loro turno per entrare in scena e che tornavano ad essere spettatori dopo la propria esibizione.
Lo stesso Preside, sempre seduto tra i ragazzi, più volte si è sentito in dovere di richiamare per il forte brusio che disturbava ed in alcuni momenti si aveva la sensazione del totale fallimento come educatori perché uno dei principali messaggi in campo era il Rispetto, e proprio questo splendido sentimento mancava. L’evidente distraibilità dei ragazzi raggiunge la massima espressione quando prendono la parola le diverse autorità presenti che si avvicendavano al microfono e che nessuno più ascoltava. A onor del vero, bisogna considerare che i ragazzi già per un semplice fatto anagrafico hanno maggiori difficoltà a mantenere l’attenzione, e soprattutto erano veramente stanchi, per di più un clima capriccioso non aveva certo aiutato. Tuttavia la distrazione tra i giovani era così alta che la frustrazione per tale comportamento era altrettanto evidente tra gli adulti. Insomma nell’era della connessione informatica alcune centinaia di giovani raggruppati fisicamente in una piazza, seduti accanto, non riuscivano a connettersi gli uni agli altri.
Se lo si legge in quest’ottica si comprende quindi, che essendo persino privi del cellulare, nulla di inconsueto sia veramente accaduto, almeno sin quando, in attesa delle 17,58 prende la parola il Dirigente Scolastico Fabio Pipitò. A differenza di chi lo aveva preceduto parla rivolgendosi principalmente, o se preferite essenzialmente, ai ragazzi: lo fa con autenticità, parla con la passione del “papà” più importante tra tutti i papà presenti, perché in quella piazza i ragazzi erano figli di tutti e per questo motivo la loro distraibilità “offendeva” tutti. Ma forse Fabio Pipitò si sente, in quel momento il “papà” per eccellenza, e mette in ogni parola tutta la passione possibile; piano piano conquista l’attenzione di quasi tutti i ragazzi e riesce a far digerire concetti di non poco spessore. Gli spiega che il punto non è solo il rispetto delle regole, ma il rispetto dell’altro che passa anche non attuando le piccole “furberie” di tutti i giorni che pur non essendo vere e proprie illegalità sono comunque gravi. E soprattutto, riallacciandosi alle parole di Paolo Borsellino, si è riferito agli eroi caduti come servitori tali e quali a chi è eroe tutti i giorni “semplicemente” facendo il proprio servizio. Ecco quindi gli eroi che camminano tutti i giorni: quelli che fanno il proprio servizio; e soprattutto ha spiegato agli studenti che pure ognuno di loro può essere un eroe svolgendo il proprio servizio, ossia studiare, uno studio che li renderà anche liberi. Quindi lo studio non solo come diritto, ma anche come dovere. Ma l’elemento più significativo delle parole del Preside non è da ricercare nel contenuto ma nell’effetto avuto: i ragazzi si sono tutti connessi con un solo interlocutore come non avevano ancora fatto. Un primo picco d’attenzione per tutti i giovani presenti in piazza, che forse è servito da catalizzatore, perché subito dopo sono arrivate le 17,58 ed è iniziato per tutti il minuto di silenzio. Sono bastati pochi secondi ed il silenzio che cresceva in piazza ha colto di sorpresa le voci di chi era al bar; ancora qualche secondo ed il silenzio è cresciuto sino a far sentire le voci dei piccolissimi che giocavano nelle strade adiacenti; e prima che scadeva il minuto ecco irrompere le note del silenzio del giovane trombettista e non resta più spazio per alcuna distrazione. Così come alcuni minuti dopo tutti i presenti, ancora una volta senza distinzione d’età, sono tornati ad essere gli uni connessi agli altri mentre le note dell’inno di Mameli traboccavano la piazza per perdersi tra le vie del centro abitato di Lascari.
Alcuni minuti dopo, al disopra di ogni aspettativa, la piazza si trova in un bagno di gioia con la canzone La mafia è cosa vostra di Alessandro Macaluso.
Mak, questo il suo nome d’arte, trascina tutti con una forza dirompente, canta il suo rap, parla del rap, e di molto altro, tutti lo hanno ascoltato, ed ha dimostrato persino doti intellettuali da educatore navigato malgrado la sua giovane età. Ed infine ha abbandonato la piazza solo dopo aver rilasciato autografi e foto con tutti mostrandosi gentilissimo sino alla fine.
Forse sarebbe opportuno fermarsi di scrivere qui, ma come accennato sopra, per la particolarità della giornata è doveroso raccontare ciò che poteva funzionare meglio. Il momento conclusivo è stato caratterizzato dalla confusione per l’assembramento che si è riversato addosso a Mak; in quel momento è stato ingoiato dalla folla il corridoio centrale che era rimasto sgombero lungo la scalinata, era di colpo sparito l’ordine, non vi erano più regole, regnava la confusione ed era stato dimenticato il rispetto.
In Giappone si mantiene la fila ordinata e ci si rispetta vicendevolmente persino quando si evacuano i grattacieli nel corso dei terremoti. In quella piazza non si è stati capaci di restare seduti mantenendo l’ordine e magari non dimenticarsi il valore del rispetto così decantato pochi minuti prima, per esempio facendo fare la foto prima a chi doveva rientrare a Collesano. Non si tratta di voler criticare a qualunque costo e di cercare il pelo nell’uovo, si tratta semplicemente di imparare, di far imparare gli adulti ancor prima dei giovanissimi. Riversarsi caoticamente per primi per fare una foto non rientra forse tra quelle piccole “furberie” citate prima da Fabio Pipitò? Senza naturalmente pensare alla sicurezza! Se i giovani hanno alternato momenti di totale distraibilità a momenti di assoluto coinvolgimento dipende dai giovani o dal modo in cui si è comunicato con loro? Sono punti su cui crediamo si debba riflettere, altrimenti il rischio è che il 23 ed il 19 si scenda verso la retorica. E’ encomiabile il lavoro fatto dalle insegnanti titolari del progetto e di tutti coloro che hanno, in diversa misura, collaborato ma qual è, al netto di un bilancio critico, il risultato raggiunto? In che misura possiamo sperare che il notevole lavoro messo in campo il 23, o il 19, possa dare i frutti sperati? Si può sperare che il 24 maggio o il 20 luglio ci sia un genitore in più che allacci le cinture di sicurezza e li faccia allacciare ai propri figli? Possiamo sperare che il prossimo sabato sera ci sia in pizzeria un genitore in più che non beva birra o vino perché dovrà mettersi alla guida per riportare a casa la propria famiglia? Ma questo forse è sperare troppo! Proviamo diversamente. Si può sperare che il 24 maggio ed il 20 luglio ci siano altri due colleghi di lavoro che si aiutino amichevolmente anziché gareggiare in “furberia”? Si può sperare che una mamma spenda di meno in scarpe, borse, cure di capelli ed utilizzi il denaro risparmiato in esperienze culturali per i figli? Si può sperare che ci sia un padre in più che davanti al proprio figlio smetta di denigrare, imprecando, la squadra di calcio “avversaria”? Ah, scusate, avete proprio ragione, tutto ciò non ha nulla a che fare con il 23 maggio, meglio tornare a parlare di legalità ed antimafia!
Filippo Di Carlo