E’ morto all’ospedale universitario di Zurigo, dove era stato ricoverato il 27 giugno, Sergio Marchionne, 66 anni, ex amministratore delegato di Fiat.
Dopo l’intervento alla spalla destra, a fine giugno, le sue condizioni sembravano ottimali. Dieci giorni fa l’aggravamento per “complicanze postoperatorie”. La situazione sarebbe precipitata all’inizio della settimana. E questa mattina il decesso. Negli ultimi giorni Marchionne è stato assistito dalla compagna Manuela e dai due figli, Alessio Giacomo e Johnatan Tyler.
La sua Fca ha già provveduto a sostituirlo. Venerdì John Elkann aveva affermato che “Marchionne non potrà tornare a fare l’amministratore delegato” e con una velocità impressionante sabato i consigli di amministrazione hanno nominato i successori. A quei livelli non è consigliabile lasciare anche per poco tempo “posti vuoti”.
Sergio Marchionne è ritenuto da molti un manager rivoluzionario nel modo di concepire le relazioni industriali, e di aver saputo affrontato, senza sostegno pubblico, la sfida della globalizzazione puntando tutto sulla concorrenza. A lui viene riconosciuto il merito indiscusso di avere risanato la Fiat sull’orlo del fallimento, trasformandola in una poderosa multinazionale, il gruppo Fca, che ha inglobato il colosso statunitense Chrysler, azzerato i propri debiti e prodotto faville in borsa.
Eppure, nonostante questi risultati la figura di Marchionne resta controversa. Da molti è accusato di aver condotto una azienda verso grandi successi senza preoccuparsi delle conseguente sociali. Del resto aveva affermato che i problemi sociali erano cose di cui dovevano occuparsi i governi non le aziende private. Nei primi anni, dopo la sua ascesa al comando della Fiat, venne visto in Sicilia prima come un possibile salvatore, poi come la panacea di tutti i mali. In pratica fino a natale del 2009.
Nel gennaio 2010, durante il suo intervento all’Automotive News World Congress di Detroit, non era casuale la scelta del luogo, l’amministratore delegato della Fiat aveva affermato la chiusura della fabbrica siciliana dichiarando: su Termini Imerese la decisione è irreversibile, lo stabilimento sarà chiuso nel 2012. Era convinto che un’impresa in grado di competere sui mercati internazionali non poteva permettersi di avere impianti strutturalmente in perdita. Per questo motivo a Termini Imerese l’ex amministratore delegato di Fiat verrà sempre ricordato come l’uomo che chiuse lo stabilimento, attivo dal 1970 e con una riconversione industriale ancora tutta in divenire, se non definitivamente tramontata. La chiusura dello stabilimento torinese non fu indolore per il territorio. Come sottolineava qualche giorno fa Roberto Mastrosimone, segretario regionale della Fiom Cgil: «Quella scelta ha stravolto la vita di migliaia di persone».