Sono state celebrate stamattina, giovedì 27 dicembre, nella Cattedrale di Cefalù le esequie del vescovo emerito mons. Rosario Mazzola, morto la vigilia di Natale.
Mons. Mazzola aveva 94 anni, era infatti nato a Palermo il 19 settembre 1924. Ordinato presbitero il 16 luglio 1950, era stato eletto alla Chiesa titolare di Bomarzo e nominato vescovo ausiliare di Palermo il 19 giugno 1982. Consacrato il 4 settembre 1982 è stato trasferito a Cefalù il 23 luglio 1988, è ha fatto il suoi ingresso in Diocesi il 17 settembre 1988. A Cefalù ha ordinato 15 sacerdoti diocesani. È divenuto emerito il 18 marzo 2000, sostituito da mons. Vincenzo Manzella.
Molto attento ai Media fu chiamato a collaborare nella Commissione Episcopale della CEI per le comunicazioni sociali e la delega in seno alla Conferenza Episcopale Siciliana. Molto devoto alla Madonna di Gibilmanna ha espresso con un gesto significativo il suo legame e il suo affetto verso la diocesi di Cefalù, di cui la Madonna di Gibilmanna è Patrona, donando al Bambino Gesù la sua croce pettorale e alla Gran Signura il suo anello pastorale.
E’ stato sepolto nell’antica Cattedrale di Cefalù lungo la navata del SS.mo Sacramento.
Nell’omelia il vescovo Giuseppe Marciante ha ripercorso l’impegno pastorale di mons. Mazzola “Il Vescovo Rosario – ha detto Mons. Marciante – ha saputo essere un vero atleta dello spirito non per ricoprire posti ragguardevoli, ma per vincere l’unico vero premio, Cristo Gesù. Con amore e pazienza ha arato la terra della chiesa di Palermo e di Cefalù perché portasse frutto. Ha annunciato alla Chiesa di Cefalù quel che ha visto e toccato con gli occhi della fede. Ha amato visceralmente questa Chiesa, sua sposa, non con un cuore di pietra, ma un cuore di carne che si sapeva commuovere fino a giungere, in certe circostanze, alle lacrime. Riporto le parole belle rivolte alla Chiesa di Cefalù nel testamento olografo: Nel momento in cui sto per lasciare questa terra voglio rinnovare il mio grande amore e la mia fedeltà alla Chiesa Cattolica e Apostolica, alla Chiesa che è in Palermo, quale mia madre che mi ha generato nella fede e nella grazia del battesimo, alla Chiesa che è in Cefalù, quale mia sposa mistica che ho amato e servito, al mio presbiterio e a tutti i fratelli e sorelle per i quali ho consacrato tutta la mia vita. Lo Spirito di sapienza gli ha permesso di vedere e udire non solo con le orecchie o con gli occhi, ma col cuore. Il Signore gli ha concesso di cooperare alla sua azione creatrice in modo mirabile, in parrocchia specialmente al Villaggio Ruffini e a Villa Tasca, in Azione Cattolica, nell’arcidiocesi di Palermo come Vicario Generale e poi come Vescovo Ausiliare. Tante energie e risorse egli ha dedicato alla Comunità Impegno di Ministerialità Ecclesiale, alla Casa Soggiorno Poggio Maria”.
“Il Vescovo Rosario – ha continuato Mons. Marciante – ha saputo guardare oltre il contingente, il caduco, il fallimentare perché ha incontrato l’Altro della sua Vita, l’amore che fa nuove tutte le cose e per questo profeticamente ha chiesto a tutti, ministri ordinati, famiglie e giovani, educatori e politici a correre speditamente per rinnovare la nostra Chiesa e il mondo. Ha amato il seminario, chiedendo ai giovani presbiteri di proseguire gli studi a Roma per essere capaci di dialogare con il mondo attuale. Nella lettera pastorale “Lasciare Babele” (1996) trattò dell’educazione ai media proponendo alle parrocchie di dare vita ad una vera e propria pastorale dell’educazione alla fede. Per lui importante era che tutti sapessero usare i nuovi strumenti della comunicazione con intelligenza: La parrocchia deve diventare una vera e propria bussola pedagogica per l’uomo smarrito nei meandri di strumenti da egli stesso costruiti … Per l’uomo naufrago nell’oceano di parole create dai media, la parrocchia deve essere bussola che conduce all’Eterna Parola. La parrocchia deve lasciare Babele e adoperarsi per riportare la comunicazione tra gli uomini”.
E Ha concluso la sua riflessione: “Con la lettera pastorale “Oltre la folla” (12 febbraio 1997) il Vescovo Rosario ha seminato sul terreno buono, sui sassi, sulla strada, sui rovi di questa Chiesa di Cefalù. Ha richiamato le istituzioni e gli uomini e le donne di buona volontà a non comportarsi come “fanno tutti”, ma ad essere coscienza critica nella società attuale. “La mancanza di lavoro – così scriveva – affligge il popolo di Sicilia. La drammatica situazione è la conseguenza di una ’politica delle parole’ sulla quale sono state costruite le nostre comunità. All’agricoltura, all’artigianato, alla pesca, floride fonti di sussistenza, a partire dagli anni ’60, è stata contrabbandata l’idea del posto fisso. Lentamente, la nostra gente è stata spodestata dei suoi capitali, fatti di terre, sementi, barche, animali e spronata a cercare il cosiddetto “lavoro sicuro”. I “politici delle parole” non hanno saputo guardare avanti per scorgere i rischi e i pericoli. Intanto, le nuove generazioni si affacciavano alla vita, aspettavano il ’reddito facile’ e sconoscevano il sacrificio per il lavoro. E oggi il mondo politico continua a legiferare per rubare qualche traccia di lavoro rimasto: anche chi ha una piccola azienda agricola o zootecnica è costretto ad abbandonarla perché non riesce ad andare dietro a leggi e regolamenti; intanto, si affaccia di nuovo la piaga dell’emigrazione”. Invitava allora a “sviluppare una cultura dell’eticità della vita, delle azioni, del rapporto sociale” in modo da “passare dalla fase della denuncia a quella della ricostruzione”.