«A seguire sentii una raffica di spari e i miei commilitoni che si accasciavano su di me. Gli spari si confondevano con le loro urla e i loro lamenti, cadevano come birilli. Venni travolto da quell’immenso peso umano che mi cadeva addosso, rimanendo schiacciato dai tanti corpi oramai privi di vita, non riuscivo più a muovermi. Svenni per il dolore e per la disperazione».
Così scrive nel suo libro “Memorie di Cefalonia”, Giuseppe Benincasa, zu Pippinuper gli amici e i tanti estimatori che si era creato di volta in volta nelle sue uscite pubbliche; è stato un testimone di quella storia che si legge sui libri, di cui discutono storici e intellettuali e che accompagna per immagini i contenuti dei docufilm.
Un miracolato come dimostra la sequenza che raccontava spesso, comune ai destini di altri soldati. Eppure apparteneva a un corpo che consumò tragedia ed eroismo in un luogo simbolo dell’esercito italiano: Cefalonia. Lì la Divisione Acqui, all’indomani dell’Armistizio del settembre del ’43, decise di resistere. E fu massacrata dai tedeschi. Peppino era in mezzo a quei cadaveri; poi fuggì, bontà sua, e da allora non si fermò più.
Entrò nella resistenza greca, ritornò in Sicilia, ripartì per gli Usa dove oggi si è spento per le complicazioni di una caduta che gli aveva procurato, circa due settimane, la rottura di tre costole.
Poche le certezze nella sua vita: l’antifascismo che lo portò in carcere fin da giovane, la tromba che aveva imparato a suonare nella banda di Castronovo di Sicilia guidata dal padre, la moglie greca Maria conosciuta dopo l’eccidio dei commilitoni e la memoria. Quella la coltivò come un giardiniere cura i suoi fiori; ne disegnò i contorni e li trasfuse in un libro: che scivola via pagina dopo pagina.
L’eccidio di Cefalonia fa il paio con El Alamein: nell’immaginario collettivo rimangono tra gli episodi che ebbero il maggiore impatto, non solo emotivo, tra gli italiani. Ma diversi i contesti e diversi i rapporti di forza: a Cefalonia il generale Antonio Gandin chiese ai suoi uomini di scegliere se arrendersi ai tedeschi e consegnare le armi, se schierarsi al loro fianco o se combatterli. Alla fine quei ragazzi scelsero l’ultima opzione: scelsero di morire.
Peppino è stato un sopravvissuto che, quando ha potuto, non ha mai smesso di esserci alle commemorazioni, alle tavole rotonde, ai convegni. A Isnello, per rimanere alle Madonie, si sedette, parlò, scherzò. Ricordò e suonò il silenzio per il partigiano Giovanni Ortoleva, per i suoi compagni, per i tanti caduti.
97 anni tondi tondi e un sorriso mite. Peppino, vulcanico, incollava alla sedia: i testimoni sono merce rara. Vanno ascoltati perché nulla è scontato nella storia, dove è facile inciampare in quei corsi e ricorsi che, a volte, offuscano presente e futuro. Antonino Cicero@AntoninoCicero1
Il nostro carissimo Giuseppe Benincasa, il 20 ottobre 2013 ha testimoniato a Roma nel processo, e grazie alla sua testimonianza fece incriminate il nazista tedesco Alfred Stork, che fu tra i responsabili della strage di Cefalonia…
Figura molto stimata: un testimone della storia contemporanea della nostra Isola, ricordato anche dai giovanissimi per la sua tenacia, entusiasmo e concretezza.
maria rosaria sinatra
buon viaggio verso Dio mio caro amico
Il gerarca Martin Borman funzionario tedesco, capo della Cancelleria del NSDAP e segretario di Adolf Hitler, era un odiatore degli italiani, diede ordine non scritto di uccidere gli italiani presenti a Cefalonia. Così furono uccisi 9.000 soldati italiani che si erano ribellati ai nazisti. [Simon Wisenthal]
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