Tinturia in concerto. Analfino: “Oggi ho paura del fascismo”

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Lello Analfino e i Tinturia aspettano di essere chiamati sul palco del Trinacria Green Festival 7.0. «Poche domande e ti lascio» e il leader del gruppo annuisce sorridendo.

Cosa vuol dire fare musica, oggi, in Sicilia?
La voce dei “ragazzi” di Raffadali è una mitraglia, come nel corso del loro live in zona campetti. «Dipende: per i Tinturia è abbastanza facile, avendo un nome e un seguito visto che da più di vent’anni siamo in giro; ma non lo è affatto per un gruppo emergente a differenza che nel resto d’Italia. Lì un produttore è facile beccarlo».Questa è la seconda volta che sbarcano a Collesano e bissano piazza piena e pubblico che li insegue sulle note. Note conosciute che hanno ormai consolidato l’immagine e il perimetro della loro musica. «Muoversi in questo mondo – continua – è più difficile per l’accresciuta concorrenza sebbene – precisa ancora Analfino – sia più facile farsi notare grazie al web, il grande calderone dove puoi fare vedere le tue cose anche se sei nel più sperduto angolo della provincia». 

Trovi ci sia più qualità?
«La musica è arte e i critici lasciano il tempo che trovano. A chi piace un genere, a chi un altro: chi ha ragione? Chi può dire – incalza ecumenico Lello – quale sia la musica “buona”? C’è Young Signorino che non comprendo eppure sta comunicando delle cose e io magari sono così indietro da non capirlo e fra dieci anni, probabilmente, potrò dire che aveva già visto il futuro». Tutto è relativo, tutto scorre.Famiglia, casa, bar, amici, semplicità: sinonimi di musica per Lello. Della sua musica. «Cerchiamo sempre di raccontare delle storie ma in modo semplice, per farle comprendere a tutti».

Disagio sociale, situazione politica…
«Sono fattori che si evolvono, anche in maniera negativa. È ovvio che fino a quando ci sarà una controparte, un’opposizione, ci sarà sempre una sorta di rivoluzione artistica, musicale che parte dagli artisti che si oppongono a un pensiero proprio attraverso le canzoni».

Oggi cos’è che ti fa più paura?
«Il fascismo, il ritorno al passato. Mi fa più paura perché ci stiamo evolvendo e la tecnologia può fare più male».

Qual è il momento più difficile e quello più esaltante, nella vostra carriera, che ricordi?
«Stasera farò un concerto e mi divertirò, poi tornerò a casa e mi riprenderà il magone perché ho voglia di fare altro e di più. Quindi ogni volta che si fa musica, per un artista è un momento di grande soddisfazione, di grande esaltazione; una volta soli vuoi fare tanto perché per fortuna c’è sempre qualcuno più bravo di te».

E questa voglia di fare tanto dove vi porterà?
«A settembre uscirà un singolo, poi un disco nuovo…»

Anticipazioni?
«Eh no! Poi ci sentiamo al momento» dice sornione.

Sul palco, tra selfie d’ordinanza e brani che scivolano via, cantano “una vita normale” e Lello cita il padre lontano dalla deriva social che investe bambini e adulti. «Le mamme con le unghie fluorescenti che stanno lì a pigiare e scorrere pagine e profili…». Ovazione. E applaudono pure loro, le mamme con le unghie fluorescenti.

Lello canta e salta come i giocatori nel campo recintato. Tra un brano e l’altro, attualità e politica: la viabilità con le strade colabrodo ridotte a trazzere di campagna, l’antimafia delle icone senza seguito nel quotidiano e l’accoglienza. «Noi siamo la regione in cui il diverso non è diverso; non abbiamo mai chiuso la porta a nessuno». E aggiunge: «Occorre piuttosto un seme di libertà e di apertura verso tutti». Sul finale l’omaggio a Rosa Balistreri e mentre intona “moru, moru, moru, moru”, raccoglie i consensi sul dramma dell’emigrazione intellettuale con un’alta percentuale fra i giovani laureati e sui lanzichenecchi che stanno calando nel paese: «Non credete alle false promesse: alla fine ci sposteranno da una posizione prona – dice mentre la mima sul palco – a un’altra identica».

“Luna china, luna vacanti” fa del pubblico canne al vento: ondeggiano telefonini, mani e accendini e si respira il caldo umido di un agosto politicamente rovente. Sullo sfondo un paese che sta cambiando; lo stesso che molti desideravano ma che in tanti non riconoscono più.

Antonino Cicero
@AntoninoCicero1