Paolo Schicchi (Collesano, 1865 – Palermo, 1950) è stato un anticlericale e anarchico individualista con tutta una sua storia che per certi momenti potrebbe essere ritenuta leggendaria e si deve aggiungere che comincia proprio da quando,
nel grembo della madre, i medici credono di non scoprire la gravidanza ma un tumore. Importante tener conto della personalità del padre avvocato di prestigiosa fama, di idee socialiste e rivoluzionarie, seguace della linea politica e di operatività antiborbonica del corleonese Bentivegna. Un dato sicuramente fondamentale per la formazione dell’adolescente del sensibilissimo Paolo che di tale aura familiare paterna dimostra pubblicamente l’acquisizione morale con la sua prima esibizione quando, studente ginnasiale a Cefalù, a quindici anni, improvvisa un fervente comizio contro la chiesa e la gerarchia ecclesiastica. Tra cronaca che non si è fatta storia e leggenda che non è storia, viene insinuato che in tale occasione una folla di praticanti religiosi cattolici ha reagito duramente e che vi furono persino lanci di sassi contro lo spregiudicato ragazzo. Da informazioni orali si racconta anche che nel corso di tale evento, una donna tra le tante protestatarie si sia fermata per lanciare sul giovane una maledizione che si sarebbe poi dimostrata profetica: “O imiterai san Paolo convertito sulla via del ritorno a Damasco o la tua vita sarà senza pace e sarai come un cane randagio per il mondo”. Si protende a non dare credito storico a questo episodio della “maledizione”, ma è certo ed accertato il fatto che Paolo, ventenne studente della facoltà di legge dell’Università di Palermo e amico dell’anarchico Genovese, innamoratosi della sorella di questo suo compagno di fede libertaria, avendo ricevuto netto rifiuto dalla famiglia, si spara un colpo di pistola al petto che fortunosamente non lede organi vitali.
È stato da un verso la rivelazione dell’indole fortemente sentimentale, romantica dello Schicchi ma è stato anche il momento dell’inizio di un nuovo percorso. Infatti il padre lo richiama in famiglia e intanto predispone quanto gli offriva la possibilità di un amico concittadino che in quel momento era prefetto regio a Bologna, per raccomandare a questi l’irrequieto figlio e agevolarne i tempi di iscrizione in quella Università. Paolo però appena giunto a Bologna ad altro non pensa che a unirsi agli organizzatori di un locale circolo di socialistizzanti, un gruppo di colleghi studenti con i quali contestare la visita del re in occasione della prossima ricorrenza del centenario dell’Università felsinea. Il complotto venne scoperto e Schicchi, espulso dall’Ateneo dove aveva ripreso gli studi di giurisprudenza, torna a Collesano per “mettere la propria testa a posta” e intanto studiare facendo praticantato legale presso gli studi di avvocati amici del padre.
Ma arriva nello stesso tempo la maturazione di una avventura tutta particolare. Schicchi propone istanza di essere ammesso al corso ufficiali e una volta ammesso mette in atto uno stratagemma: chiede di rinunciare al corso e di essere inserito nella lista dell’ordinaria leva militare obbligatoria e di poter essere trasferito a Torino. A questo punto il suo fine di raggiungere la Francia dei rivoluzionari è cosa fatta; diserta, attraversa il confine, dove è atteso da complicità, e subisce la prima conseguenza di finire imputato per diserzione in Italia. Una medaglia d’onore per Paolo Schicchi che, entusiasmato dal trovarsi tra compagni di cui divide l’ideale, azzarda la trovata di scrivere e inviare una lettera al sindaco di Collesano, notificandogli il ripudio della cittadinanza italiana al posto di quella acquisita in Francia. Ma l’idillio dura poco e sarà sufficiente il fallimento di una iniziativa rivoltosa e certi dissapori con il vertice locale degli anarchici per iniziare a deluderlo. Inoltre le sue idee di anarchico individualista (e romantico, aggiungiamo) non gli consentono di respirare aria di protezione. Il suo nome finisce in un elenco di espulsi dalla Francia e Schicchi raggiunge avventurosamente Tunisi, passando per la Spagna.
Si può dire che da quel momento l’errare e lo sfuggire alle polizia di mezza Europa sarà il suo gioco necessario. Quella volta che venne condannato a undici anni di carcere non esitò a rivolgersi ai giudici che avevano appena pronunciato la sentenza dichiarando di essere orgoglioso di poter sacrificare la propria libertà a beneficio dei principî anarchici professati. Una tempra che non poteva che avere “assorbito” una formazione indirizzata a contestare ogni ingiustizia, al punto che uno dei riconoscimenti che gli venivano attribuiti era quello di benefattore dei poveri, dei diseredati e dei perseguitati. La sua ideologia era una continua difesa dei diritti umani a ideale correzione di quelle leggi subdole che consentivano forme criptiche di violenza. E non poteva che suonare nel suo agire da idealista il viatico che gli aveva presagito Bakunin, quando durate la sua presenza a Napoli i due ebbero modo di parlarsi e dal “Maestro” la “matricola” Schicchi ricevette quasi una investitura. “Ero giovinetto, allorché ebbi il battesimo dell’Anarchia dalla colossale figura di Bakunin, a Napoli, dove fondò il giornale rivoluzionario La Campana e l’Internazionale dei Lavoratori. Bakunin mi strinse la mano e battendomi con l’altra sulla spalla mi disse: Sei un giovane energico e intelligente e farai molta strada lottando per la causa degli sfruttati, contro gli sfruttatori, che è la più giusta e la più umana. Io non ho mai dimenticato queste sue parole profetiche e sagge ed ho lottato e lotterò contro tutte le tirannie fin quando avrò un minimo di forza”.
Si continua a parlare di erosimi a proposito della vita di Schicchi spesa fino all’ultimo giorno a mantenersi fedele ai propri ideali libertari e anticlericali, e sicuramente tutto concorda a fargli meritare questo attributo ripercorrendo giorno dopo giorno il suo errare con intelligente capacità di sfuggire alle attenzioni della polizia che lo continuerà ad arrestare e i tribunali a condannare. Ma a penetrare oltre le apparenze sarà probabilmente più esatto definirlo missionario di giustizia e verità, concepite in modo molto personale e romantico. Gli anni che sono stati attraversati dalla sua operosità sono stati anche gli anni della maggiore presenza dell’anarchia in forme ammirevolmente diverse d’impegno e di programmi. L’ideale anarchico di Schicchi mirava a far raggiungere al popolo oppresso da ingiustizie una condizione di maturità tale da poter inaugurare un’era liberata da assolutismi, da violenze e da soverchierie.
Schicchi, dunque, continua a credere nella presa di coscienza del popolo degli emarginati e dei poveri, e ne sono prove il numero delle riviste cui non smise di collaborare e ancor più il numero di quelle che continuò a fondare, quasi in gara con il potere che ne sopprimeva una perché lui in tempi reali procedesse a fondarne due nuove. Questa sua costanza dice tutto sui suoi convincimenti di affidare tutto alla presa di coscienza delle masse che dovevano essere già stimolate fin dai titoli delle riviste stesse. Ed ecco uno degli aspetti sicuramente fondamentali della linea romantica dei suoi programmi. Ingenerosamente un’ala di compagni anarchici non smise di tacciarlo di schizofrenia e di inconcludenza. E sbagliavano. Quella di Schicchi era una convinzione ragionata e nello stesso tempo idealizzata. Si passi a meditare sul rifiuto di ottenere la grazia, contro le insistenze dei parenti e delle persone più care. Anche tale gesto voleva essere il lanciare un modello di coerenza e di provocare riflessioni nel popolo che avrebbe potuto e dovuto chiedersi per quale ragione un uomo onesto, animoso e operativo sceglieva di rinunciare alla libertà. E qui il discorso dovrebbe prendere altra piega fino a giungere ai confini con l’attualità, con i nostri giorni di certa politica che viene votata dai più poveri plagiati dall’inganno delle lobby più ricche. Ma non divaghiamo.
Ci sono almeno due momenti che siamo tentati di censire avviandoci alla conclusione: uno sulla enorme quantità di riviste fondate da Schicchi e quello altrettanto sbalordente delle tante cui ha continuato a collaborare con scritti che sarebbe auspicabile raccogliere; l’altro per numerare le espulsioni subite, da quella iniziale dall’Università di Bologna a quelle dalla Francia, dalla Svizzera, da Malta e così via, per poter dire che il solo elenco delle riviste fondate unito a quello di quante pubblicavano i suoi contributi, con l’aggiunta delle operazioni di polizia e le condanne e gli anni di carcere; materiale prezioso elementarmente collazionato, costituirebbe da solo un cospicuo volume, su cui commentare e dedurre positivamente sul “missionario sentimentale” Paolo Schicchi. A parte le testimonianze di intellettuali e poeti, dal Sandro Pertini incarcerto a Ventotene che sarebbe poi stato eletto presidente della Repubblica italiana, a quella coraggiosa e squillante di Ignazio Buttitta: Signori della legge, liberate Schicchi!
Non troveremo un eroe ma troveremo un campione di umanità che nec recisa recessit in nome di un ideale altrettanto umano, tra frequenti incomprensioni e trappole. Trappole come quella subita da un infiltrato informatore della polizia italiana tra i compagni del gruppo di Tunisi. L’esito sarà che quando Paolo Schicchi parte da Tunisi per accendere la rivoluzione e sbarca a Catania, qui non ci saranno i compagni anarchici ad attenderlo ma la polizia per arrestarlo.
Nicolò Schicchi, nipote di Paolo, ha recentemente pubblicato presso la casa editrice Arianna una biografia dello zio, ed è al citato saggio che indirizziamo quanti tra i lettori della nostra contenutissima nota avranno curiosità di conoscere le incredibili vicissitudini del “Leone di Collesano”, come finì per essere definito il Paolo Schicchi che da ventenne si era sparato una rivoltellata al cuore in un momento di crisi sentimentale.
Mario Grasso
Complimenti. Il suo profilo di Paolo è conciso ma molto dettagliato.
L’episodio dell’incontro con Bakunin a Napoli è un parto della fantasia di Schicchi , sempre molto fervida, come illustro a pagina 58 del mio libro-testimonianza.
Per la precisione Paolo Schicchi era mio prozio, fratello del nonno Niccolò, “Cocò”‘, molto citato nel testo.
Saluti
Nicola Schicchi
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