La personalità di Niccolò Palmeri (Termini Imerese 1778- 1837) potrebbe essere collocata al centro di tutta una compagnia di grandi e geniali personaggi della Termini Imerese,
nei suoi splendori culturali tra il Settecento e tutto il secolo successivo fino al Novecento con Rocco Cusimano, insigne storico (Termini Imerese 1868- 1952). E questo tanto per fermarci a una fascia epocale che dalla seconda metà dello stesso scorso “Secolo breve” ha consegnato alla storia della Sicilia momenti culturali esemplari.
Stiamo per scrivere su Niccolò Palmeri e la sua monumentale Summa della storia della Sicilia, includendo nel medaglione, oltre alla memoria dei due suoi concittadini storici puri, Ignazio De Michele (1810 – 1888) e il sopra menzionato Rocco Cusimano. E proprio i lasciti di storico di quest’ultimo come esito di metodologie e impegno che segnarono, per molte ragioni, il momento di scrimolo tra una civiltà di metodologie, appunto, che chiudeva il proprio tempo e una, quella che con l’occhio e l’azione guidati dalle nuove frontiere delle scienze tecnologiche, sarebbe sfociata da lì a pochi anni nella guida dell’informatica, con l’avvento di internet e di tutta una catena inarrestabile di innovazioni sempre più tecnico-digitali.
Ed ecco che non ci si perita d’insinuare quanto è cambiato in ambito proprio delle ricerche storiche del genere che aveva impegnato ingegno e lavoro di personaggi come quelli dei termitani che abbiamo citato per ricordarne il singolare valore. Termini Imerese come centro propulsore che nel vasto territorio delle Madonie continua, da vincente, a contendere con Cefalù una virtuale primazia di geni locali. Primazia che viene a sua volta confortata da tutta una rappresentanza, sempre restando in area madonita, dalla Polizzi Generosa di Giuseppe Antonio Borgese, alla antica Ganci di Fedele Vitale, alla Castelbuono di Antonio Castelli, e ancora, restando in ambito degli storici d’eccellenza, dal professore Illuminato Peri (1925- 1996) di Collesano, che con le sue numerose opere di ricerca ha lasciato un patrimonio di indispensabili fonti per quanti, sulla scorta dell’oramai immancabile ausilio dell’elettronica digitale, si volgeranno a continuare l’impegno e l’acribia del maestro cultore delle memorie di Collesano. Discorso che vorremo saper svolgere per i due storici termitani prima citati, Ignazio De Micheli e Rocco Cusimano le cui opere di ricerca storica vengono a integrarsi, come per un passaggio di testimone, tra studiosi operanti nella stessa città capitale culturale del territorio madonita.
A questo punto conviene spiegare qualche ragione che ci ha orientato a impiegare lo spazio che qui viene dedicato al Palmeri e alla sua opera storica, peraltro rimasta monca di quanto originariamente lo studioso aveva programmato. Lo precisiamo partendo dalla complessa personalità dello studioso e dalle sue eclettiche basi di estrazione culturale di alunno prediletto del Balsamo nell’Università di Palermo, e del suo rifiuto a studiare il diritto, materia che avrebbe dovuto farlo laureare in legge come dal fervente desiderio del di lui padre, che nel 1800 gli aveva imposto lo studio della giurisprudenza, inviandolo nell’Università di Catania. Tentativo vanificato dalla negata inclinazione del giovane, che pur sappiamo eccelleva negli studi dei calcoli matematici e algebrici e delle scienze agricole. Nonché nelle applicazioni alla conoscenza del latino fino a farne la propria seconda lingua, fin da ragazzo. La nostra curiosità insiste a spiegare quale mole di impegno il Palmeri eclettico, fuorché verso le rimosse pandette, (si dirà che c’era un rifiuto subliminale in lui verso la carriera di avvocato, perché afflitto da semi sordità fin dalla nascita) al momento di intraprendere e pazientare da certosino per la stesura delle Summa della storia di Sicilia. Opera cui accudirà fino al momento della morte. E così diversa dalle precedenti ricerche di storici e appassionati, originale, come lo era stato il Saggio sulle cause e sui rimedi delle angustie agrarie della Sicilia, pubblicato a Palermo nel 1826.
E come ignorare la parte avuta dal Palmeri al momento (1822) di contribuire a far risuscitare, dopo venti e passa anni di oblio, la importante Accademia Euracea di Termini Imerese (da Monte Euraco = Monte San Calogero). E come non tener conto dello stato di estrema povertà nel quale si era ridotto a vivere negli ultimi anni, prima di finire ucciso dal colera? La nobile famiglia da cui discendeva aveva subito un vero e proprio tracollo economico a causa dei contrasti politici del tempo. E diremmo che a causa di queste ultime contingenze patrimoniali, il suo temperamento orgoglioso e le delusioni per le ingiustizie e i trionfi dei voltagabbana, lo avevano indotto, di anno in anno, a isolarsi e rivolgersi alle ricerche storiche fino a ritirarsi definitivamente per proseguire con esse fino alla morte. E a proposito delle delusioni e delle amarezze citiamo un brano della biografia del Palmieri pubblicata in “Vite degli uomini illustri morti nel cholera del 1837” , tratto dal capitolo “Elogio di Niccolò Palmeri”: (…) Ricorderò solo com’egli, inaccessibile del pari alle seduzioni dell’ambizione potente, o alle noiose e subdole declamazioni d’avventati popolani, seppe tenersi per una via, che procacciavagli poscia quella onorata povertà in cu finiva i suoi giorni. Potè dunque nel segreto dell’anima disprezzare altamente e i piaggiatori dei potenti ambiziosi e i simulati popolani, quando li vide levarsi a subite e inattese fortune. Era il dicembre 1816, e dolente ritornava al paese natio (…)
Secondo una nostra opinione l’impegno di maggior momento che Palmeri ha consegnato alla storia e che continua a interessare storici e studiosi della realtà siciliana tra leggendarie origini e fino alla morte di Costanza, moglie di Arrigo lo Svevo, è, appunto, nella Summa prima citata. Anche se non sono da trascurare altre pubblicazioni di vari contenuti che lo studioso dai tanti interessi venne pubblicando tra il 1812 e il 1826. Tra cui ricordiamo: Sulle Magistrature di Sicilia (1812); Necrologia di Balsamo (1816); Calendario per l’agricoltore siciliano, in una a Sulle terme e le acque minerali di Termini Imerese (1820) e Cenni sulla cultura d’alcune campagne in Sicilia e sulle rovine di Imera, cui seguì il citato studio pubblicato nel 1826 Saggio sulle cause e sui rimedi delle angustie agrarie della Sicilia, pubblicato a Palermo, nel quale troviamo evidente la passione principale del Palmeri per l’agricoltura e le relative scienze agrarie per le quali aveva seguito le illuminate lezioni del Balsamo, di cui fu fedele discepolo e ammiratore, come dimostra il suo omaggio post mortem dedicato al compianto maestro.
Concludiamo con un assaggio di brani dalla Somma della Storia di Sicilia, citando a mo’ di premessa l’opinione che lo stesso Palmeri esprime sui momenti leggendari della Sicilia: “Che che ne sia, le favole stesse, onde quell’età è ingombra, e le tradizioni, mancando ogni altra prova, servono a farci trarre alcuna congettura sullo stato in cui l’Isola allora ebbe a essere”. Ed ecco la spiegazione dell’unico occhio dei leggendari ciclopi: “ Poteano i primi greci, che qui vennero a stanziare, per lo cui mezzo le notizie di quell’età a noi si tramandarono, dare agli Aborigeni il nome di Gigantes, cioè figli della terra. Vuolsi che i primi, che trovarono in Egitto l’arte di lavorare il ferro, e di fabbricare con grandi macigni ed informi, nell’andar sotterra per trarne i massi e il ferro, portavano una lucerna legata alla fronte; onde nacque la favola d’esservi una straordinaria genia d’uomini, con un solo occhio circolare, per cui kuxlopos furono poi detti, e tal nome poi si diede a fabbri e muratori delle seguenti età (…)”.
Palmeri non trascura aspetti di curiosità filologico-storica da inserire a tessuto connettivo di fatti e vicende dando dimostrazione di studi approfonditi e di aver consultato quanto disponibile in quegli anni per potervi attingere informazioni di prima mano, ricavare dalle documentazioni elementi solidi per intelligenti deduzioni personali. “Il dottissimo Giunguenè impiega quattro capitoli nella sua erudita e sensatissima storia letteraria d’Italia, a far conoscere la letteratura degli arabi, e particolarmente di quelli di Spagna, e ad esaminare le loro poesie, per far conoscere quanta somiglianza sia, per soggetto, che per lo più si cantava in metro, per la disposizione delle rime, tra le poesie degli arabi e quelle dei provenzali, che per essere stati i primi a poetare nella lingua che parlavano, la quale si diceva romanza o sia romana, perché formata dal linguaggio che si parlava in Roma, furono detti trubadori o trovatori, che suona inventori di questa maniera di poetare (…)”. E ancora, acquisendo meriti per avere ripescato, o meglio evidenziato in una lettera del Petrarca quella che orgogliosamente possiamo definire primazia siciliana in materia di poesia. Primazia che assume significati non solo di carattere retorico ma illumina di inconfutabile valore morale la civiltà siciliana e la sua precedenza rispetto a quanto sorte ha voluto che venisse dimenticata o trascurata per ignoranza e per pregiudizio, fino a capovolgere la realtà a favore di altre regioni dell’Italia del Nord. Basterebbero le testimonianze di queste ricerche per decorare il suo autore con medaglia d’oro alla memoria, fosse solo per il fatto che ha puntualizzato quanto ben noto, per ricordarlo a tutti. Scrive dunque il Palmeri: “Che poi i siciliani siano stati i primi a poetare nella lingua volgare, è un fatto, sul quale non può cader dubbio; tanto sono concordi nell’asserirlo tutti gli scrittori di quell’età; e se le gare municipali hanno fatto divenire ciò oggetto di disputa, e s’è creduto trovare alcun poeta anteriore ai siciliani, posto ancora che una tale anteriorità fosse incontrastabile, ciò non proverebbe che Dante, Petrarca e gli altri non dissero il vero; ma che altri poeti ebbero a essere in Sicilia, anteriori a quelli, che noi conosciamo. E ciò sembra confermato dal detto di Petrarca, il quale nella dedicazione delle sue epistole familiari dice d’avere scritte parte delle opere sue in prosa ed in versi latini, e parte “intesa a dilettare gli orecchi del volgo, usando le leggi proprie de’ volgari; il qual genere, come è fama, non son molti secoli rinacque fra’ siciliani, e quindi in breve si sparse per tutta Italia.” Ora questa lettera fu da Petrarca scritta verso il 1360, Ciullo d’Alcamo fiorì sulla fine del XII e principio del XIII secolo, però fu appena un secolo e mezzo anteriore al Petrarca, pare adunque che l’espressione: Non multis ante seculis, se si riferisse a Ciullo, ch’è il più antico di quanti se ne conoscano, sarebbe molto mal conveniente. È dunque assai probabile che i siciliani, i quali già da gran tempo usavano il loro dialetto, avessero in questo cominciato a poetare assai prima di Ciullo, tratti dall’esempio dei poeti arabi, coi quali convivevano”.
Parodiando lo Sciascia della Recitazione della controversia liparitana quando si riferisce a Matteo Lo Vecchio, chiudiamo questo medaglione sugli storici emergenti tra Termini Imerese e le Madonie con l’omaggio di una rosa per il termitano Niccolò Palmeri.
Mario Grasso