Giuseppe Ganci Battaglia (Palermo 1901-1977), viene giustamente presentato come palermitano, perché a Palermo è nato e ha poi lasciato la sua travagliata e operosa vita.
Ma non ci vuol molto per scoprire perché è stato e continua a essere definito “Il Poeta delle Madonie”. Infatti il padre e la famiglia di discendenza sono legati al grazioso, piccolo centro madonita di Gratteri, dove il poeta è stato per due volte podestà negli anni del fascismo. E forse bisognerebbe partire da questo momento politico della vita del Ganci Battaglia, commediografo, poeta, studioso, geniale operatore di cultura in forza dei saggi a carattere pedagogico che ha scritto, oltre alla narrativa. Partire dagli anni cui è stato podestà per comprendere (ma non giustificare) certo oblio che è calato sulle sue opere di teatro e di poesia, malgrado i periodici convegni locali organizzati da chi ne aveva apprezzato sia le opere sia la personalità.
Purtroppo, e non è mistero: c’è stata la volontà politica di qualche cattedra universitaria del capoluogo siciliano a impedire che la memoria dell’ex fascista Ganci Battagli venisse inserita nel circuito delle attenzioni nazionali verso gli autori siciliani i cui trascorsi annoverano incarichi politici ricoperti nel ventennio della dittatura. Sorte toccata anche a Giuseppe Maggiore, autore di romanzi (tra cui il capolavoro Sette e mezzo) e saggi, rettore dell’Università di Palermo e firmatario del fascista inumano documento contro gli ebrei. Forse si dovrà attendere che il tempo faccia affievolire certi rancori. Rancori che se per il caso di Giuseppe Maggiore trovano ampia e giusta indignazione, per il caso del mite e candido caso di Giuseppe Ganci Battaglia non possono essere collegati ad alcun demerito morale. Inoltre a ripercorrere quante difficoltà ha dovuto affrontare quest’uomo fin dall’adolescenza si comprende uno degli aspetti del suo rifugio nella creatività letteraria sia dialettale sia come brillante commediografo.
Non si può dire – lo ripetiamo – che Gratteri e Palermo abbiano lesinato attenzioni a Giuseppe Ganci Battaglia, infatti sono stati organizzati giornate di studio e convegni in sua memoria. Commemorazioni, ricerche critiche, nonché ristampe delle opere non hanno però restituito i meriti artistici e la notorietà proporzionalmente dovuti alla sua personalità, rimasta nell’ombra rispetto a quella, per esempio di Ignazio Buttitta o dell’etneo Santo Calì di Linguglossa. Con Buttitta Ganci Battaglia aveva fondato, nel 1927, la rivista di studi e poesia dialettale Trazzera. Ma poi le due anime si erano divise: Buttitta marxista e socialista che dal dopoguerra farà volare la sua poesia dalle Alpi a Capo passero, in seno alle “Feste comuniste de l’Unità”, Ganci Battaglia che deve difendersi da colpe inesistenti a causa della propria incapacità di saper cogliere occasioni valide a dimostrare la propria ingenuità politica. Su questo aspetto sono state condotte meritorie indagini dal poeta palermitano Lucio Zinna. E intanto, dai documenti reperiti e pubblicati dopo la morte possiamo leggere quanto il Ganci Battaglia, ex podestà di Gratteri, ha scritto in autodifesa: Ho servito come tutti i buoni cittadini con quella buona fede che ha adescato nella rete milioni di probi ed onesti, specie quelli che per la loro veste di dipendenti statali e parastatali (…) affondarono tutti i pericoli e seppero rimanere senza tessera, aspettando l’ora del crollo che giunse nel luglio del 1943 (…). E altrove, come si può leggere nei giudizi disinteressati e obiettivi, del genere che troviamo nello studio di C.Messina “Giuseppe Ganci Battaglia, poeta delle Madonie”: Rimasto in Sicilia ma con il marchio di essere stato fascista, dovrà accontentarsi di quel poco che il l’ingegno la genialità e la tenacia gli lascia come spazio, tra i drammi familiari dell’aver perso la prima e la seconda moglie e il dover accudire a una famiglia composta da quattro figli.
A quanto da noi appena detto sulle contrarietà si dovrà aggiungere infatti quanto appena citato dallo studio del Messina. Sfortuna che ha accompagnato gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza del futuro poeta il cui padre era emigrato in Bolivia e la madre qualche anno dopo negli Stati Uniti portando con sé il fratellino di Giuseppe e lasciando quest’ultimo affidato alle zie Mariannina e Giovanna. Giuseppe non rivedrà più i suoi genitori e non è stato trauma da poco per il futuro poeta questo distacco. Comunque non sarà del tutto azzardato attribuire alla sensibilità offesa e alla carenza affettiva sofferta, il rifugio nell’arte valvola di compensazione. Gli studi medi e ginnasiali compiuti presso i salesiani, il passaggio alla Scuola Tecnica furono preludio alla scelta finale dell’Istituto Magistrale De Cosmi di Palermo dove consegui il diploma che all’epoca abilitava all’insegnamento nelle Scuole elementari.
Da uno studio onesto ed esaustivo del professore Marco Fragale citiamo: Giuseppe Ganci Battaglia nel 1929 fu eletto primo presidente generale dell’ accademia “Giovanni Meli”; nel 1958 vinse il primo premio nazionale assoluto per la poesia dialettale al concorso “Conca D’Oro” meritandosi la medaglia d’oro ed il diploma. Premio per la cultura nel 1962; membro dell’Accademia dei 500 e dell’Accademia “Latinatis Excolandae” di Roma, nonché direttore della rivista Internazionale d’Informazione Culturale “il Ciclope”. Tra le opere pubblicate nel solo campo della poesia dialet-tale ricordiamo: Sangu Sicili-anu (1922); Amuri (1923); La Santuzza (1927); Surgiva (1940); il Volto della Vita (1958); Pupu di lignu (il poema di pinocchio); Al Milite Ignoto (1921); Sicilia Eroica ( un libretto commemorativo pubblicato in occasione dell’inaugurazione nel 1921 del Monumento ai Caduti di Gratteri).
Ma è solo un minimo aspetto se non si tiene conto delle opere teatrali dell’insonne poeta: Opere che non furono scritte per rimanere nel cassetto dell’autore ma che furono tutte rappresentate con successi testimoniati dalle cronache e dalle richieste di importanti compagnie teatrali, come quelle di Anselmi e Abruzzo, che insistevano a chiedere al Ganci Battaglia, “produzioni” da rappresentare. Qui citiamo quelle che restano tra le più note. E le citiamo riportando il nome della compagnia di teatro che le ha rappresentate: “Acchianati ca s’abballa (Compagnia Spadaro); Picuredda siciliana, dramma in due atti (Compagnia di Franco Zappalà); Eclisse totale, commedia in tre atti (Compagnia Anselmi- Colombo); A sette valvole, commedia satirica (Compagnia di Pippo Valneti); Mi dimetto da marito, commedia brillante (Compagnia Rosina Anselmi e Michele Abruzzo). Oltre alle suddette vi furono quelle trasmesse dalla RAI regionale di Palermo: Ternu ’siccu; La mala soggira; U santu d’un papà; Pani e cipudda; Li raggi X; E di cu è; A lu mircati e La magàra.
Né si possono ignorare le opere di carattere pedagogico e la saggistica propedeutica alla missione di insegnante che il poeta e commediografo ha aggiunto alla propria produzione di artista. Non è roba da poco, si dovrà pur dire, e aggiungere subito per le tante e brillanti opere teatrali che tra il divertimento come al solo leggere i titoli si preannuncia sicuro, e il corrispondente successo ottenuto dalle rappresentazioni c’è la personalità di un artista di singolari risorse. Varia da una piece all’altra il tipo di divertimento che l’Autore propone, fino ad aver lasciato per i posteri lo spaccato di costume di una realtà civile-sociale trasformata in spettacolo e divertimento. Ma anche materia per studiosi di antropologia e lessicografia. Un piccolo universo in cui l’oraziano “Scenica ex arte umanitatis comoedia” brilla di una luce originale a udienza universale in una a tutto un vocabolario da rivisitare. Una enciclopedia di stimoli a sfondo filologico sui quali, adesso che il dialetto siciliano è un ricordo dei più anziani, potrebbe costituire tema di ricerche per una ordinata confronto scientifico lessicale, indispensabile al momento di poter integrare quanto necessita recuperare tra singole voci e locuzioni di una “lingua” regionale, quella siciliana che non ha avuto koiné.
Mario Grasso