Domenica 19 gennaio presso Spazio Scena, in via Abruzzo, 10 a Castelbuono, organizzato dall’Accademia dei Curiosi, si terrà la conferenza “Viaggio alla scoperta dell’ebraico, la lingua che visse due volte” a cura del prof. Camillo Palmeri.
Scoprire e capire l’ebraico può essere una cosa strana, lontana e eccessivamente specialistica, riservata solo ad alcuni. In realtà questa lingua e questa cultura ci sono vicine più di quello che pensiamo. Molti aspetti possiamo ritrovarli nel nostro inconscio e il loro studio diventa un metodo, un cammino, per trovare proprio una parte di questo inconscio nascosto in noi stessi come nella nostra civiltà. È un processo analitico per arrivare alla profondità della nostra esistenza, un po’ simile a una psicoanalisi.
Scoprire l’ebraico è un lavoro che apre una porta per arrivare a radici profonde e non comporta necessariamente una premessa religiosa o di fede, perché molti elementi sono semplicemente una base comune della nostra esistenza. Accostarsi all’ebraico è in qualche modo anche un evento comunitario, perché restituisce la “Realtà rimossa per eccellenza” dalla nostra cultura e (per i credenti) dalla nostra fede.
La base di ogni fondamento, il punto di partenza, della cultura ebraica sono le 22 lettere dell’alfabeto che sono, secondo la tradizione, anche gli elementi fondamentali di tutta la creazione.
Quindi ogni lettera dell’alfabeto ha, per così dire, una sua origine, una sua storia, un suo significato ed una sua personalità. Il mistero di ciascuna di queste lettere è inoltre non soltanto nella forma o in ciò che rappresenta, ma anche nella maniera in cui avviene il tracciato della sua scrittura; così “la parola”, che è alla base di tutta la genesi dell’universo, si è conservata proprio in queste lettere ed ogni lettera a sua volta ripete il miracolo della creazione stessa ogni volta che viene riprodotta e ricomposta.
Secondo la Bibbia le tavole della legge sono consegnate a Mosè dopo che sono state letteralmente “scritte con il dito di Dio”. Ebbene bisogna riflettere che dunque siamo, secondo la tradizione, davanti a un dio che non solo “parla”, ma che anche “scrive”. E scrive usando quelle lettere con cui è leggibile l’intera Bibbia (ovvero “Tanach”, secondo il termine ebraico), quelle lettere che per ogni ebreo devono essere necessariamente dei segni divini. Questi stessi manifestazione della divinità o (per chi non sente l’obbligo di una fede precisa) di un pensiero, di una spritualità superiore.
Le prime due lettere dell’alfabeto ebraico (appartenente storicamente agli alfabeti semitici) sono Aleph e Beth e per conseguenza tradizionalmente con la parola “alephbeth” si intende tutto l’alfabeto. In seguito i greci, una volta importati i segni dai fenici, li chiameranno “alphàbetos”, proprio sull’esempio della tradizione mediorientale.