Termini Imerese, dal XII al XVI secolo: il promontorio scomparso di “Muso di Lupa” e la tonnara

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Il tratto terminale della rupe dell’ex castello di Termini Imerese, visto dall’area antistante al porto, con tutta evidenza appare oggi artificialmente troncato di netto e mancante di una estesa porzione di roccia che si estendeva, grossomodo, sino al sito dove sorge la capitaneria del porto.

A causa degli effetti prodotti dall’attività antropica, l’attuale assetto geomorfologico ed il paesaggio costiero non ha più alcuna corrispondenza con quello presente anteriormente all’apertura, a partire dal 1873, di alcune cave di pietra calcarea. Queste ultime furono attivate soprattutto per fornire il materiale lapideo necessario per la realizzazione della struttura a gettata di massi con cui fondare l’originario molo di sopraflutto dell’erigendo porto (completato nella sua ossatura attorno al 1914). Negli anni 70′ del XX secolo, tale diga foranea fu poi severamente danneggiata da una serie di mareggiate, culminate poi con il crollo del faro nel Gennaio 1981 (cfr. A. Contino, Aqua Himerae…cit., p. 238).
Questo sito, alla radice del molo di sopraflutto o diga foranea, era un tempo l’estremo occidentale della rada di Termini Imerese, caratterizzato da forme di erosione litoranee costituite da un’alta e pittoresca costa rocciosa, in alcuni tratti con altezza superiore ad una ventina di metri, da sub-verticale a strapiombo, orlata da piccole baie, scogli ed isolotti (legati all’erosione lungo fratture o in corrispondenza di rocce più erodibili oppure per crollo e/o scivolamento di blocchi rocciosi). La costa rocciosa, sottoposta agli effetti legati agli ordinari processi prodotti dall’erosione marina ed ai fenomeni gravitativi di versante, era intagliata dalla natura nei calcari giurassici e cretacei appartenenti al cosiddetto dominio Imerese. Il  litorale roccioso appariva frastagliato ed allungato in senso E-O, dando vita a forme controllate dall’erosione selettiva (morfoselezione), in funzione della diversa resistenza offerta dalle litologie agli agenti esogeni, dall’abrasione (prodotta dalle onde alla base della scarpata), ma  soprattutto dalla struttura, con un pendio coincidente o quasi con la pendenza degli strati, immergenti verso N di circa 40° sessagesimali. Da tale peculiare morfologia deriva il toponimo Valatum (dall’arabo balāṭ o balāṭah ‘lastra di pietra’) documentato sin dal XV sec. (cfr. A. Contino, Aqua Himerae. Idrografia antica ed attuale dell’area urbana e del territorio di Termini Imerese (Sicilia centrosettentrionale), Giambra Editori, Termegrafica, Terme Vigliatore, Messina 2019, p. 59).La forma planimetricamente quadrangolare della Rocca del Castello di Termini, appare fortemente controllata da due articolati sistemi di faglie (fratture con apprezzabile spostamento delle due parti) con movimento prevalentemente distensivo. Il primo, ad andamento circa ENE-OSO, ha dato vita a limitate strutture tettoniche distensive con alti e bassi morfostrutturali (noti nella letteratura geologica, rispettivamente, con i termini, di origine germanica, horst e graben). Il secondo, con direzione circa N-S, è responsabile dell’estrusione della rocca, esaltata dall’erosione differenziale che ha agito maggiormente sugli orizzonti argillosi rispetto a quelli calcarei e dolomitici.

L’interazione tra il lento sollevamento regionale (uplift), i processi costieri, e gli stazionamenti alti del livello marino durante le fasi  interglaciali, ha dato origine a superfici di abrasione, sub-orizzontali, disposte a diverse quote, separate da scarpate (paleofalesie) con altezza variabile (da metrica a decametrica), talvolta intagliate alla base da grotte. Il caratteristico promontorio roccioso, totalmente ed irrimediabilmente distrutto dall’attività estrattiva di materiali lapidei, prima della sua scomparsa, esibiva con particolare evidenza queste forme fossili, elevandosi dal mare, sino ad un’altezza di 50-60 m e protendendosi a riparare naturalmente questa porzione della rada dai venti settentrionali di traversia.

Nel promontorio distrutto, l’alternarsi a più altezze delle predette forme fossili, nel loro complesso, facevano rassomigliare questo peculiare profilo ad una testa e ad un muso animalesco, donde la denominazione di Muso di Lupa o Muso di Porco, attestata nei documenti sin dal XVI sec. ad es. il primo Gennaio 3a Indizione 1530, i giurati (amministratori civici) disposero che un certo Leonardo Gentile, sotto pena di una multa di onze 10, avrebbe dovuto tenere la mandria delle sue capre sempre fuori la cinta muraria medievale, trasferendole dal luogo dove erano, non lontano dalle fortificazioni (teniri li crapi a li mura), sino al promontorio di Muso di Porco: «li tegni a lo loco chiamato di musso di porco app[re]sso mari» (cfr. Atti dei Magnifici Giurati della Splendidissima e Fedele città di Termini, d’ora in poi AMG, anno 3a indizione 1529-30, in Frammenti degli atti dei Giurati dal 1516 al 1549, d’ora in poi AMG frammenti 2, misc. mss. sec. XVI, Biblioteca comunale Liciniana di Termini Imerese, d’ora in poi BLT, ai segni III 10 i 3, s. n. p.).

Un’incisione a stampa,  di autore anonimo, intitolata Termini Città di Sicilia, dedicata a D[on]. Christofaro Massa, Duca del Castello di Iaci, Conte di S. Gio[vanni]: La Punta, Barone del Fanaco etc., Deputato del Regno di Sicilia, mostra la veduta della cittadina imerese da un punto di vista ubicato ad oriente dell’abitato e, nonostante diversi errori prospettici (ad es. manca l’orizzonte), esibisce chiaramente, alle pendici del castello, il singolare promontorio di Muso di Lupa o Muso di Porco.

Qui occorre puntualizzare riguardo l’identità del destinatario della dedica apposta nell’incisione: Cristoforo Massa Galletti, III duca del Castello di Aci (oggi comune di Aci Castello in provincia di Catania), investito il 20 Ottobre 1690, e che era Governatore della Compagnia della Pace di Palermo nel 1712, Deputato del Regno e Gentiluomo di Camera del Re Carlo II [Carlo III di Borbone]. A Cristoforo Massa succedeva poi il figlio Giuseppe Emmanuele, per investitura del 17 Febbraio 1743 (cfr. Francesco Maria Emanuele e Gaetani marchese di Villabianca, Della Sicilia Nobile, Bentivenga, Palermo MDCCLVII, continuazione della parte seconda, pp. 139-141). Nel Diario Palermitano (1680-1743) del canonico Antonino Mongitore, Cristoforo Massa è menzionato tra i deputati del Regno di Sicilia, per la solenne acclamazione palermitana di Filippo V di Spagna e re di Sicilia, addì 30 gennaio 1701 (cfr. G. Di Marzo, Diari della Città di Palermo dal secolo XVI al XIX, in “Biblioteca Storica e Letteraria di Sicilia”, vol. VII, Pedone Lauriel, Palermo 1871, p. 233), cioè nell’anno indizionale 1700-1701. La carica predetta, secondo quanto riferisce Nicolò Palmeri era triennale (cfr. N. Palmeri, Saggio storico e politico sulla costituzione del Regno di Sicilia infino al 1816 con un’appendice sulla rivoluzione del 1820, Bonamici e Compagni, Losanna 1847, p. 77). Pertanto, qui per la prima volta, siamo in grado di attribuire la datazione dell’incisione predetta attorno al 1700-1701. Il compianto storico ed etnoantropologo termitano Giuseppe Navarra (1893-1991), ha per primo identificato correttamente il destinatario della dedica apposta a questa incisione (cfr. G. Navarra, Termini com’era, a cura di S. D’Onofrio, GASM, Termini Imerese 2001, pp. 57-58), ma la sua proposta di datazione dell’incisione al regno di Carlo III di Borbone, 1734-1759, quindi, è errata.

Non si può fare a meno di effettuare un parallelismo tra il predetto toponimo termitano ed il suo omologo Murro di Porco, che indica l’estremo capo calcareo della Penisola della Maddalena, immediatamente a S di Siracusa. Proprio il siracusano Murro di Porco è rammentato dal geografo islamico del XII secolo Al-Idrīsī, nella sua opera Sollazzo per chi si diletta di girare il mondo (Nuzhat al-mushtāq fî ikhtirāq al-āfāq), con il nome di ‘anf ‘al ḫinzîr, cioè la Punta del porco (cfr. M. Amari – G. Schiaparelli, L’Italia descritta nel «Libro del Re Ruggero» compilato da Edrisi. Memoria letta nella seduta del 17 dicembre 1876,Atti della Reale Accademia dei Lincei”, anno CCLXXIV, 1876-77, serie seconda, vol. VIII, Salviucci, Roma 1883, p. 96).

L’estrema propaggine sul mare del promontorio termitano era la cosiddetta Punta della Garofala o di San Giovanni, che aveva la sua prosecuzione sottomarina nella secca di S. Giovanni, sulla quale fu realizzato il molo di sopraflutto del porto [cfr. A. Contino, Le Grotte della Rocca del Castello in Termini Imerese (Palermo), in R. Ruggeri, a cura di, Atti del “2° Seminario Internazionale di studi sul Carsismo negli Iblei e nell’area sud-mediterranea”, 28-30 maggio 2004, Castello di Donnafugata, Ragusa, suppl. a “Speleologia Iblea” n. 12, 2007, pp. 255-264].

Il naturalista termitano Saverio Ciofalo (Polizzi Generosa, 27-6-1842; Termini Imerese 9-4-1925), nel suo opuscolo di 60 pagine, intitolato Topografia di Termini Imerese e suoi dintorni, completato nel Dicembre del 1866 ed edito due anni dopo a Palermo (Stamperia di Rosario Perino), a p. 5 indica correttamente quelli che allora erano gli estremi fisici della rada di Termini Imerese: «La punta del castello a San Giovanni nel nord, e la punta della Secca segnano i limiti della sua apertura verso il mare».

In vicinanza di tali limiti della rada sorgevano le due tonnare dette rispettivamente di Termini o della Lupa e di Galia Sicca (Calasecca) o di Xalandro o di San Calogero.

La tonnara di Termini era altresì denominata della Lupa per essere posizionata tra il lato riparato del promontorio di Muso di Lupa o Muso di Porco ed il lido che, anticamente, era prospiciente al sito dove oggi ricade la chiesa di S. Bartolomeo Apostolo (prospettante sull’attuale Via Giuseppe Salemi Oddo). Tale luogo di culto a servizio della tonnara era già esistente nel XV sec. essendo documentato in un rogito di notar Antonino Bonafede di Termini del 7 Giugno 1454. Il detto atto notarile è menzionato dallo storico termitano Gerolamo Maria Sceusa Provenzano,  accademico euraceo con lo pseudonimo di Uranio Bellino,  al f. 48r del suo ms. Termini Imerese Splendidissima, e Fedele Città Della Sicilia, suo Nome, sua Origine, suo culto, e Suoi progressi, sotto i Dominij che il nostro Regno han governato, datato 1796, BLT, ai segni AR d β 22.

Nei rogiti superstiti dei più antichi notai termitani Giuliano ed Antonino Bonafede, rispettivamente padre e figlio,  questa tonnara, con le sue strutture a terra, è ben attestata soprattutto nella prima metà del XV sec. (R. M. Dentici Buccellato, Dall’abitato romano all’abitato medievale: Termini Imerese, “Atti del Colloquio internazionale di Archeologia medievale”, Istituto di Storia Medievale, Università di Palermo, vol. I, Cappugi e F., Palermo 1976, pp. 198-215).

Più ad E dell’area di pertinenza della tonnara sorgeva il grande Caricatore termitano (gravitante sull’attuale Piazza Crispi), cioè il complesso di magazzini per il deposito transitorio di «vettovaglie» (soprattutto cereali e legumi), da sdoganare prima del carico e che, per tutto il medioevo e per la prima metà del Cinquecento, era ubicato al di fuori dell’abitato.

La fascia costiera, specialmente nel corso degli ultimi sette secoli ha subito il fenomeno dell’interrimento, con una accelerazione a partire dalla fine del XIX sec., a causa della realizzazione delle strutture portuali che hanno sensibilmente interferito con la corrente litoranea.

Questo settore costiero della rada, senza alcun dubbio, era un sito più favorevole per intercettare il tragitto dei branchi di tonni [Thunnus thynnus (Linnaeus, 1758), Scombridae, nella letteratura anglosassone Atlantic Bluefin tuna, cfr. J.-M. Fromentin, J.E. Powers, Atlantic bluefin tuna: population dynamics, ecology, fisheries and management, “Fish and Fisheries” 6, 2005, pp. 281-306], che transitavano dalla primavera a fine Luglio, rispetto a quello delle tonnare confinanti, essendo ben protetto dalla mole del promontorio roccioso, ed ideale per insediarvi il complesso di strutture stabili della tonnara di Termini che, analogamente alle altre destinate a tale impiego, era detto malfaraggio, dall’arabo mafrāš ‘luogo dove si stende’ (cfr. H. Bresc, Il vocabolario della pesca nella Sicilia del ‘300 e del ‘400, “Bollettino dell’Atlante linguistico mediterraneo”, 16-17, 1974, pp. 11-23; H. Bresc, Pesca e tonnare nella Sicilia medievale, “Miscellanea storica ligure”, XVI/2, 1984, pp. 123-139; R. M. Dentici Buccellato, Tonnare e tonnaroti nella Sicilia del Quattrocento, in I mestieri. Organizzazione, Tecniche, Linguaggi, “Quaderni del Circolo Semiologico Siciliano”, 17-18, Palermo 1984, pp. 121-135; H. Bresc, La péche et les madragues dans la Sicile médiévale, in L’homme méditerranéen et la mer, vol. II, Tunis 1985, pp. 166-180). Tale denominazione era evidentemente legata alla loggia retta da pilastri dove, posteriormente alla mattanza, i tonni venivano appesi per la coda,  dopo l’esecuzione delle operazioni propedeutiche, quali i vari tagli, estrazioni, pulizie e lavaggi interni del pescato. Successivamente, avveniva la pesatura e vendita di una parte dei tonni freschi, mentre gli altri erano destinati prevalentemente alla lavorazione, salagione e conservazione. Infine, gli scarti secchi, costituiti prevalentemente da ossa, erano bruciati e la cenere utilizzata come fertilizzante per le vigne e campagne (cfr. F. C. D’Amico, Osservazioni pratiche intorno la pesca, corso e cammino de’ tonni etc., Società Tipografica, Messina 1816, 164 pp.).

Queste attività davano lavoro stagionale non solo alla numerosa ciurma, comandata dal raysi (sovrintendente) coadiuvato da marinai particolarmente esperti (capuguardii), addetti al controllo della prima camera della tonnara (cfr. R.M. Dentici Buccellato, Tonnare e tonnaroti…cit., 1984, p. 125), composta da marinai generici ed addetti a specifiche mansioni (ad es. impiantare la tonnara, arpionare i tonni etc.), facchini, ma anche dai lavoratori addetti al trattamento e conservazione del pescato (operai addetti a stendere, incidere, pulire, squartare, pesare, salare e riporre i tonni, costruttori di botti etc.), alla custodia (guardiani etc.), maestri d’ascia, calafati, fabbri ferrai etc., permettendo loro di avere per circa un trimestre vitto e, per i non residenti, anche alloggio e di racimolare denaro utile per sostentare le rispettive famiglie. I lavoratori, inoltre, durante la stagione della pesca e lavorazione del tonno, erano preservati dal rischio dell’arresto per debiti, grazie alle cosiddette feriae tonnitiarum.

Il pregiato e prelibato pescato in salamoia, venduto tutto l’anno anche fuori del Regno di Sicilia, era conservato in barili di varia capienza, realizzati in loco, nella Strada di S. Bartolomeo (Ruga Sancti Bartolomei) che, proprio a causa di tale produzione, prese poi il nome di Strada dei Bottai (odonimo che il popolo ha continuato ad utilizzare anche dopo l’intitolazione a Giuseppe Salemi Oddo), per la presenza dei laboratori di dette maestranze specializzate.

Il complesso del malfaraggio comprendeva generalmente dei distinti ambienti, disposti attorno ad un cortile o baglio (cfr. M. Giacomarra, Glossario, in V. Consolo, La pesca del tonno in Sicilia, Sellerio, Palermo 2008, ad indicem): gli alloggi della ciurma; la camparìa, costruzione rettangolare generalmente d’impianto basilicale, utilizzata soprattutto per assemblare e smontare le reti; la trizzana, arsenale per costruire o riparare le imbarcazioni; un magazzino  per deporvi gli indumenti e le attrezzature, quali reti, cavi, cordami (di ampelodesimo, ddisa, produzione tipica di Termini, o di canapa), gomene [di canapa o di sparto di Spagna, Stipa tenacissima L.], argani, ancore, aste adunche, galleggianti di sughero e  tende; ed infine il precitato edificio di culto per le funzioni religiose (S. Bartolomeo Apostolo).

 Ancora il geografo islamico Al-Idrīsī, nella sua opera precitata, relativamente agli ambiti territoriali costieri della Termini del XII sec., rammentava che «nel porto poi di questo paese si prende quel gran pesce che addimandasi [sic, chiamasi] il tonno» (cfr. M. Amari – G. Schiaparelli, L’Italia descritta nel «Libro del Re Ruggero»…cit. 1883, p. 28).

Del resto, la casa regnante normanna, detenne direttamente la gestione delle tonnare che esigevano la presenza d’impianti peculiari, talvolta molto importanti (F. Chalandon, Histoire de la domination normande en Italie et en Sicile, vol. II, A. Picard et fils, Paris 1907, pp. 701-702; H. Bresc, La péche dans l’espace économique normand, in Atti delle VII Giornate normanno-sveve, Bari, 1987, pp. 271-291). La vendita del prodotto fresco, nonché conservato in barili, permetteva di ricavare un notevole gettito finanziario grazie alla vendita di tonnina salata/affumicata.

Ruggero I, nel 1094, aveva concesso al monastero di S. Bartolomeo di Lipari il diritto di percepire la decima parte delle rendite fiscali di Termini, poi esercitato dal vescovo di Lipari-Patti, mentre dal 1130 la quota fu ceduta per metà all’arcivescovato di Palermo diocesi che comprendeva la cittadina, antica sede vescovile, ed il territorio di pertinenza (cfr. P. Bova, A. Contino, Traffici commerciali sulla rotta marittima Lipari-Termini Imerese tra l’XI ed il XVIII sec., pubblicato on-line in questa testata il 18 Febbraio 2019).

Sin dal XIII sec. sono attestati i diritti della diocesi palermitana sulle decime derivanti dalla pesca del tonno. Nel Dicembre 13a Indizione 1210, con privilegio dato nella capitale del Regno di Sicilia, Federico II di Svevia e I di Sicilia concedeva all’arcidiocesi palermitana due nuove prebende, per un ammontare totale di 600 tarì, da percepire da altrettanti canonici, con il beneficio peculiare, per ogni singolo anno, delle decime dalle tonnare regie ricadenti nel territorio della città “Felice” (cfr. A. Mongitore, Bullae, Privilegia et instrumenta Panormitanae. Metropolitanae Ecclesiae, Regni Siciliae primariae collecta notisque illustrata, Panormi, 1734, pp. 80-81). Nell’Aprile 14a Indizione 1211, con privilegio dato in Messina, Federico confermava quanto il padre Enrico aveva accordato all’arcidiocesi precitata,  relativamente alla decima in natura di tutte le tonnare di Palermo (cfr. A. Mongitore, Bullae, Privilegia…cit., pp. 85-86).

Nell’ottobre, 15a Indizione 1211, infine, con privilegio dato nella capitale del Regno di Sicilia, il detto monarca, ribadiva quanto spettava all’arcidiocesi precitata, cioè 29.200 tarì degli introiti della città, a prescindere delle eventuali oscillazioni delle entrate, comprensive delle due nuove prebende canonicali spettanti sulle decime dei tonni (cfr. A. Mongitore, Bullae, Privilegia…cit., pp. 86-91).

Per quanto riguarda l’antico territorio diocesano di Termini, accorpato nel XII sec. all’arcidiocesi palermitana, allo stato attuale delle ricerche, abbiamo un’attestazione tarda, relativa al XVI sec. che, come vedremo oltre, certifica come era ancora in uso l’antica consuetudine della riscossione della decima parte del pescato delle tonnare, da parte del locale arciprete e della comunia del clero, dividendo la quota spettante in due parti uguali.

Tornando alla Tonnara di Termini o di Muso di Lupa, da quanto detto, tenendo conto che nel corso dei secoli, nel medesimo sito si aveva la continuità d’uso del malfaraggio, si deve arguire che il litorale, già precedentemente al dominio normanno, aveva subito un considerevole accrescimento verso il largo (progradazione costiera) ed ivi sorgeva il marfaraggio, lambito dal mare, grosso modo sul sito occupato dall’attuale chiesa e sacrestia di S. Bartolomeo Apostolo, che sorgevano su antichi apparati dunari. Questi ultimi, erano originariamente bordati da retrostanti residue aree lagunari poi bonificate ed i cui depocentri colmati venivano poi trasformati in piazze, quali la Platea Xilbarum (l’odierna Piazza S. Anna) e, probabilmente, anche l’odierna Piazzetta Geraci (anche se per quest’ultima, allo stato attuale delle ricerche, non sono a nostra disposizione dati derivanti da indagini geognostiche). Questi tipici sistemi cordone dunare-laguna costiera (cfr. K. F. Nordstrom, N. Psuty, B. Carter, Coastal dunes: form and process. John Wiley & Sons Ltd., Chichester, 1990, 410 pp.) non solo difendevano naturalmente il litorale prospiciente sulla rada di Termini dagli effetti degli eventi estremi meteo-marini, ma costituivano una notevole fonte di ricarica di sedimenti per la lunga e falcata spiaggia ed un prezioso tassello dell’ecosistema costiero (cfr. McLachlan A., Sandy beach ecosystems. In: Brown A. C. & McLachlan A., Eds., “Ecology of sandy shores”, Elsevier, Amsterdam-Oxford-New York–Tokyo, 1990, pp. 197-226).

La prima attestazione documentaria diretta, relativa alla tonnara di Termini, allo stato  attuale delle ricerche, risale alla fine del XIII sec., durante il regno di Federico III d’Aragona e II di Sicilia. Tutto ciò è provato dalle imbreviature (minute) del 1298-99, redatte da notar Adamo de Citella di Palermo, scoperte e per la prima volta edite dallo storico, paleografo ed uomo politico siciliano Raffaele Starrabba di San Gennaro (1834-1906), in alcuni numeri della rivista “Archivio Storico Siciliano” (d’ora in poi ASS), organo ufficiale della benemerita Società Siciliana di Storia Patria. Tali imbreviature, ci attestano che il 12 dicembre 1298 furono emessi dei mandati di Enrico de Chirino e Bartuccio Mazarella in persona di notar Guillino de S. Laurencio per emendare dalla Regia Corte i diritti della Secrezia (organo centrale dell’amministrazione finanziaria e tributaria) di Palermo ed il reddito delle seguenti tonnare: di Termini (Thermarum), di Solanto (Solanti, nelle immediate vicinanze del castello omonimo oggi convertito ad hotel), di S. Elia (S. Elie) e di S. Giorgio di Palermo (S. Georgii de Panormo, sita dove poi sorse il molo, iniziato nel 1563) nonché di Castellammare del Golfo (Castri ad mare de gulfo). Da notare che nella imbreviatura in oggetto le tonnare precitate sono elencate in funzione della loro ubicazione, dal golfo di Termini ad E, a quello di Castellammare ad O di Palermo (cfr. n. 155 a p. 73, in R. Starrabba, Catalogo ragionato di un protocollo del notaio Adamo de Citella dell’anno di XII indizione 1298-99, che si conserva nell’Archivio del comune di Palermo, in “Archivio Storico Siciliano”, n. s. anno XIII, Tipografia dello “Statuto”, Palermo 1888, pp. 73-88).

Nella seconda metà del Trecento troviamo il castello e la cittadina demaniale di Termini segregata dal regio demanio ed infeudata come baronia ad esponenti della casata nobiliare dei Ventimiglia, che signoreggiava su gran parte delle Madonie: a Francesco II il 10 Novembre 6a Indizione 1367 (cfr.  A. Marrone, Repertorio degli atti della Cancelleria del Regno di Sicilia dal 1282 al 1377, “Mediterranea. Ricerche storiche” on line su www.mediterranearicerchestoriche.it, Palermo, maggio 2009, p. 490) e, in seguito,  per successione ereditaria, nel 1388 al figlio Antonio che ne manteneva il possesso sino al 1392 (cfr. A. Marrone, Repertorio della feudalità siciliana, 1282-1390,Mediterranea. Ricerche storiche”, Palermo 2006, pp. 444-445).

Nelle more dell’infeudazione predetta, il 13 Novembre 6a Indizione 1367 (cfr.  A. Marrone, Repertorio...cit., 2009, p. 492), venivano assegnati al nobile Francesco Ventimiglia ed eredi, sotto servizio militare, tutti i proventi delle due tonnare della curia: S. Nicola (oggi S. Nicola L’Arena, frazione del comune di Trabia) nel tenimento di S. Onofrio (oggi contrada e monte S. Onofrio nel territorio di Trabia) e la tonnara sul lido della città di Termini che, essendo sita fuori la cinta muraria, veniva indicata nel “territorio” della cittadina imerese (cfr. A. Contino, Aqua Himerae…cit., p. 77).

Alla fine del Trecento, Termini tornava poi al regio demanio assieme ai suoi ambiti territoriali.

La successiva storia documentata della tonnara di Termini presenta molte luci ed ombre, poiché manca sinora uno studio esaustivo ed il quadro coerente che siamo riusciti a ricostruire, qui presentato per la prima volta, costituisce la base per ulteriori futuri approfondimenti. I dati sinora reperiti, a nostro avviso, sono sufficienti per sostenere che la  tonnara di Termini era molto ambita e destava bramosia per la sua rilevanza economica.

Lo storico francese Henri Bresc (cfr. H. Bresc, Un Monde méditerranéen. Economie et société en Sicile 1300-1450, ”Collection de l’École Française de Rome”, Regione Siciliana Assessorato Beni Culturali ed Ambientali, Accademia di Scienze, Lettere e Arti di Palermo, Palermo 1986, vol. I, p. 266) ha elaborato una tabella sulle tonnare siciliane esistenti tra l’XI e il XV sec. (table n. 39, Les madrague sicilienne) nella quale, giustamente, distingue la tonnara di Termini (1337, 1351, 1438) da quella di Galia Sicca (1447).

La fonte principale in proposito rimane il Liber de Secretiis del giurista siciliano Giovanni Luca Barberi o de Barberis (Lentini, XV secolo – Messina, 10 maggio 1523). Tale opera manoscritta fu pubblicata nel 1966, presso l’editore Giuffrè in Milano (collana Acta Italica, 11, XXXIX+332 pp.), dal compianto storico siciliano Enrico Mazzarese Fardella, scomparso da pochi anni [cfr. B. Pasciuta, In ricordo di Enrico Mazzarese Fardella (1923-2017), “Historia et ius”, 11/2017 paper 19, 6 pp., nel sito www.historiaetius.eu], profondo studioso della storia del diritto in Sicilia, esegeta e curatore attento di fonti medievali e moderne.

Il Barberi, su incarico di Ferdinando il Cattolico, recensiva i titoli feudali del Regno di Sicilia verificandone il legittimo possesso attraverso l’effettiva investitura regia e le eventuali usurpazioni, e ne forniva un rapporto dettagliato (redatto nel 1506).

Per ulteriori approfondimenti sulla figura e sull’attività di Giovanni Luca Barberi rimandiamo il lettore ai due più recenti studi, dovuti a Davide Alessandra (cfr. D. Alessandra, L’eredità di Giovan Luca Barberi 1523-1579, in “Archivio Storico per la Sicilia Orientale”, Franco Angeli, n. 2/2018, pp- 32-67) ed a Henri Bresc (cfr. H. Bresc, Nel regno di Trinacria. Geografia e storia nell’opera di Giovan Luca Barberi in Sicilia millenaria. Dalla microstoria alla dimensione mediterranea, Atti del II convegno internazionale, Castello di Santa Lucia del Mela, Messina, 13-16 Ottobre 2016, vol. I, a cura di Filippo Imbesi e Luigi Santagati, in “Archivio Nisseno”, Società Nissena di Storia Patria, anno XI, n. 21, Luglio-Dicembre 2017, pp. 87-117).

Nel Quattrocento, la tonnara di Termini, che era di diritto della regia secrezia, era posseduta  da vari personaggi di spicco, alcuni dei quali di estrazione catalana e della corte di Alfonso V il Magnanimo d’Aragona (re di Sicilia dal 1416 al 1458), taluni tenendola in esercizio senza possedere l’adeguata concessione regia, che poteva essere vitalizia o ereditaria. Per ulteriori approfondimenti sulla presenza catalana in Sicilia rimandiamo il lettore ai contributi illuminanti di Henri Bresc [cfr. H. Bresc, Pouvoir et société politique: la Sicile catalane (1282-1458), in Pouvoirs et sociétés politiques en les royaumes ibériques au bas Moyen lige (fin XIIIe siècle-milieu XVe siècle), Nice, 1986, pp. 93-118; Alphonse le Magnanime: Empire de conquéte et État apatride, in M. Balard e A. Ducellier, a cura di, Coloniser au Moyen Âge, Paris 1995, pp. 189-198].

Il primo conferimento documentato, rintracciato dal Barberi, era quello di un certo Pino (diminutivo di Iacopo) Cascione (Caxuni), segretario (cfr. J. L. De Barberiis, Liber de Secretiis…cit., p. 94), sottoposto alla servitù militare con la consueta fornitura di un cavallo armato.

Alla morte del detto, nella medesima forma era concessa dal viceré Ruggero de Paruta (in carica nel 1435 e nel 1438) ad Antonio de Cacciato (Cachato), con la sovvenzione di onze 30 alla regia curia, alla quale poi rinunziava (cfr. J. L. De Barberiis, Liber de Secretiis…cit., pp. 94-95).

A tale rinuncia non sembra siano estranee le vicissitudini giudiziarie di questo personaggio poco studiato, ma che dalle carte edite appare essere stato un funzionario spregiudicato e corrotto. Con sentenza del re Alfonso data a Gaeta il 16 Giugno 1438, resa esecutoria a Palermo il 3 Luglio, il Cacciato, che ricopriva la carica di luogotenente del Maestro Portulano di Palermo, era condannato per frodi in danno della regia corte, nonostante la sua fuga e contumacia. L’indagine per appurare i fatti veniva condotta da Adamo de Asmundo Maestro Razionale ed Antonio Caramagna Conservatore del real patrimonio (funzionario della Conservatoria, ufficio che gestiva l’alta amministrazione economica del Regno di Sicilia), in qualità di commissari insigniti della piena sovrana autorità. I due commissari, essendo presente Paolo Pollastra procuratore del Cacciato, stabilivano per l’accusato (che doveva già onze 50 e tarì 6 per interesse e danno nei confronti della regia curia), la condanna a sborsare l’ingentissima somma di onze 401 e tarì 18 (cfr. G. Silvestri, Sullo stato e sulla riforma nella legislazione dei pubblici Archivi in Italia. VIII., in “Rivista Sicula di Scienze, Letteratura e Arti”, anno II, vol. IV, fasc. VII-VIII; doc. XXI, pp. 141-142).

Il Cacciato, probabilmente in conseguenza della predetta esorbitante condanna pecuniaria, era costretto ad indebitarsi per far fronte alla spese e doveva cedere la tonnara al catalano Antonio Olzina che, subentrandogli, la doveva annoverare esclusivamente vita natural durante, non possedendo alcun rescritto di concessione (cfr. J. L. De Barberiis, Liber de Secretiis…cit., p. 95). 

Antonio Olzina od Olcina, era capitano di mare, milite dell’ordine di Santiago della Spada, giudice e notaio presso i capitani di Trani, Barletta, Molfetta e Giovinazzo (nomina regia del 26 Novembre 1443), governatore di giustizia e guerra di Bari, nonché castellano del castello di Trani (1444),  familiare e scrivano regio (ancora nel 1445), mentre il fratello Giovanni era segretario regio (doc. 1441-1452) alla corte di Alfonso il Magnanimo (cfr. I registri privilegiorum di  Alfonso il Magnanimo della serie Neapolis dell’Archivio della Corona di Aragona, a cura di C. Lopez Rodriguez e S. Palmieri, Accademia Pontaniana, Napoli 2018, CXXVI+672 pp., ad indicem) e regio secreto di Termini (doc.1438-1440).

Nel 1433, Antonio Olzina aveva acquistato dalla corona la città di Termini, con il mero e misto imperio (diritto di esercitare il potere civile e militare) per la somma di 24.000 fiorini (cfr. H. Bresc, Un Monde méditerranéen…cit., vol. I, p. 262, II, p. 856). Del resto, un atto notarile, datato 18 Ottobre 1437, ricorda il nobile signore Antonio Olzina, governatore della Terra di Termini, mentre un altro rogito del 16 Aprile 1438 attesta che egli aveva ancora questa carica (cfr. ASPT, notar Giuliano Bonafede, vol. 12834, 1436-1449, registro dell’anno 1a indizione 1437-38, s.n.). Invece, il 14 aprile 1440, è ricordato per essere stato un tempo governatore di detta città (cfr. ASPT, notar Antonino Bonafede vol. 12835, registro dell’anno 3a indizione 1439-40, f. 18r).

Gli Olcina erano un’antica casata originaria dalla Catalogna, che sin dal XIII sec. esibiva un’insegna gentilizia parlante (alludente al significato del cognome): di rosso all’albero di quercia (in catalano encina), verde con il frutto d’oro, come riferisce il trovatore Moser Jaime  Febrer nella sua opera che si ritiene composta nel 1276 (cfr. M. J. Febrer, Trobes en que tracta dels Llinatges de la Conquista de la Ciutat de Valencia e son regne, Dari, Valencia 1796, troba CCCLXVII, p. 196).

All’Olzina, nel possesso della città di Termini subentrava poi un altro nobile catalano Antonio Melchiorre de Ribelles. Il 27 marzo 3a Indizione 1439 (1440), in notar Antonino Bonafede di Termini, veniva stipulato l’atto di vassallaggio nei confronti del Ribelles, sancito nella chiesa madre di S. Giacomo, alla presenza del capitano Francesco Salamone, dei giurati Pietro Luparello, Giovanni Bonafede, Giovanni Solito e Pietro Badami, assieme ai giudici Francesco de Palma, Nicolò della Farina e Martino di la Quatra, l’arciprete Leonardo Ruzzolone, il clero ed altri notabili (Cfr. B. Romano, Notizie storiche intorno alla città di Termini ricavate dagli atti degli antichi notai, ms. 1838, Biblioteca Comunale di Palermo ai segni 4 Qq D 81, f. 150).

I Ribelles o Rebelles erano un’altra casata catalana, originaria dalla Francia, che sin dal XIII sec. esibiva la seguente insegna gentilizia: d’oro al leone rampante di verde con macchie di rosso (cfr. M. J. Febrer, Trobes…cit., troba CCCCXXIII, p. 224).

Nel 1439, il Ribelles aveva sposato la contessa Beatrice Rosso (cfr. H. Bresc, Un monde méditerranéen…cit., vol. II, p. 683, nota 410; R.M. Dentici Buccellato, Governo urbano e gestione del territorio a Termini nel Quattrocento, in F. P. Tocco, a cura di, Ante quam essent episcopi erant civitates. I centri minori dell’Italia tardomedievale, Messina 2010, pp. 269 segg.).

Nella stagione di pesca dell’anno indizionale 1439-1440 la tonnara di Termini risultava  gestita da Antonio Baiamonte (de Bayamunti), il quale nei documenti è distinto col titolo di patronus con la specificazione «tam maris quam terre», cioè avendo la conduzione sia sulla porzione marina, sia su quella terrestre (cfr. ad es. ASPT, notar Antonino Bonafede vol. 12835, registro dell’anno 3a indizione 1439-40, f. 42v). Per la parte terrestre, l’estensione corrispondeva, secondo la consuetudine, allo spazio sotteso da un tiro di balestra (cfr. R. La Duca, La tonnara di Scopello, Grifo, Palermo 1988, p. 13). L’intera gabella, come consueto, per ammortizzare gli eventuali rischi, era ripartita in dodici quote unitarie (carati) ed ogni socio o caratista entrava nella società acquistandone una o più di esse, potendo anche detenere  la maggioranza relativa. In base alle quote si ripartivano gli utili, ma anche le eventuali perdite, alcune volte impreviste (ad es. danni da predatori marini, da eventi meteo-marini, da atti di pirateria etc.).

Uno dei caratisti della tonnara di Termini era proprio Antonio Melchiorre Ribelles, come risulta dall’inventario post mortem delle sue sostanze.

Il 4 Febbraio 1443, veniva redatto l’inventario dei beni del defunto signore di Termini, il Magnifico Messer Antonio Melchiorre Ribelles, in favore della vedova, quale erede universale, la contessa Beatrice. Tale inventario ereditario (ASPT, atti notaio Antonino Bonafede vol. 12835, s.n.), è stato edito da Geneviève Bresc-Bautier ed Henri Bresch (cfr. G. Bresc-Bautier, H. Bresc. Une maison de mots. Inventaires de maisons, de boutiques, d’ateliers et de châteaux de Sicile, XIIIe-XVe siècles, Associazione Mediterranea, Palermo 2014, tome IV, doc. ccclxxx, pp. 1085-1090). In detta divisione ereditaria leggesi che il Ribelles possedeva quattro delle dodici quote (carati) della tonnara di Termini.  Antonio Melchiorre aveva fatto testamento il 14 Marzo 1441 (cfr. H. Bresc, Un Monde méditerranéen… cit., p. 683 e  p. 909) ed in virtù di esso, la vedova Beatrice (che convolò poi in terze nozze con Antonio de Urrea, nipote del viceré Ximen de Urrea) era subentrata nella signoria di Termini.

Nel detto anno 1443, intanto, la Corona riprendeva il legittimo possesso della castellania di Termini che era affidata ad Antonio Olzina: iniziava così la parabola discendente di questo personaggio, assurto ad un elevato status alla corte regia (cfr. H. Bresc, Le fief dans la société sicilienne, in Atti del IX Congresso di storia della corona d’Aragona, Società napoletana di storia patria, Napoli 1982, pp. 327-347).

Il 27 Marzo 1443, in Termini, su mandato della Corte reale, veniva redatto dal nobile Enrico de Romano, commissario regio costituito dal viceré Raimondo de Perellos, l’inventario dei beni del nobile messer Antonio Olzina cavaliere dell’ordine di S. Giacomo della Spada (cfr. ASPT, Notar Antonino Bonafede, vol. 12835, s. n., trascritto in G. Bresc-Bautier, H. Bresc. Une maison de mots. Inventaires de maisons, de boutiques, d’ateliers et de châteaux de Sicile, XIIIe-XVe siècles, Associazione Mediterranea, Palermo 2014, tome IV, doc. ccclxxxiv, pp. 1107-1113).

Nel contempo Termini premeva per uscire dal vassallaggio feudale per tornare libera al regio demanio. Finalmente, il 23 Novembre 8a Indizione 1444, il viceré de Urrea, inoltrava alla cancelleria regia la richiesta ed il 7 Marzo 8a Indizione 1445, con privilegio dato in Cosenza, il re Alfonso concedeva il ritorno della città e del castello di Termini, dalle mani e dal potere di Beatrice de Urrea (già vedova del Ribelles), al regio demanio, con l’impegno del versamento all’erario, da parte degli abitanti, in un quinquennio, di ben 500 onze auree.

Antonio Olzina, caduto in disgrazia presso Alfonso il Magnanimo per i suoi demeriti causati dai suoi eccessi, con sentenza regia si vedeva confiscati tutti i suoi beni e, soprattutto, la detta tonnara, con conseguente devoluzione alla regia curia ( (cfr. J. L. De Barberiis, Liber de Secretiis…cit., p. 94).

Devoluta la tonnara alla regia curia, come attesta il Barberi, il re Alfonso, con privilegio dato in Torre del Greco, del 5 Ottobre 13a Indizione 1449, la concedeva al catalano Antonio Sin, regio tesoriere, ed eventuali suoi eredi (cfr. J. L. De Barberiis, Liber de Secretiis…cit., p. 95).

Ci preme rimarcare che il Sin aveva già in precedenza legami con Termini ed il suo grande Regio Caricatore.  A tal proposito, Sceusa Provenzano, Termini Imerese…cit., in una aggiunta annotata a margine sinistro del f. 50r, menziona un rogito di notar Giuliano Bonafede di Termini datato 13 Gennaio 8a Indizione 1444, nel quale è menzionato il detto Antonio Sin: «lu mag[nifi]cu misseri antoni sij [sic, Sin] Regiu Thesaureri, imo pozza trattari da Reg[i]a maiestati obteniri ex gratia di atti pri reparationi di li mura di la Terra, et altri benefizij universali di li estrationij di lu Portu di la  d[itt]a Terra di Termini e chi si pozzanu aviri anno q[uolibe]t imp[er]p[etuu]m [sic] di legitimi  estrationij. Placet obtenere voluntate Regia».

Antonio Sin, alla morte del re Alfonso, si vedeva confermare il possesso della detta tonnara dal successore, Giovanni II d’Aragona (1458-1479), con privilegio dato a Barcellona del 10 Gennaio VIIIa Indizione 1460.

Per poco più di un trentennio, dal 1449 al 1481, quindi, Antonio Sin deteneva il pacifico possesso della tonnara di Termini ed alla sua morte, mancando discendenti, doveva essere restituita  al regio demanio.

Invece, nel 1481, regnando Ferdinando II il Cattolico, si assisteva ad un colpo di scena: una certa Giovanna de Risignano, accampava diritti sulla Tonnara di Termini, in qualità di cessionaria e donataria di Mattia, nipote del defunto banchiere pisano Simone de Risignano (o Resignano), legati al credito di una certa somma di denaro che era stata data in prestito dal detto Simone ad Antonio Olzina. L’ambizioso Simone de Risignano aveva fatto un balzo nell’ascesa della propria casata sposando la nobile Bartolomea (Thomea) de Homodeis che, non solo gli aveva portato la ragguardevole dote di 100 onze, ma gli aveva consentito di imparentarsi con una potente casata aristocratica siciliana ben inserita nella realtà palermitana del tempo (cfr. H. Bresc, Un Monde méditerranéen… cit., p. 413).

Defunta Giovanna, che era riuscita ad aggiudicarsi il possesso di detta tonnara, succedeva il figlio Giacomo de Resignano e, successivamente, secondo il Barberi, i nipoti Giovanni Antonio Sigismondo [,] Battista e Aloisio. Giovanni Luca Barberi, inoltre, sostiene che la detta tonnara anticamente rendeva onze 20, mentre nell’anno 1506 il reddito annuale avrebbe raggiunto la ragguardevole somma di onze 100 (cfr. J. L. De Barberiis, Liber de Secretiis…cit., p. 95).

Il quadro ricostruito dal Barberi è reso ancora più complesso dall’inserirsi, nel beneficio della Tonnara di Termini, di un altro esponente della casata dei Risignano: l’honorabilis Raniero, fratello del detto Simone, anch’egli mercante e banchiere (gerente della banca di Giovanni Abatellis), attivo a Palermo dal 1421 al 1440, (cfr. G. Petralia, Banchieri e famiglie mercantili nel Mediterraneo aragonese. L’emigrazione dei Pisani in Sicilia nel Quattrocento, Biblioteca del «Bollettino storico pisano», Collana storica, vol. 34, Pacini editore, Pisa 1989, pp. 222-224). Raniero Risignano, infatti aveva acquistato dal predetto Antonio Olzina (nel ms. Antonius de Alczina), il mare della tonnara di Termini, cioè lo spazio di mare o campo di pertinenza antistante, del valore di ben 160 onze.  Tutto ciò si ricava dall’inventario dei beni del defunto Raynerius de Risignano che fu redatto a Palermo il 24 novembre 1446 (cfr. Archivio di Stato di Palermo, d’ora in poi ASP, fondo notai defunti, notar P. Ferro, vol.1127, f. 14v-16v, trascrizione in G. Bresc-Bautier, H. Bresc. Une maison de mots…cit., Palermo 2014, tome IV, doc. cdxiv, pp. 1187-1189). Tale inventario, per clausola testamentaria, comprendeva beni dotali (includenti il mare della tonnara di Termini) che, nel complesso, raggiungevano la ragguardevole somma di 800 onze che, in  due parti uguali, era destinata a Francesca e Mattea Risignano, figlie che il detto Raniero ebbe dalla moglie Joanna che sposeranno, rispettivamente, Giovanni da Vivaia e Raniero Vernagallo, due esponenti del patriziato di origine toscana presente a Palermo.

Secondo Antonino Mango di Casalgerardo, il 7 febbraio 1517, regnando Carlo V d’Asburgo, i precitati Giovanni Antonio Sigismondo e Battista de Risignano, pronipoti ed eredi del defunto Simone, avendo richiesto conferma regia relativamente al possesso della tonnara di Termini, ottenevano il relativo privilegio di concessione del mare di pertinenza, reso esecutorio il 28 maggio di detto anno (cfr. A. Mango di Casalgerardo, Nobiliario di Sicilia, A. Reber, Palermo 1912-18, voll. 2, s.v. Resignano o Risignano). Il detto Giovanni Antonio Sigismondo de Risignano si identifica probabilmente con il Sigismondo che fu senatore in Palermo nell’anno 12a Indizione 1523-24, citato dallo stesso Mango (che, inoltre, ci fa conoscere l’insegna gentilizia della casata: d’argento, all’albero di pomo di verde, fruttifero d’oro).

Le vicissitudini seguenti della tonnara di Termini, allo stato attuale delle ricerche, sono ricostruibili solo molto parzialmente a causa della frammentarietà delle fonti documentarie. Certo è che negli anni trenta del Cinquecento, la detta tonnara risulta rientrata nel regio demanio, essendo di pertinenza del comune (universitas) di Termini che la concedeva in gabella.

Un atto del 28 ottobre 8a Indizione 1534, ci attesta che il Magnifico Raffaele Lomellino (in realtà della casata dei Facio, aggregata alla consorteria o albergo dei Lomellino), mercante di origine ligure, cittadino ed abitante di Termini (mercator januense origine, civis et habitator civitatis thermarum), era patruni, cioè gestore, di la tunnara di la citati [sic, città] di Termini (Cfr. AMG, anno 8a Indizione 1534-35, in AMG frammenti 2, misc. mss. sec. XVI,  BLT, ai segni III 10 i 3, s. n.).

Un Bando et comandamento da parti di li m[agnifi]ci Jurati di la citati di Termini, addì 8 ottobre 9a Indizione 1535, ordinava che nessuno poteva vendere tun[n]ina,  né di giorno, né di notte, senza apposita licenza (cfr. AMG, anno 9a Indizione 1535-36, in Frammenti degli atti dei Giurati dal 1518 al 1589, d’ora in poi AMG frammenti 1, misc. mss. sec. XVI, BLT ai segni III 10 i 2, fasc. II, s. n.).

Intanto, nel 1509, Cesare Lanza Tornabene aveva rimodernato e potenziato la Tonnara di Trabia ma, nonostante le somme investite, subiva però la concorrenza di quella della Lupa, di proprietà del vicino comune demaniale di Termini (che aveva osteggiato l’infeudazione di questo settore del suo ambito territoriale). Il Lanza aspettava quindi l’occasione propizia per mettere le mani sulla tonnara termitana che impediva l’ascesa di quella di Trabia.

Alla fine degli anni 50′ del Cinquecento, i Lanza di Trabia erano già riusciti ad impossessarsi della gestione della Tonnara della città di Termini, ma erano entrati in contrasto con l’arcipretura termitana, relativamente alla consuetudine del versamento della quota in natura o, piuttosto, in denaro, della decima parte del pescato.

Il 21 Marzo 1559, per rogito in notar Antonio (o Antonino) Carasi di Palermo, ratificato il 17 Aprile 1560 agli atti di notar Michele de Marino di Termini, Cesare Lanza Tornabene, barone della Trabia (il titolo principesco lo otteneva il figlio Ottavio Lanza Centelles nel 1601), che era divenuto patronus del mare di Termini, volgarmente detto della Lupa, con la tonnara della cittadina, si impegnava con l’arciprete Don Silvestre La Tegera e con i sacerdoti della locale comunia del clero, a versare per diritto di decima, alla tagliata della tonnara, un canone annuo di 40 onze. Tale somma, per metà spettava all’arciprete mentre la restante parte andava alla comunia del clero.

Cesare Lanza Tornabene ed il figlio Ottavio Lanza Centelles, per favorire la loro tonnara di Trabia estinguevano e sopprimevano poi quella di Termini, preferendo sborsare di tasca propria i relativi censi e la decima.

I loro successori, però, finivano per omettere di versare alla chiesa termitana la quota della decima e ne sorgeva una disputa legale, tanto che nel 1741 si perveniva ad una seconda transazione tra l’Illustrissimo Don Ignazio Lanza Reggio, principe di Trabia, anche a nome del figlio primogenito Don Giuseppe, e l’arciprete Vincenzo Daidone, in uno con i sacerdoti della locale comunia del clero, nella quale si ribadiva il pagamento della decima anche nel caso di inattività o chiusura definitiva della tonnara, ipotecando quella di Trabia per eventuali more (cfr. Petizione della Comunia del Clero di Termini innanzi al Tribunale della Regia Gran Corte di Palermo contro l’Illustrissimo Don Ignazio Lanza Principe della Trabia, ms. 1745, in Miscellanea di Atti della Comunia del Clero di Termini, Archivio Storico della Maggior Chiesa di Termini, d’ora in poi AME).

Francesco Carlo D’Amico nella sua già ricordata monografia sulla pesca del tonno, edita a Messina nel 1816 (cfr. F. C. D’Amico, Osservazioni pratiche…cit., p. 126), riferisce che: «Il Sig. Principe dello Stato, e Tonnara di  Trabia per acquistare alla sua Tonnara di Trabia un maggior golfo, e non essere impedito il corso de’ Tonni per sudetta [sic] Tonnara [della Lupa] pensò di farsela concedere dalla riferita Università di Termine, ed oggi quel mare và  [sic, va] aggregato alla Tonnara della Trabia, che gli da [sic, dà] un magior [sic] spazio, e campo per pescare».

Sin dalla seconda metà del Cinquecento, quindi, la Tonnara della città di Termini o della Lupa, ebbe come padroni i Lanza di Trabia, mentre la mansione di rais (sovrintendente della tonnara) fu di pertinenza di esponenti della casata dei Salamone.

Il 7 Giugno 1572, infatti, veniva a mancare il rais Vito Salamone, come attesta la sua lapide funeraria, avulsa dalla sua collocazione originaria, recentemente venuta alla luce nella chiesa di S. Maria della Misericordia in Termini Imerese (nella foto), dove egli, ed esclusivamente la sua discendenza maschile (Filippo e Giuliano), ebbe il diritto di sepoltura (cfr. M. Chiovaro, G. M. Scopelliti, Una rappresentazione della pesca del tonno su una lapide funeraria da Termini Imerese, “Notiziario Archeologico della Soprintendenza di Palermo”, 37/2018). L’iscrizione funeraria, che rammenta anche i figli maschi del rais, Filippo e Giuliano, è posta sotto forma di fascia collocata nella parte inferiore della lastra calcarea nella quale domina una raffigurazione, ottenuta incidendo il supporto lapideo, della tonnara di Termini, sia relativamente alla  parte in mare con il sistema di reti, di camere, imbarcazioni e relativi equipaggi, sia per la parte a terra con il malfaraggio comprensivo di magazzini, loggia per appendere i tonni,  difesi da due torrioni merlati, nonché il luogo di culto. La disposizione planimetrica della tonnara sembra precorrere di due secoli l’incisione del palermitano sac. Antonio Bova che raffigura la Pescagione de’ Tonni, come si pratica in Trapani, inserita nell’opera di Arcangiolo Leanti, Lo stato presente della Sicilia, edita a Palermo nel 1761.

Il detto Rais Vito Salamone fece parte di una diramazione, dal soprannome Pinnisi, dell’omonima casata termitana, presente a Termini sin dal XV sec. Gli appartenenti a questo ramo, da nobiles transitarono poi negli honorabiles, sino a divenire magistri o mastri.

Un sac. Giuliano Salamone alias Pinnisi è attestato come beneficiale della cappella di S. Nicolò, di patronato della casata termitana degli Aricio o Rizio, nella maggior chiesa di S. Maria La Nova (1534-1539). Il sac. Giuseppe Arrigo, poiché nei documenti il detto beneficiale appare menzionato una volta con il soprannome ed un’altra con il cognome, finisce per credere erroneamente di essere in presenza di due distinte persone (cfr. G. Arrigo, Su i comuni dell’archidiocesi di Palermo. Notizie estratte dai volumi della Curia non più esistenti. II. Termini Imerese, in “Sicilia Sacra”, pubblicazione periodica per Mons. Luigi Boglino, vol. IV,  Fratelli Nobile, Palermo 1902, p. 196).

Negli atti presenti nel primo volume di battesimi della Maggior Chiesa di Termini Imerese, sistematicamente, al posto del cognome Salamone, appare il soprannome Pinnìsi. Da notare che il lemma siciliano pinnìsi corrisponde all’italiano pennèse ed allo spagnolo ponèso o penès che, sin dal XVI sec., stava ad indicava il nocchiere (cfr. F. Corazzini di Bulciano, Vocabolario  nautico italiano compilato per commissione del Ministero della Regia Marina, tomo V, Bologna 1906, p. 192 e p. 259, ad vocem).

Nel detto registro battesimale, oltre al rais Vito, sono attestati i seguenti personaggi della casata dei Salamone alias Pinnisi: Antonio (doc. 1542-1548), Ambrogio (doc. 1542), Francesco (doc. 1542-46), Giovanni (doc. 1542-1547), Giovanni Antonio (doc. 1546),    Michele (doc. 1543-48) e Pietro (doc. 1543).

[Raisi] Mastro Vito [Salamone alias] Pinnisi il 25 marzo 1548 fece battezzare la figlia Pietruzza, alla presenza di Alfonso Russo, Mastro Gerardo Curiali e Margherita La Cifalutana (cfr. AME, Battesimi, vol. 1, f. 121r n. 7).

Filippo Salamone al[ia]s Pinnisi, probabilmente da identificare con il figlio del raisi Vito, qualificato marinaro, è presente nei Riveli di beni et anime di Termini, sorta di censimento dello stato familiare e nel contempo di dichiarazione dei redditi, del 1569 (cfr. ASP, Tribunale del Real Patrimonio, vol. 704, f. 988).

La famiglia continuava la sua discendenza almeno sino al Seicento: Raisi Giovanni Salamuni alias Pinnisi si spegneva il 22 maggio 1648 essendo poi sepolto in S. Maria della Misericordia (cfr. AME, Defunti, vol. 97, 1648-64,f. 1v n. 6),  evidentemente nella sepoltura di patronato della casata.

L’attività di pesca nella Tonnara di Termini, invece, è ancora documentata nel 1586 (cfr. A. Contino, Aqua Himerae…cit., p. 78). Alla fine degli anni 80′ del Cinquecento, però, l’antico malfaraggio doveva essere già in declino. Un rogito negli atti giuratori, datato 25 luglio 1589, rammenta un magazzino che era quasi rovinato, ubicato nel piano delli Xilbi (oggi Piazza S. Anna) e nella contrada del borgo (sobborgo inizialmente fuori le mura), contiguo con delle terre incolte (vacue) propinque all’originaria chiesa di S. Bartolomeo Apostolo. L’edificio in questione confinava, rispettivamente, da un lato con il magazzino del nobile Vito di Amato e dall’altro con quello del Magnifico Giovanni Martino Grimaldo (di professione medico: Artium et Medicinae Doctor), strada pubblica intermedia e con il predetto terreno incolto. Il detto magazzino rovinato, veniva concesso dal comune per essere acconciato, al fine di adattarlo a piccolo convento per i padri francescani del terzo ordine (cfr. AMG, 1588-89 ms. BLT, ai segni III 10 a 14). Nel 1623, veniva poi completato un nuovo edificio conventuale ubicato in un altro sito, posto a breve distanza, con annessa chiesa di S. Maria di Porto Salvo sotto il titolo di S. Anna.

Soprattutto negli anni ’80 del Cinquecento, la configurazione della fascia costiera e dello specchio d’acqua antistante l’abitato, veniva radicalmente sconvolta dagli imponenti lavori di fondazione e di edificazione della cinta muraria bastionata cinquecentesca,  comprensivi della realizzazione del grande torrione a pianta circolare (Torrione Nuovo o Torrione Tondo o Torraczo o Torracchio). Queste opere hanno certamente prodotto un forte impatto geomorfologico sul paesaggio e sugli ecosistemi litoranei sia emersi (ad es. distruggendo gli ambienti dunari e retrodunari) che sommersi (ad es. modificando la batimetria dei fondali).

Il promontorio artificiale, venutosi a creare con la realizzazione delle fortificazioni costiere, culminanti nel Torracchio, captava parte del trasporto litoraneo legato alla corrente lungoriva, contribuendo ad incrementare il progressivo interrimento costiero di questo settore della rada (cfr. A. Contino, Aqua Himerae…cit., p. 55 e p. 79).

Il malfaraggio della Tonnara di Termini, per secoli rimasto fuori le mura, finiva per essere incorporato all’interno del recinto urbano, tra le porte della Pescheria e della Marina, quest’ultima con relativa struttura daziaria (cfr. A. Contino, Aqua Himerae…cit., pp. 52-53, fig. 4). La via adiacente al malfaraggio (Ruga di S. Bartolomeo) era un tempo una sorta di cammino a terreno battuto, sito a breve distanza dalla battigia ma, una volta inclusa nel nuovo perimetro urbano, divenne contigua alle nuove fortificazioni che decorrevano parallelamente ad essa (cfr. A. Contino, Aqua Himerae…cit., p. 54). 

Nel 1597, la camparìa della tonnara fu irrevocabilmente adeguata per accogliere la nuova chiesa di S. Bartolomeo Apostolo, mentre il preesistente edificio di culto medievale fu declassato a sacrestia (cfr. A. Contino, Aqua Himerae…cit., p. 54).

Il sac. Rocco Cusimano, nella sua opera Brevi cenni di storia termitana, edita a Palermo nel 1926 presso la Tipografia pontificia (cfr. p. 85 e nota 1), è stato tratto in inganno dalla data predetta, apposta in un’iscrizione lapidaria presente all’interno di detta chiesa, ed erroneamente la considerò relativa alla prima fondazione dell’edificio di culto.  Il Cusimano, curiosamente, tra le opere d’arte da lui censite in S. Bartolomeo Apostolo, menzionava anche un pregevole reliquario risalente al XV sec. (cfr. R. Cusimano, Brevi cenni…cit., p. 86), non rendendosi conto che doveva appartenere ad un antico luogo di culto precedente al 1597, intestato al medesimo santo.

Nel Seicento al crepuscolo della Tonnara della città di Termini o della Lupa, faceva da contraltare l’ascesa della tonnara di S. Calogero, sita nel lido alle pendici dell’omonimo monte, ad oriente della cittadina imerese.

Ad es., un inedito rogito, qui per la prima volta reso noto, ci informa che il 18 Aprile 1605, Andrea e Mariano di Domenico, padre e figlio, in solidum con altri quindici termitani (Antonio Lo Licco, Giuseppe Stagno, Antonello Pisano, Giuseppe Catanzaro, Gerolamo Salemi, Leonardo Trentanelli, Giuseppe Guarino, Agostino Serretta, Paolo Sorrento, Antonino de Leonardo, Vincenzo Laudato, Pietro Barda, Mariano Sansone, Mastro Simone Bordonaro, Filippo Salamone alias Pinnisi) ed il milazzese Pietro Spagnolo, si obbligarono, in qualità di capoguardie della tonnara di S. Calogero di questa città di Termini, a vendere ad Antonio Oliva, Giacomo Gallo e Gerolamo Lo Parrino, una certa quantità di tonni freschi ed interi, da pescare nella stagione prossima ventura di detto anno, da consegnare nel malfaraggio di detta tonnara, per il prezzo di tarì 42 per ogni singolo cantàro (c. kg 80). La postilla a tergo, datata 6 Giugno, a nome di Antonio Lo Licco, Agostino Serretta, Filippo [Salamone alias] Pinnisi e Gerolamo Salemi, quattro dei detti contraenti, attesta l’avvenuta consegna della merce (cfr. ASPT, notar Matteo de Michele, vol. 13035, anno 3a Indizione 1604-5, ff. 396v-397v).

La tonnara di S. Calogero si identifica con quella di Calasecca che nel XV sec. era detta di Galìa Sicca, che prese nome dallo scoglio e relativa secca della Galea, sul sito dell’attuale litoranea di collegamento tra Termini e la zona industriale (cfr. A. Contino, Aqua Himerae…cit., p. 152 e 215).

Altra denominazione della detta tonnara, presente nei documenti del XV sec. è quella di Xilandro (o Xalandro o Scialandro) o Lu Xalandru, della quale, qui per la prima volta, forniamo l’etimo da noi scoperto.  Il toponimo Scialandro, che ancor oggi designa anche la contrada vicina, trae origine proprio dallo scoglio che, sin dal XV sec., era chiamato La Galèa (cfr. siciliano Galìa), per la caratteristica conformazione, simile a questa tipologia di imbarcazione. Scialandro, infatti deriva dal greco bizantino Chilándion (Χιλάνδιον), donde il latino medievale Chilandium o Chelandium o Chelandrium (varianti Chelindrus, Salandrus, Salandra, Salandria, Zalandria), che designava proprio un naviglio in uso nell’impero bizantino (cfr. C. Dufresne Du Cange, Glossarium ad Scriptores Mediæ et Infimæ Latinitatis, Coleti, Venetiis 1737, t. II, 526-528), che i musulmani chiamavano shalandī (cfr. J. H. Pryor, E. M. Jeffreys, The Age of the ΔΡΟΜΩΝ: The Byzantine Navy ca. 500–1204, Brill Academic Publishers, Leida, Nederland and Boston, Massachusetts 2006,  pp. xlvi–xlvii, 168–169, 190).

La detta tonnara di Xilandro, aveva come patronus Paolo Gallo, castellano di Termini, il quale addì 13 settembre 1447 accettava come soci (parcionales) Ioannes de Valencia ed il giudeo di Trapani, Xibite Maltensis (ASPT, notar Antonino Bonafede, vol. 12835, 11a Indizione 1447-48, f. 3r).  Un rogito del 22 settembre 1449 menziona il Gallo, sempre in qualità di patronus della stessa tonnara detta La Galia Sicca (ASPT, notar Antonino Bonafede, vol. 12836, 13a Indizione 1449-50, f. 4).  Giovanni di Novo ed Antonio Salamone il 24 ottobre 1449, erano in società nella gestione della tonnara di Lu Xalandru (ASPT, notar Antonino Bonafede, vol. 12836, f. 19r).

Da notare che nella splendida Veduta di Termini (1578, china acquarellata) dell’architetto senese Tiburzio Spannocchi, che si conserva nella Biblioteca Nacional de Madrid (cfr. L. Dufour,  Atlante storico della Sicilia. Le città costiere nella cartografia manoscritta 1500-1823. Lombardi, Siracusa 1992, 503 pp.), oltre alla cittadina imerese è raffigurato anche il golfo, con le sue rientranze e sporgenze e, in particolare, lo scoglio La Galea, dalla caratteristica forma allungata, sub-parallelo alla costa, del quale oggi rimangono solamente piccoli lembi calcarei emergenti [cfr. A. Contino, Geologia Urbana dell’abitato e della Zona Industriale di Termini Imerese (Sicilia settentrionale), tesi di dottorato di Ricerca in Geologia, XVII ciclo, relatori R. Catalano e M. S. Giammarinaro, coordinatore R. Sprovieri, Università degli Studi di Palermo, Dipartimento di Geologia e Geodesia, 2005, 214 pp.].

Nella seconda metà del XVII sec., la tonnara di Calasecca fu particolarmente in auge [cfr. R. Termotto, Le tonnare del Vescovo di Cefalù: Battilimano seu Roccella (1569-1670), “Mediterranea Ricerche storiche”, anno XI, Aprile 2014, pp. 11-34], essendo poi “declassata” a tonnarella nel XVIII sec.

Agli inizi del Settecento, il ricordo della Tonnara della città di Termini o della Lupa, invece, si era ormai affievolito. Il gesuita Giovanni Andrea Massa, nella parte seconda della sua opera postuma La Sicilia in Prospettiva cioè Le Città, Castella, Terre, e Luoghi esistenti, e non esistenti in Sicilia, la Topografia Littorale, li Scogli, Isole, e Penisole intorno ad essa (F. Ciché, Palermo 1709), che mostra una minuziosa descrizione delle coste siciliane comprensiva del litorale termitano. Relativamente a quest’ultimo, a p. 416, da Brocato in direzione di Trabia, il Massa riferisce che «s’incontra spiaggia scoperta; poi la Tonnarella con Torre; la Rocca di S. Giovanni, Pietra presso il mare; la Cala secca, scogli in vicinanza del lito [sic, lido], a fronte delli [sic] quali alquanto dalla terra staccato, surge [sic, sorge] lo Scoglio, nominato la Galea, perché disteso a somiglianza di quella; il Cannolicchio, piccolo fonte su la spiaggia maritima [sic]; le Cianche, luogo sassoso, detto altresì per la sua figura le Galeazze; la Chiesetta de’ SS. Cosimo, e Damiano; la Punta delle tre Pietre [Torrente Trepietre], così nominata per tre Scogli isolati vicino della riviera; la piccola Chiesa della Catena; la Barattina [Barratina], Torrente; e la Città di Termine [sic]. fatti da cinquecento passi, [si] trova la Foce del Fiume di Termine […]. Sieguono [sic] la Spiaggia con la Tonnara di S. Leonardo, e la Ginestra, Ridotto di piccole Barche». Riepilogando, agli inizi del XVIII sec., nel detto tratto costiero esistevano la Tonnarella vicino Calasecca e quella di S. Leonardo, sita tra la sponda sinistra dell’omonimo fiume e la Ginestra. Nessuna memoria  della Tonnara della città di Termini o della Lupa.

Nel 1714, durante il regno di Vittorio Amedeo II di Savoia, il cav. Alessandro Ignazio Amico di Castellalfero, nobile astigiano, ingegnere e colonnello d’artiglieria, nella sua dettagliata Relazione Istoriografica delle città, castelli, forti e torri esistenti ne’  littorali [sic] del Regno di Sicilia etc., sostanzialmente ribadiva tale situazione con le due tonnare (cfr. S. Di Matteo, a cura di, Castellalfero & Altri. Sicilia 1713. Relazioni per Vittorio Amedeo di Savoia, Fondazione Lauro Chiazzese della Sicilcassa, Tea Nova – ILA Palma, Palermo 1994, 334 pp.).

L’erudito e letterato siciliano Francesco Maria Emanuele e Gaetani, marchese di Villabianca (1720-1802), nella sua opera manoscritta Delle tonnare di Sicilia (fine sec. XVIII, Biblioteca comunale di Palermo, ai segni Qq E 87, ff. 56-64, edita a cura di G. Marrone, Giada, Palermo 1996), conferma quanto scrivevano Massa ed Amico di Castellalfero, rammentando sia la tonnara di S. Leonardo «che va in fondo a’ mari del littorale [sic] della città di Termini presso la foce del fiume detto di Termini, si chiama di S. Leonardo perché sotto la protezione di questo Santo a suo principio venne istituita», sia la già citata «Tonnarella» presso Calasecca che, nel frattempo, attenuatosi il ricordo dell’estinta Tonnara della città di Termini o della Lupa, aveva preso la denominazione di tonnara di «Termini», essendo rimasta attiva «nei mari del littorale [sic] della città di Termini e perciò appellasi con questo nome». 

D’Amico (cfr. F. C. D’Amico, Osservazioni pratiche…cit., 1816, p. 62), invece, attestava l’esistenza della scomparsa Tonnara della città di Termini o della Lupa, specificando che «La Tonnara di Trabia aveva avanti a se [sic] una Tonnara chiamata Lupa di pertinenza della Città di Termini, che restringendo il golfo della Roccella era di ostacolo alla buona pesca della Tonnara, perché impediva il corso dei Tonni nella spiaggia di Roccella. Il Signor Principe di Trabia accorto di molto si prese per suo conto a censo la sudetta [sic] Tonnara della Lupa per dare maggior spazio di golfo e di mare alla sua, e renderla di maggior profitto con una pesca più ubbertosa [sic, ubertosa], come presentemente la sta godendo tuttocchè [sic] le correnti talvolta la danneggiano, e frastornino».  Nella parte terza, Relazione Istorica e descrizione di tutte le Tonnare di Sicilia etc., a p. 126, il D’Amico specificava che la Lupa «apparteneva alla Città, e Università [comune] di Termine innanzi la quale era situata».

Negli anni 80′ del XX sec. Anna Farina, non tenendo nel giusto conto le indicazioni topografiche fornite dagli autori predetti, ha ipotizzato che le tonnare di S. Leonardo e della Lupa, fossero una sola entità posta sul lido alla foce del fiume predetto, sostenendo che, in caso contrario, “avrebbero avuto poco spazio l’una dall’altra” [cfr. A. Farina, “Schede” delle tonnare di corsa da S. Elia al Faro e di quelle di ritorno, in E. Manzi, G. Siragusa, A. Farina, T. Dispensa, Tonnare di Sicilia: indagine storico-geografica, atti del convegno “La ricerca etno-antropologica in Sicilia (1950-1980)”, Palermo 20-22 Maggio 1982, a cura di A. Amitrano Savarese, G. D’Anna, A. Cardella, A. M. Schmidt, Centro internazionale di Etnostoria, Libreria Dario Flaccovio, Palermo 1982, pp. 155-156]. Recentemente, Rosario Lentini (cfr. R. Lentini, Da Magazzinazzi a Cefalù: le tonnare palermitane tra storia e recupero, in M. Gangemi, a cura di, Pesca e patrimonio industriale. Tecniche, strutture e organizzazione (Sicilia, Puglia, Malta e Dalmazia tra XIX e XX secolo), Cacucci, Bari 2007, p. 104), sulla scorta della denominazione «tonnara di Termini» del Barberi e del Villabianca. ritiene probabile che si tratti di un’unica entità per cui  il sito di quella della Lupa finirebbe per coincidere con quello della tonnarella di Calasecca.

Queste chiavi di lettura, però, sono palesemente contraddette dal fatto che la tonnara della Lupa era inscindibilmente legata al toponimo Muso di Lupa (cioè la prominenza della Rocca del Castello di Termini) ed al malfaraggio di S. Bartolomeo e, pertanto, totalmente distinta sia da quella di S. Leonardo (ubicata ad O della foce del fiume omonimo), che da quella di Calasecca (anticamente Galia Sicca o Xalandro) o S. Calogero (essendo posta sul lido alle pendici del monte omonimo). Inoltre, l’attività di tali tonnare spesso non era stata sincrona.

Del resto, la consuetudine, documentata sin dal Cinquecento, codificata poi nel Settecento, secondo la quale le tonnare dovevano essere separate da una distanza reciproca di almeno 3 miglia siciliane (≈ 4460 m), subiva deroga grazie al cavillo giuridico del “gestore unico” in seno a tale ambito costiero (cfr. F. C. D’Amico, Osservazioni pratiche…cit., 1816, pp. 48-60 e pp. 61-62; V. La Mantia, Le tonnare di Sicilia, Giannitrapani, Palermo 1901 p. 33; G. Cardamone, Palermo. Una città e un territorio in trasformazione, “Il Mediterraneo”, anno X, 2-3, febbraio-marzo 1975, pp. 74-92).

Questa nostra ricerca, i cui risultati sono qui condensati, è stata basata su un innovativo approccio interdisciplinare e multidisciplinare, nel quale convergono e si integrano reciprocamente, le Scienze della Terra e le Scienze storiche. Tutto ciò ha permesso di ricostruire l’antico paesaggio costiero, con i suoi elementi peculiari: il distrutto promontorio di Muso di Lupa o Muso di Porco, che costituiva l’estrema pittoresca sporgenza calcarea in mare dell’antica acropoli termitana, con l’antico lido e specchio d’acqua sotteso, dove veniva a collocarsi la tonnara della Città di Termini o della Lupa ed il relativo malfaraggio di S. Bartolomeo Apostolo. Relativamente alla detta tonnara è stato possibile, attraverso l’analisi critica delle fonti edite ed inedite (queste ultime reperite attraverso la ricerca d’archivio), ricostruirne la storia, sinora in gran parte trascurata o addirittura travisata. Un ulteriore importante tassello, nella complessa, variegata e misconosciuta storia del mare di Termini, viene così recuperato alla memoria.

Patrizia Bova e Antonio Contino

Rivolgiamo un ringraziamento particolare a don Francesco Anfuso, che negli anni scorsi ci ha permesso di effettuare delle preziose ricerche presso l’Archivio Storico della Maggior Chiesa di Termini Imerese. Questa nostra ricerca è dedicata ad Ivan Bova (1980-2017), nostro carissimo ed indimenticabile fratello e cognato, che ebbe sempre nel suo cuore, generoso ed appassionato, il mare di Termini con le sue delizie e le sue insidie.

Documento n. 1

AME, fondo anagrafico, Battesimi, Maggior Chiesa, vol. 1, 1542-1548, f. 33v n. 4, 19 Ottobre  IIa Indizione 1543.

Eode[m] / p[re]sti  caspano [crixiuni] vattjjau [sic] lu f[igliu]. / dj jacupu tosto lj comparj anto/nj [salamone alias] pin[n]jsj [et] m[astr]o vitu [salamone alias] pin[n]jsj n[omine]. jos/eppi [la commari] [minica] lagrjgola

Documento n. 2

AME, fondo anagrafico, Battesimi, Maggior Chiesa, vol. 1, 1542-1548, f. 112r  n. 4, 24 novembre VIa Indizione 1547.

Die 24 p[re]sti  nic[ola]o stefanjzjo b[attizzò] la / f[iglia]. dj marcu deo n[omin]e joa[n]na / lj co[m]parj p[res]ti franc[esc]o dj stefano et vito [salamone alias] pin[n]jsj la com[m]ari [filippa] la / Ingelica [sic]