Polizzi Generosa è un tipico abitato montano delle Madonie, con continuità di vita ultramillenaria, ubicato lungo un importante crinale (o displuvio o spartiacque) secondario, dominante sul territorio circostante, naturalmente difeso e strategicamente importante per il controllo delle vie d’accesso nell’entroterra.
Il toponimo Polizzi deriva da Polis, “città”, tanto è vero che nei documenti normanni compare con varie grafie (Polis, Poliz, Polic, Polich). Del resto, il geografo islamico del XII secolo Al-Idrīsī, nella sua opera Sollazzo per chi si diletta di girare il mondo (Nuzhat al-mushtāq fî ikhtirāq al-āfāq), la chiama Hisn–Bûlis (cfr. A. H. Dufour, M. Amari, Carte comparée de la Sicile moderne avec la Sicile au XIIe siècle d’apres Édrisi et autres géographes arabes, Plot, Paris 1859, p. 44), dove Hisn (Hysn) significa “fortezza, castello”, mentre Bûlis non è altro che l’arabizzazione di Polis, “citta”.
In Sicilia esistono altri toponimi similari, come Monte Polizzo nella Sicilia occidentale, presso Salemi (TP), sede di un centro indigeno documentato sin dall’età del ferro [cfr. M. Kolb e S. Tusa, The late Bronze Age and early Iron Age landscape of interior western Sicily. “Antiquity” 75 (289), 2001, pp. 503-504; I. Morris e S. Tusa, Scavi sullʹacropoli di Monte Polizzo, 2000-2003, “Sicilia Archeologica” 37 (102), 2004, pp. 35-90], ed il centro indigeno di Polizzello, presso Mussomeli (CL), sede di un insediamento preistorico ed arcaico (cfr. ad es. R. Panvini, C. Guzzone, D. Palermo, Polizzello: Scavi del 2004 nell’area del santuario arcaico dell’acropoli, Regione Siciliana – Assessorato dei Beni Culturali, Ambientali e della Pubblica Istruzione Dipartimento dei Beni Culturali, Ambientali, dell’Educazione Permanente, dell’Architettura e dell’Arte Contemporanea, 2009, 84 pp.), che denotano l’esistenza di antichi centri urbani.
Per correttezza d’informazione ricordiamo che M. Amari, Storia dei Musulmani di Sicilia, vol. I, Le Monnier, Firenze 1854, p. 416, e A. H. Dufour, M. Amari, Carte comparée…cit. p. 40 propongono l’ipotesi di identificare Polizzi con il centro abitato fondato o rafforzato dai bizantini attorno all’880 d. C., che le fonti arabe e greche, rispettivamente, designano con il nome di Madinat-al-Malik, e Basileopolis, cioè “Città del Re” o la “Città dell’Imperatore” (cfr. A. A. Vasiliev, Byzance et les Arabes. Tome II, 1ere partie. La dynastie Macédonienne (867-959), Edition françaises préparées par H. Grégoire et M. Canard, Corpus Bruxellense historiae Byzantinae, Institut de philologie et d’histoire orientales, Bruxelles 1968, p. 107).
Il contrafforte calcareo-argilloso, sul quale sorge il nucleo urbano si Polizzi Generosa è una propaggine verso il fiume Imera settentrionale delle Madonie occidentali e, più precisamente, del Monte Cavallo che, a sua volta, è la prosecuzione del S. Salvatore (1912 m s.l.m.).
Un’alta rupe si snoda quasi tutto attorno alla dorsale sulla quale si è sviluppata la cittadina, tranne dal pianoro del Carmine, dove l’accesso è sostanzialmente più agevole. Il ripiano predetto, poco ampio, raccorda la dorsale con una serie di rilievi rotondeggianti, bordati da versanti ripidi, che si sviluppano dalla contrada S. Pietro fino al Monte Rotolavecchia (1205 m s.l.m.) che, con una sella, in corrispondenza della Portella di Fatùzza, si riallaccia con le aspre Timpe di M. Cavallo, fino alla cima dell’omonimo rilievo.
L’antico nucleo urbano, sviluppatosi attorno alla culminazione principale del castello (916 m s.l.m.), ed in parte attorno a quella secondaria di S. Pancrazio, è un sito in gran parte naturalmente fortificato ed altamente strategico per la sorveglianza del territorio (cfr. A. Contino, L’evoluzione dell’abitato di Polizzi Generosa dal VI sec. a. C. all’VIII sec. d. C., in “Le Madonie”, anno LXVI, 9, 1° maggio 1986, p. 3 e p. 7; LXVI, 10, 15 maggio 1986, p. 3; LXVI, 11, 1° giugno 1986, p. 3; LXVI, 12, 15 giugno 1986, p. 3; LXVI, 13, 1° luglio 1986, p. 3 e p. 7; LXVI, 14, 15 luglio 1986, p. 3 e p. 7; LXVI, 15, 1° agosto 1986, p. 3).
Tra le due culminazioni della dorsale, sulla quale si adagia l’abitato e che degradano soprattutto verso Sud, si è impostata l’incisione torrentizia di Vallerosata o Pozzillo (con andamento circa NE-SO, grossomodo ortogonalmente all’immersione verso meridione della placca calcareo-marnosa, con locali bruschi cambiamenti di orientazione sino a circa N-S), nella quale confluiscono impluvi minori ad andamento da circa NO-SE a circa NNE-SSO, tuttora leggibili nel tessuto urbano. A sua volta, il Pozzillo confluisce nel torrente Zacca, affluente in destra idrografica dell’Imera settentrionale.
Sin dal tardo medioevo, nella zona di testata del corso d’acqua era ubicata la piazza principale (oggi Piazza Umberto I) detta, per l’appunto, di Vallerosata o della Valle (cfr. F. D. Farella, Stradario storico di Polizzi Generosa, Fiamma Serafica, Palermo 1977, p. 76). La parte iniziale di questo idronimo, cioé valle (sicil. vaḍḍi), corrispondente all’arabo wādī, letteralmente ‘valle’ o ‘alveo’ e, per traslato, ‘torrente’ o ‘fiume’.
Come recentemente messo in evidenza da uno degli scriventi per l’area urbana di Termini Imerese, nel medioevo le strutture ospedaliere ed i macelli sorgevano nei pressi dei corsi d’acqua che facilitavano lo “smaltimento” dei rifiuti [cfr. A. Contino, Aqua Himerae. Idrografia antica ed attuale dell’area urbana e del territorio di Termini Imerese (Sicilia centrosettentrionale), Giambra Editori, Termegrafica, Terme Vigliatore, Messina 2019, p. 160]. Questa corrispondenza è particolarmente evidente anche nell’insediamento di Polizzi, visto che, ad es., i macelli pubblici erano ubicati nella predetta piazza principale (cfr. F. D. Farella, Stradario…cit. p. 74), mentre a breve distanza sorgevano gli ospedali dell’Annunziata (nella Via Cardinale Mariano Rampolla, cfr. F. D. Farella, Stradario…cit. p. 18 e p. 67) e di S. Cecilia (dirimpetto la Maggior Chiesa, già esistente nel 1386, cfr. F. D. Farella, Stradario…cit. p. 18).
La storia antica di Polizzi Generosa, nonostante le scoperte archeologiche, presenta molte luci ed ombre, non essendo possibile, allo stato attuale delle conoscenze, identificare il sito attuale con un toponimo noto dalle fonti storiche. L’insediamento stabile, come vedremo, potrebbe essere esistito sin dall’età del bronzo, come centro indigeno, strategicamente rilevante essendo posto tra le sorgenti dei due fiumi Imera. Tra l’età arcaica e classica, con l’espansione imerese nel suo entroterra, l’abitato indigeno, indubbiamente, rientrò nell’area d’influenza della colonia greca, a cui sopravvisse anche dopo la rovina della città ad opera dei Cartaginesi, trasformandosi poi in età ellenistica in un importante centro fortificato (phrourion) con funzioni di controllo del confine tra i territori punici e greci e, forse conteso da entrambe le popolazioni. Relativamente all’epoca romana, le tracce sono invece più scarne, anche perché le poche strutture superstiti (ad es. i resti di una cisterna con il tipico rivestimento ad opus signinum o cocciopesto) sono state vandalicamente distrutte. Nel medioevo, divenuta città demaniale, fu centro pilota per la rimessa a coltura e la colonizzazione del territorio circostante, acquistando prestigio ed espandendosi anche grazie alla nascita di diversi borghi suburbani (casali) circostanti.
L’antico centro abitato indigeno che sorgeva nel sito dell’attuale Polizzi Generosa, poteva detenere il controllo dello spartiacque tra i due fiumi Imera, grazie ad un presidio sito nel Cozzo del Rigo o del Re. Spartiacque che, come ha sottolineato l’archeologo Stefano Vassallo era il vero fulcro e punto di contatto tra i due versanti, settentrionale e meridionale dell’Isola (cfr. S. Vassallo, La guerra ad Himera. Il sistema difensivo della città e del territorio, in “Guerra e pace in Sicilia e nel Mediterraneo antico (VIII-III sec. a.C.). Arte, prassi e teoria della pace e della guerra”, M. A. Vaggioli, a cura di, vol. I, Scuola Normale Superiore di Pisa, Edizioni della Normale, Pisa 2006, pp. 315-330 e, in particolare, p. 321).
L’origine di questo presidio rimonta addirittura all’età del bronzo e fu frequentato anche in età arcaica e classica. (cfr. A. Burgio, La media e l’alta valle dell’Imera, in O. Belvedere, A. Bertini, G. Boschian, A. Burgio, A. Contino, R. M. Cucco, D. Lauro, Himera III.2. Prospezione archeologica nella valle dell’Imera, Dipartimento di Beni Culturali Storico-archeologici, Socio-antropologici e Geografici, Sezione Archeologia, Università degli Studi di Palermo, Libreria Editrice L’Erma di Bretschneider, Roma 2002, pp. 161-229). Questo sito del Cozzo del Rigo o del Re, a nostro avviso, sin dall’età del bronzo, fece parte di un vero e proprio sistema difensivo capace di garantire agli abitanti del relativamente vicino centro abitato indigeno ubicato nel sito attuale di Polizzi, di controllare agilmente il territorio circostante, costituendo non solo una sorta di punto avanzato di osservazione, ma una vera e propria base di difesa attiva. Tale funzione, persistette anche in età normanno-sveva, anche se le strutture di avvistamento furono poi realizzate nel vicino Castellazzo, di cui esistono ancora le rovine. Questo sito, quindi, sin dall’età del bronzo, si lega intimamente alla storia del nucleo urbano di Polizzi ed alla sua acropoli, dove nel medioevo sorse il castello. Pertanto, abbiamo un indizio che fa propendere per ipotizzare l’esistenza di un insediamento a Polizzi sin dall’età del bronzo
L’erudito Francesco Caruso Alimena (Polizzi, 1679-80 c. – Palermo, 17.05.1750), fratello del noto storico Giambattista (Polizzi, 27.09.1673 – Palermo, 15.10.1724), sia pure senza volerlo, ci fornisce un’ulteriore traccia tangibile dell’esistenza di tale nucleo abitato sin dall’età del bronzo. Agli inizi del ‘700, un anonimo contadino di Polizzi Generosa, avendo saputo che il rettore del locale Collegio dei Gesuiti (attuale sede comunale), il padre Ignazio Salnitro (m. 1738), era un appassionato collezionista di antichità, belle arti, nonché di rarità e curiosità naturalistiche, gli portò in dono una scure di rame che aveva rinvenuto negli immediati dintorni dell’abitato (fide F. Caruso Alimena, Spiegazione di un antico simulacro esistente nella città di Polizzi, mss. sec. XVIII, Biblioteca comunale di Palermo, ai segni Qq F 229 n. 4 e Qq H 116 n. 14). Il reperto archeologico, che oggi sarebbe stato letto agevolmente come preistorico, dal Salnitro fu interpretato come una scure dei Lictores romani, unico oggetto a lui noto che potesse essere accostato all’inusitato rinvenimento.
Il reperto, dovette confluire nel Museo dei Padri Gesuiti, che nel 1730 il Salnitro fondò a Palermo nell’ultimo piano del Collegio Massimo, museo che, in suo onore, fu poi detto Salnitriano e le cui collezioni, ampliate soprattutto dai padri Melchiorre Spitaleri e Francesco Maria Gravina, dopo varie vicissitudini, spoliazioni e smembramenti, finirono per confluire nel Real Museo Nazionale di Palermo (cfr. R. Graditi, Techno-physio-tameum: un tesoro di arte e natura, in G. Scuderi, Dalla Domus studiorum alla Biblioteca centrale della Regione siciliana. Il Collegio Massimo della Compagnia di Gesù a Palermo, Regione siciliana, Assessorato dei beni culturali e dell’identità siciliana, Dipartimento dei beni culturali e dell’identità siciliana, Palermo 2012, pp. 135-152).
Il ritrovamento settecentesco di Polizzi Generosa richiama alla mente quello avvenuto a Gratteri nel sec. XX e, precisamente nel 1920, in contrada Portella, altrimenti detta Grotta d’Agostaro costituito da una decina di asce di bronzo che furono datate da Luigi Bernabò Brea al bronzo recente e, in particolare, ad un periodo compreso tra il X e l’VIII sec. a. C. (cfr. E. Gabrici, Ripostigli di bronzo della Sicilia, “Atti Reale Accademia di Scienze Lettere e Belle Arti di Palermo”, serie III, vol. XIII, 1923-25, Palermo 1926, (estratto) 10 pp.; L. Bernabo’ Brea, La Sicilia prima dei greci, Il Saggiatore, Milano 1958, 340 pp.).
La più antica attestazione, sia pure indiretta, di un insediamento stabile sin dal VI sec. a. C. nel sito di Polizzi Generosa, a guardia dell’alta e media valle dell’Imera settentrionale, è testimoniata dal settore più vicino all’abitato della necropoli orientale, di cui sappiamo pochissimo (ad es. si ignora se si trattasse di tombe a inumazione e/o di sepolture a incinerazione), visto che è stato interessato per primo dall’attività antropica e, in particolare, inurbamento (che ha fatto scempio dei ricchi corredi che documentavano la prosperità dell’insediamento) e non è stato sinora oggetto di indagini archeologiche e geoarcheologiche) sistematiche.
I più antichi reperti archeologici rinvenuti appartenenti alla necropoli orientale, e, purtroppo, in grandissima parte, andati irrimediabilmente distrutti o dispersi, erano costituiti da ceramica indigena arcaica decorata con motivi, sia geometrici che a bande, dipinti con una vernice bruna o bruno-rossastra, venuti alla luce nel 1978 durante lo scavo di fondazione dell’asilo nido comunale in Via S. Pietro (cfr. A. Contino, L’evoluzione dell’abitato di Polizzi Generosa…cit.). Altri corredi funerari erano costituiti da ceramica a vernice nera su fondo rosso (riferibile al V secolo a. C., soprattutto seconda metà di esso), costituita da vasellame di argilla nocciola poco depurata, tazze e coperchi di lekanai di tradizione attica, dipinti a vernice nera su fondo rosso. Le tazze, per lo più senza piede, erano dipinte a vernice nera, con decorazione esterna a bastoncelli ed interna a bande concentriche ottenute al tornio. I coperchi avevano un basso bordo, decorato con il motivo detto cane corrente, ed erano rivestiti esternamente da una vernice nera, esibendo una decorazione a bastoncelli attorno al pomo del coperchio, listato a bande e decorato, nella parte superiore, da quattro palmette stilizzate.
Da informazioni raccolte alla fine degli anni ‘70, risulta che durante i lavori di sbancamento di alcuni metri, sino alla roccia in posto (calcari marnosi e marne della formazione di Polizzi, dell’Eocene inferiore-medio), per ricavare il piano di posa dell’Asilo Nido, furono rinvenuti ed andati dispersi, anche degli unguentari ellenistici (lekythoi Pagenstecher) dal collo lungo e stretto, monoansati, decorati a vernice nera su fondo rosso con le classiche raffigurazioni di cigni e palmette stilizzate o di altri volatili e, in subordine, di figure femminili panneggiate, recentemente interpretate come Afroditi (cfr. M. Turner, Aphrodite and her birds: the Iconology of Pagenstecher Lekythoi, in “Bulletin of the Institute of Classical Studies”,48, Oxford University Press 2005, pp. 57-96). Alcuni frammenti dei unguentari ellenistici erano presenti anche nel materiale estratto, prevalentemente calcareo (frammenti di calcare marnoso) ed argilloso giallastro (talvolta con tracce di cenere), accumulato temporaneamente a tergo dell’edificio in costruzione. La presenza degli unguentari ellenistici, attesterebbe la continuità di frequentazione di quest’area più antica della necropoli orientale, nonostante la nascita in età ellenistica di una nuova area di espansione ubicata più a monte nell’attuale contrada Puputùni-S. Pietro, oggetto dello scavo archeologico sistematico degli anni ‘90 del XX sec., dove peraltro è ampiamente attestata questa tipologia di corredo vascolare (cfr. A. Tullio, Polizzi Generosa. Civico Museo Archeologico: le lekythoi Pagenstecher, in Arte e storia delle Madonie. Studi per Nico Marino, Vol. VI, a cura di G. Marino e R. Termotto, Associazione Culturale “Nico Marino”, Cefalù, Atti della sesta edizione, Castelbuono, Museo Civico – Castello dei Ventimiglia, 22 ottobre 2016, Cefalù 2018, pp. 61-76).
I detti reperti vennero alla luce ben quattordici anni prima dello scavo archeologico sistematico, voluto dalla Soprintendenza BB.CC.AA. di Palermo, di concerto con l’Università di Palermo, nel sito di contrada Puputùni-S. Pietro, posto più a monte e già indicato in precedenza come sito di una necropoli (cfr. A. Contino, L’evoluzione dell’abitato di Polizzi Generosa…cit.).
La necropoli orientale, detta di contrada S. Pietro, nella sua fase ellenistica (metà IV secolo a.C. – II secolo a.C.), fu “riscoperta” nel 1992 a seguito dei rinvenimenti fortuiti legati ai lavori di fondazione del nuovo istituto tecnico per geometri, e lo scavo scientifico di essa fu affidato al prof. Amedeo Tullio dell’Università di Palermo [cfr. A. Tullio, Polizzi Generosa. Necropoli ellenistica in contrada S. Pietro. Scavi 1992, in “Incontri e Iniziative. Memorie del Centro di Cultura di Cefalù”, VII,1/1990, pp. 5-24; A. Tullio, Scoperta di una necropoli ellenistica a Polizzi Generosa (contrada S. Pietro), in “Kokalos”, XXXIX-XL, 1993-1994, pp. 1233-1238; A. Tullio, La necropoli ellenistica di Polizzi Generosa (Contrada S. Pietro) a cinque anni dalla scoperta (1992-1996) in Archeologia e Territorio, Palermo 1997, pp. 267-274; A. Tullio, La Necropoli ellenistica di Polizzi Generosa (Contrada S. Pietro). Scavi 1993-1996, in “Kokalos” XLIII-XLIV, 1997-98, pp. 719-728]. I reperti sono attualmente esposti nel locale museo archeologico (cfr. A. Tullio, S. Aloisio, R. Benincasa, M. G. Montalbano, Il Museo Archeologico di Polizzi Generosa. Prima presentazione, Palermo 2005).
In realtà, la necropoli orientale di contrada S. Pietro e l’antichissima via di crinale, sulla quale era collocata, furono scoperti e, per la prima volta segnalati nel 1986, da uno degli scriventi, all’interno di una decennale ricerca, basata su dati bibliografici, archivistici e, soprattutto su indagini sul terreno, volta alla ricostruzione dell’evoluzione dell’abitato, edita a puntate sul periodico castelbuonese “Le Madonie” (cfr. A. Contino, L’evoluzione dell’abitato di Polizzi Generosa…cit.) e proseguita poi negli anni 90′ con ulteriori indagini storiche sul sito (cfr. A. Contino, Il Casale di San Pietro a Polizzi Generosa. “Le Madonie”, anno LXXIII, 17, 1° dicembre 1993, p. 3; 18, 15 dicembre 1993 p. 3), nonché geologico-geomorfologiche e geoarcheologiche nella valle dell’Imera settentrionale, fulcro della regione (chora) gravitante attorno l’antica colonia greca di Himera, che hanno evidenziato la stringente correlazione tra le caratteristiche dell’ambiente fisico e le scelte insediative in questo settore della Sicilia centro-settentrionale (cfr. A. Contino, Geologia e Geomorfologia della bassa valle del fiume Imera settentrionale, in: O. Belvedere et al., Himera III.2…cit., pp. 25-48).
Relativamente all’area urbana, i primi rinvenimenti documentati risalgono alla fine del Seicento, ed ebbero notevole grido per la scoperta di un “tesoretto” monetale intramurario (cfr. A. Contino, L’evoluzione dell’abitato di Polizzi Generosa…cit.).
Nel 1681, infatti, furono iniziati gli imponenti lavori per la costruzione del Collegio dei Gesuiti, completati attorno al 1730. Nel 1690-91, durante gli scavi di fondazione in questo sito attiguo all’impluvio del torrente Zacca, vennero alla luce vasi contenenti monete puniche; il ritrovamento è citato più volte nei manoscritti dei fratelli Caruso Alimena, dove si legge che «Qui entran le testimonianze delle Medaglie trovate tante volte nella nostra Città; ‘a tempi nostri fu di nuovo grido l’invenzione [scoperta] di quelle Medaglie d’Oro dei Cartaginesi, ritrovate in un vaso pieno di esse», Francesco Caruso ricorda inoltre che «ne volle notizia il Duca d’Ossèda, allora Viceré, dal Capitano della città Don Vincenzo Gagliardo, e più Medaglie restarono in mano di molti»; altrove invece accenna all’esistenza di «abitazioni» portate alla luce durante gli scavi: «fa sicura testimonianza di antichità, quella casa rovinata per fabbricare il Collegio de’ Gesuiti, nelle cui fabbriche furono trovati uno o più vasi di Medaglie d’Oro dei Cartaginesi». Attesta il Caruso che alcune di tali monete erano in suo possesso per averle «avute dal Duca D[on]. Francesco Bologna» suo cognato «colui a cui rimise il Capitano [Gagliardo] suddetto, suo parente, molte medaglie per farle osservare al Signor Viceré, il quale avendole osservate tutte d’un conio gliele restituì». Con tutta probabilità, queste monete erano di una lega detta elektron (=ambra in greco), costituita da 4/5 d’oro e 1/5 d’argento, dal caratteristico colore ambrato, da cui il nome, che ebbe grande diffusione soprattutto durante la 1a metà del IV sec. a.C. Per ulteriori approfondimenti sulla monetazione punica di Sicilia rimandiamo a G. K. Jenkins, Coins of Punic Sicily, Classical Numismatic Group, special reprint of Swiss Numismatic Review, Lancaster, Pennsylvania 1997.
In questo medesimo sito sono stati rinvenuti i pochi resti superstiti pertinenti all’abitato antico, non andati distrutti a causa dei lavori di fondazione dell’edificio gesuitico [cfr. A. Tullio, Indagini archeologiche a Polizzi Generosa (1997-2001), in “Kokalos” XLVII-XLVIII, 2001-2002, II, pp. 675-678].
Nel 1892-93, con l’abbassamento della «Spianata della Chiesa Madre», si rinvennero, secondo l’archeologa Nina Sardo (Salerno 12 febbraio 1907- Polizzi Generosa, 4 giugno 1977), delle tombe puniche, databili ad un periodo compreso tra la 2a metà del IV sec. e la 1a metà del III sec. a.C. Nella vicina Via Carlo V, durante gli scavi di sistemazione della sede stradale nel 1938 si rinvennero altri reperti coevi (cfr. N. Sardo Spagnuòlo «Luce antica sulle Madonie», in “Giglio di Roccia”, VI, 3, 1940 e “Archivio Storico Siciliano” VIII – IX 1942-43; Idem, Spigolature archeologiche, S. F. Flaccovio, Palermo 1976, 93 pp., 16 tavv.). Per ulteriori ragguagli sulla figura dell’archeologa Nina Sardo (1907-1977), di famiglia originaria di Polizzi Generosa, cfr. F. G. Polizzi, Nina Sardo Spagnuolo, in M. Fiume (a cura di), “Siciliane. Dizionario Biografico”, Siracusa, E. Romeo editore, 2006, pp. 849-851.
Verso la fine degli anni ‘50 del Novecento, fu scoperto casualmente un altro “tesoretto” monetale intramurario in Piazza Medici (incrocio tra via Cefalù e Cortile Signorino).
Il “tesoretto”, rinvenuto durante lavori di scavo, avvenuti il giorno 8 febbraio 1957, secondo un testimone oculare, era contenuto un vaso fittile, poi andato disperso. Il nucleo monetario superstite che fu studiato dalla prof.ssa Aldina Tusa Cutroni (cfr. A. Tusa Cutroni, Ritrovamento di monete a Polizzi Generosa, “Giglio di Roccia”, Primavera 1963, n. 19, pp 17-19; A. Tusa Cutroni, I ΚΑΜΠΑΝΟΙ ed i ΤΥΡΡΗΝΟΙ in Sicilia attraverso la documentazione numismatica, “Kokalos”, 16, 1970, pp p. 250-267) comprendeva, oltre ad emissioni siracusane (di Agàtocle, del successore Iceta II e di Gerone II), monete di Agrigentum, Tauromenion (Taormina), di Mytìstraton (Castellaccio di Marianopoli), Puniche, e dei mercenari Campani o Kampanoi (in particolare dei Mamertini e dei centri abitati della Campania: Neapolis, Cales, oggi Calvi Risorta, e Posidonia-Paestum) nonché di Arpi in Puglia a circa 8 km a nord-est di Foggia.
Per ulteriori approfondimenti sulla presenza di truppe mercenarie provenienti dalla Campania, rimandiamo ai più recenti contributi del primo decennio del XXI sec. (Cfr. U. Fantasia, I mercenari italici in Sicilia, in C. Ampolo, a cura di, Da un’antica città di Sicilia. I decreti di Entella e Nakone. Catalogo della mostra, Pisa, 2001, pp. 49-58; A.C. Fariselli, I mercenari di Cartagine. Biblioteca della Rivista di Studi Punici 1, La Spezia, 2002; A. Campana, a cura di, Kαμπάνος. Centro di Studi Storici Saturnia. Associazione Culturale Italia Numismatica. Contributi alla conoscenza della Storia, Archeologia, Numismatica e Vita quotidiana dei popoli dell’Italia antica, II – Campani, Cassino, 2010).
La presenza di emissioni dei Kampanoi, confermerebbe, indirettamente, l’esistenza di un fortilizio dove, probabilmente, erano di stanza le truppe mercenarie provenienti da tali aree (cfr. A. Contino, L’evoluzione dell’abitato di Polizzi Generosa…cit.).
Secondo gli studi condotti dall’equipe di numismatici diretta da Margaret Thompson dell’International Numismatic Commission, in seno all’American Numismatic Society (cfr. M.Thompson, O. Mørkholm, C. M.Kraay, An Inventory of Greek Coin Hoards, xviii+408 pp., 3 maps, The International Numismatic Commission by the American Numismatic Society, New York-London 1973, ad indicem), il tesoretto monetale di Polizzi Generosa sarebbe stato sepolto tra il 250 ed il 200 a. C. Tale datazione, presenta però, a nostro avviso, un margine di errore non indifferente visto che su circa 350 monete bronzee, che secondo la Tusa Cutroni furono rinvenute nel ripostiglio monetale, se ne recuperarono solo 154 esemplari (cioè il 44%), molte delle quali però illeggibili, mentre il restante 56% andò disperso.
Da notare che Francesco Caruso Alimena (cfr. F. Caruso Alimena, Spiegazione di un antico simulacro…cit.), ricorda di possedere una moneta bronzea che recava nel recto la testa di Pallade e nel verso il gallo con una legenda che egli interpreta ATHENO[N], mentre è ben evidente che si tratta del tipo monetale di Cales (riferito agli abitanti Calenus) con la dicitura CALENO e l’astrum (cfr. ad es. G. Eckhel, Doctrina Numorum veterum, vol. I, Degen, Vindobonae 1792, p. 110).
Recentemente, i saggi di scavo archeologico effettuati dalla Soprintendenza BB.CC.AA. di Palermo, all’interno della Maggior Chiesa di Polizzi Generosa, hanno rintracciato frammenti di ceramica indigena del VI sec. a.C. (cfr. R. M. Cucco, Novità sull’Archeologia a Polizzi Generosa: gli scavi nella Chiesa Madre, in Arte e storia delle Madonie. Studi per Nico Marino, Vol. VI, a cura di G. Marino e R. Termotto, Associazione Culturale “Nico Marino”, Cefalù, Atti della sesta edizione, Castelbuono, Museo Civico – Castello dei Ventimiglia, 22 ottobre 2016, Cefalù 2018, pp. 49-60), confermando i dati già editi nell’ormai lontano 1986 (cfr. A. Contino, L’evoluzione dell’abitato di Polizzi Generosa…cit.).
Il sito della Maggior Chiesa di Polizzi Generosa meriterebbe ulteriori indagini archeologiche. Magari con un approccio geoarcheologico, anche per la sua vicinanza alle strutture fortificate del castello, sorto sul punto più elevato dell’antica acropoli polizzana.
La storia dell’insediamento fortificato alto medioevale di Polizzi Generosa, che rientra in quella più generale dello sviluppo dei siti muniti di Sicilia, a causa della esiguità delle fonti documentarie (alquanto labili sino all’XI sec.) e della mancanza di indagini archeologiche pianificate, è sinora soltanto abbozzabile. A scala regionale, non mancano contributi e monografie volte ad un censimento delle emergenze esistenti o che sono note attraverso i documenti, alle quali rimandiamo il lettore per eventuali approfondimenti [cfr. H. Bresc, Terre e castelli: le fortificazioni nella Sicilia araba e normanna, in R. Comba, A. Settia, a cura di, Castelli. Storia archeologia, Torino, 1984, pp. 73-87; H. Bresc, G. Bresc-Bautier, L’habitat sicilien médiéval: prospection dans le territoire des Madonies, in G. Noyé, a cura di, Castrum 2. Structures de l’habitat et occupation du sol dans les pays méditerranéens: méthodes et apports de l’archéologie extensive, «Collection de l’École Française de Rome», 105/2, «Casa de Velazquez», 9, 1988, pp. 59-72; F. Maurici, Castelli medievali in Sicilia. Dai Bizantini ai Normanni, Palermo 1992; H. Bresc, Tours et casaux de la Sicile médiévale: esquisse d’une évolution de longue durée, in R. Comba, F. Panero, G. Pinto, a cura di, Motte, torri e caseforti nelle campagne medievali (secoli XII-XIV), Cherasco, 2007, pp. 303-341].
Sarebbe auspicabile una dettagliata indagine archeologica e geoarcheologica anche nel sito del castello di Polizzi Generosa, al fine di tratteggiare maggiormente la storia di questa importante fortezza medievale ed eventualmente investigare sulla possibile presenza di emergenze preesistenti, molto probabile vista la continuità d’uso ultramillenaria.
In mancanza di indagini scientifiche, sia nel sito del castello che nei borghi (casali) circostanti l’abitato di Polizzi Generosa, non possiamo che ricorrere alle scarne notizie storiche ed alle tracce toponomastiche.
In particolare, la denominazione del sobborgo fuori le mura o casale di S. Pietro, il casale di Polizzi per antonomasia, è un esempio di agiotoponimo di epoca normanna che, come in altri siti siciliani, ha obliterato la precedente toponomastica araba [cfr. H. Bresc, L’hagiotoponymie sicilienne (XIIIe-XlVe siècles) et le réseau des églises des bourgs et des casaux, in P. Cressier, a cura di, Castrum 8. Le Château et la ville. Espaces et réseaux, “Collection de l’École Française de Rome”, 105/8, “Casa de Velazquez”, 108, pp. 17-28].
Durante la dominazione bizantina e, in particolare, nel VII sec. d. C. le prime incursione musulmane dovettero contribuire notevolmente alla nascita o al riutilizzo di rifugi di altura e di montagna, ubicati in siti naturalmente difesi ed allo sviluppo di abitati rupestri, come documentano le successive fonti storiche e toponomastiche [cfr. H. Bresc, L’habitat médiéval en Sicile (1100-1450), in “Atti del Colloquio Internazionale di Archeologia Medievale”, Palermo-Erice, 20-22 settembre 1974, Cappugi e F., Palermo 1976, vol. I, pp. 186-197; H. Bresc, L’habitat rupestre dans la Sicile médiévale, in G. Motta, a cura di, Studi dedicati a Carmelo Trasselli, Rubbettino, Soveria Mannelli 1983, pp. 129-144].
Gli storici musulmani, ad es., attestano chiaramente l’incastellamento bizantino dei siti strategici siciliani, tra i quali non possiamo fare a meno di annoverare Polizzi Generosa. ‘Ibn al Athir (XII-XIII sec.), che ricorre a fonti prossime al periodo della conquista, riferisce che i bizantini «ristorarono ogni luogo dell’isola, munirono i castelli ed i fortilizi ed incominciarono a far girare ogni anno nella stagione intorno alla Sicilia delle navi che la difendevano» (cfr. M. Amari, Biblioteca arabo-sicula ossia Raccolta di testi arabici che toccano la geografia, la storia, le biografie e la bibliografia della Sicilia, vol. I, Loescher, Torino 1880, p. 363), mentre An Nawaryri (XIII sec.) riporta che «il paese fu ristorato d’ogni parte dai Rum [bizantini] i quali vi edificarono fortilizi e castelli, né lasciarono monte che non v’ergessero rocca» (cfr. M. Amari, Biblioteca arabo-sicula..cit., vol. II, p. 113).
La città di Polizzi Generosa, con la culminazione del suo castello, concludendo, rappresenta un elemento cardine ubicato lungo il crinale che, da questa emergenza morfologica si snoda sino ai rilievi di Monte Cavallo-Monte S. Salvatore. Questo crinale costituiva il più antico sistema viario di questo settore delle Madonie occidentali, originatosi in modo del tutto spontaneo (cfr. A. Contino, L’evoluzione dell’abitato di Polizzi Generosa…cit.) e che qui proponiamo di designare “via delle alte Madonie”, poiché si sviluppa essenzialmente nel settore più elevato del gruppo montuoso. Questo sistema si raccorda, ancor oggi, sia con la “via delle basse Madonie”, che si estende nel settore più basso del gruppo montuoso, collegandolo con altri sistemi viari confinanti, in direzione dei Monti di Termini Imerese-Trabia ad O e delle Caronie ad E. La “via delle alte Madonie” è da considerare un sistema viario preistorico/protostorico, ma che, con frequenza molto varia, è stato sempre utilizzato nei millenni e nei secoli successivi, in alternativa ai percorsi di fondovalle. Questo sistema viario riprese importanza nella tarda latinità e nell’alto medioevo, col decadere di quello greco-romano sviluppato nel fondovalle, che seguiva più o meno il corso del fiume Imera settentrionale. Su questa vetusta via di crinale si inserivano una serie di sentieri secondari, in massima parte ancora esistenti e collegati con altre vie montane, tra cui quella che dal Carmine va alla chiesetta della Pietà, poi per Sorgitore, S. Croce, fino all’Orto della Menta e si divide poi in due tronconi, uno che si dirige verso la contrada Marabìlice ed il Piano della Battaglia di Polizzi (Piano Cervi), l’altro che da Portella Colla, volge verso il Piano della Battaglia di Petralia, ben più noto del precedente (cfr. A. Contino, L’evoluzione dell’abitato di Polizzi Generosa…cit.).
In questo territorio, inoltre, va messa in evidenza la presenza di sorgenti con portate anche notevoli, grazie alla presenza di acquiferi calcareo-dolomitici affioranti alla base del Monte S. Salvatore. E’ quindi evidente che, dal punto di vista ambientale, il sito su cui sorge l’abitato di Polizzi Generosa, ed il territorio immediatamente circostante, ha offerto nei secoli le condizioni ottimali per le comunità montane che fondavano la propria economia sull’attività silvo-pastorale ed agricola.
Alle motivazioni geomorfologiche si aggiungono anche quelle geopolitiche vista la collocazione dell’abitato di Polizzi Generosa nell’alta valle dell’Imera settentrionale, a breve distanza dalle scaturigini che danno origine non solo all’Imera meridionale o Salso, speculare rispetto all’omonimo settentrionale, ma anche, al Platani (l’antico Alikòs) attraverso l’affluente in zona di testata, il torrente Barbarigo – Salito di Bompensiere.
La zona circostante l’abitato di Polizzi Generosa, quindi, era e continua ad essere, il crocevia di importanti direttrici naturali, frequentate sin dalla preistoria, che collegano la costa settentrionale e meridionale attraverso l’entroterra madonita e l’altopiano gessoso-solfifero.
Il caso di Polizzi Generosa è un esempio emblematico dello stretto legame tra geomorfologia e scelte insediative. Anche per questo settore della Sicilia centro-settentrionale è assodato il binomio geomorfologia-scelte insediative, come già messo in evidenza in altre aree italiane (cfr., ad es., P. L. Dall’Aglio, G. Marchetti, O. Nesci, L. Pellegrini, D. Savelli, G. Calderoni. Geomorfologia e popolamento antico nella media valle del fiume Cesano (Marche- Italia), “Il Quaternario Italian Journal of Quaternary Sciences”, 17 (2/1), 2004, pp. 213-219]. Tale interconnessione è fondamentale sia per una corretta impostazione delle ricerche archeologiche e geoarcheologiche, in chiave di archeologia del paesaggio, sia per l’individuazione delle “zone a rischio archeologico”, aree che per caratteristiche ambientali e soprattutto geomorfologiche sono vocate ad essere state utilizzate nelle epoche passate come insediamenti, e quindi potenzialmente in grado di restituire materiale archeologico (cfr., ad es. Rischio archeologico: se lo conosci lo eviti, IBC, Documenti/31, Atti del convegno di studi su “Cartografia archeologica e tutela del territorio”, Ferrara 24-25 Marzo 2000, a cura di M. P. Guermardi, Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali della regione Emilia Romagna, Bologna, All’Insegna del Giglio, Firenze 2001).
L’individuazione di tale aree permette, quindi, di poter pianificare non solo la ricerca archeologica s. s., ma anche la redazione di piani regolatori e piani territoriali che tengano in giusto conto sia la possibilità della salvaguardia dell’ingente patrimonio archeologico italiano, che la corretta ottimizzazione dei tempi di realizzazione di infrastrutture ed edifici in aree e siti a potenziale presenza di insediamenti archeologici.
Patrizia Bova e Antonio Contino