Federico De Maria, il genio poliedrico irrequieto che firmò insieme a Marinetti il Manifesto futurista

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Su Federico De Maria (Palermo, 21 luglio 1883 – Palermo, 1º aprile 1954) si potrebbe aprire un capitolo a parte in merito alle contraddizioni del suo “esser futurista” e alle conseguenze,

agli influssi che hanno potuto determinare scarsa coesione e incisività del Movimento di Marinetti a Palermo. La stessa Anna Maria Ruta, nota cattedratica ed esegeta della stagione futurista nell’Isola, (Cfr. Futurismo in Sicilia, edizioni Pungitopo 1991) pur cercando di minimizzare sulle diverse ragioni che avevano indotto il De Maria a invertire di360° la esibizione della propria linea letteraria, ammette la contraddizione organizzativa  circa la coesione delle presenze e le polemiche. E minimizza, forse per evitare di approfondire sull’indole abbastanza palese del De Maria, il quale probabilmente non era poi ben lungi dal riconoscere i valori altrui,  quanto convinto di dover essere riconosciuto per i propri. Scrive a un certo punto la Ruta nell’opera citata: “I toni accusatori dei suoi articoli (del De Maria – NdT) rivelano la difficoltà di giungere ad una analisi obiettiva della novità e del valore del Manifesto e ad una giusta valutazione dell’azione e della personalità di Marinetti, impietosamente attaccato anche nel privato: (Marinetti vuole sempre, anche nella corrispondenza privata, anche nella conversazione, imporre i tropi della sua poesia…).
Noi non vogliamo nello spazio e nel vero intento del nostro medaglione in linea con il programma della rubrica che è quello di ricordare semplicemente alcune figure, ora più ora meno celebrate, di siciliani che hanno lasciato una forte impronta nella storia della cultura letteraria delle arti figurative o del pensiero, improvvisarci paladini della memoria di Federico De Maria. Vorremmo invece tentare di capire e spiegare a noi stessi le ragioni che a un certo momento hanno indotto il letterato, il poeta e il docente, il sicuramente genio poliedrico di questo siciliano irrequieto quanto portatore di valori, a ripudiare con il proprio comportamento l’aver firmato assieme a Marinetti, il Manifesto futurista. Un comportamento che lungi dall’essere giudicato come un personale e umorale gesto, va inquadrato, secondo noi, in altre aure proprie di certa sicilianità. Quella sicilianità che si ribella quando non vede riconosciuto il proprio valore pioneristico dimostrato con una invenzione – e si dice per modo di dire – di un prodotto che l’intraprendenza di chi scende in Sicilia dalla Penisola, fa poi suo fino a brevettarne la formula. Ed ecco a proposito di quanto pubblicato dalla Ruta, il parere dell’altra campana, quella di Rosaria di Caro, che su “Volti e Pagine di Sicilia” (Ed. Prova d’Autore, 1999), volume che reca saggio introduttivo di Nicolò Mineo, scrive: De Maria, di precocissimo ingegno pubblicò le sue prime novelle quando aveva 14 anni. Sempre giovanissimo cominciò distinguersi pubblicando poesie per le quali adoperava il verso libero, una novità assoluta per quegli anni che non erano ancora quelli del futurismo.  Nel 1905 fondò la rivista La Ronda sulla quale, in coerenza con le proprie intuizioni creative, propose subito istanze di modernismo. Fra le tante collaborazioni a La Ronda mancarono nei primi anni  di vita della rivista gli interventi di Marinetti. Questi si fece avanti spontaneamente solo dopo aver letto sulla rivista stessa una recensione che segnalava un suo libro; quasi una dimostrazione, da parte del Marinetti di interessato compenso. D’altra parte era ben palese la consistente forza culturale del gruppo di intelligenze creative ruotanti attorno al De Maria e alle sue iniziative letterarie. Furono comunque di più sincero entusiasmo le prime corrispondenze del De Maria con Marinetti, con il quale cominciò subito a collaborare in pieno firmando il Manifesto “Uccidiamo il chiaro di luna” e aderendo alle iniziative di quelle che furono le prime fasi del futurismo. Ma c’era una aspettativa in De Maria, quella di vedersi riconosciuti i meriti di essere stato antesignano, appunto, del Movimento futurista. La delusione provata di fronte agli atteggiamenti di Marinetti e di altri allorché comprese che non avrebbero ammesso quanto riteneva legittimo, lo fece determinare ad allontanarsi dal Movimento futurista e ad assumere atteggiamenti sempre più tradizionalisti quasi di abiura rispetto alla condotta letteraria iniziale (…).
L’antipasto è servito, si potrebbe dire a questo punto, ma anche il pranzo e la cena se si mette nel conto la precisazione che la poesia “Il fabbro”, De Maria, l’aveva scritta nel 1900.  È  il mio martello enorme il pensier, / che con il mio braccio possente /  fo risonar sul metal rovente dell’anima, / del cuore e delle forme. / E l’universo, che tutto rinserra, è la fucina che ha per foce il sole; Ivi è mia vasta incudine la terra / e le faville son le mie parole (…). Dopo ben nove anni Marinetti avrebbe scritto e pubblicato il manifesto nel 1909. Oltre allo iato del tempo si aggiunga subito che di anni ne passeranno ancora ben quattro tra la rivista La Ronda di De Maria e l’anno 1909 in cui Marinetti scrive, declama e diffonde il Manifesto futurista. Sono elementi che occorre valutare non solo tenendo presente le date come assiomatica referenzialità storica ma attingendo all’anima siciliana del De Maria. Ed ecco una riflessione che non riteniamo del tutto peregrina se ci invita a citare la saggezza di un detto siciliano che sintetizza insularità, orgoglio e  conseguente egocentrismo dell’anima di chi è nato nella terra del vulcano più alto d’Europa. “Ogni testa di siciliano è un tribunale”. Vogliamo davvero ignorare la reazione del siciliano De Maria di fronte a un Marinetti despota di un giocattolo di cui a torto o a ragione si riteneva essere stato inventore unico?  Qui entra il peso di fattori che potrebbero contrastare con aspetti che definiremo organizzativi o comunque tali da giustificare il Marinetti che dimostra l’agire dell’orchestrale accentratore, che dopo aver convocato i colleghi conoscitori e persino autori dello spartito di comune congenialità, prende in mano la  bacchetta e dal podio che ha già predisposto  per sé, impone la propria mansione di direttore dell’orchestra. Continuando con la figuralità diremmo che il De Maria avrebbe preteso per sé almeno un ruolo ufficiale di primo clarinetto, una volta constatato che, fatalmente, non era stato lasciato spazio per un condirettore. Ed ecco la reazione umana del cambio di solidarietà verso quanto aveva inventato praticato e firmato. La conversione a tutt’altra musica e a tutt’altri strumenti.
La divagazione ci offre il destro per un altro esempio, quasi un modello che viene a essere ripetuto a distanza di tre quarti di secolo, e questa volta da uno dei maggiori scrittori siciliani (ed europei) del Secondo Novecento, scrittore che dopo il proprio capolavoro (Horcynus Orca), di fronte a certa offensiva indifferenza manifestata da una parte importante e pretestuosa della critica, dichiara (lui sì) di dimostrare che avrebbe potuto e saputo scrivere un secondo romanzo senza alcun chimismo linguistico, adoperando con acribia la lingua della comunicazione nazionale degli altri colleghi che non avevano voluto riconoscere il valore straordinario del suo capolavoro. E scrive Cima delle nobildonne cambiando codici di scrittura, ma non per abiurare a quelli dell’Horcynus Orca.
Anche per De Maria ci viene spontaneo concludere, come per altre vare grandi indelebili ombre di geni siciliani auspicando giudizi più vicini alla realtà delle sue opere e delle sue scelte. Onesto aggiungere che Gruppi di studio e iniziative scientifiche in seno alle facoltà umanistiche dell’Università di Palermo hanno continuato a restituire testimonianze di valido interessamento verso la messe di opere di questo siciliano dall’ingegno precocissimo e dalle tantissime pubblicazioni, anche in materi di musica e teatro oltre che di poesia e saggistica letteraria . Riguardo alla musica e al teatro ricorderemo che, tra l’altro, il De Maria è stato docente di letteratura italiana  presso il Conservatorio di Musica di Palermo e direttore della Compagnia filodrammatica dell’EIAR, momenti minimi di una attività insonne lungo tutta la vita dedita all’arte e alla ricerche.
Mario Grasso

1 COMMENT

  1. De Maria è stato un interessante poeta minimo della provincia italiana, che ha vissuto una brillante stagione giovanile poi evaporata nel nulla. Egli non ha firmato nessuno manifesto (sia il ‘Manifesto del futurismo’ che il ‘Secondo proclama’ – poi noto come ‘Uccidiamo il chiaro di luna!’ – sono testi a esclusiva firma di Marinetti). I testi di Anna Maria Ruta e Giuseppe Miligi sono ahimè molto imprecisi al riguardo (non oso pensare la signora Rosaria Di Caro…). DeM fu cooptato dal FTM nel primo gruppo futurista, e a quanto pare non la prese granché bene, a giudicare dal lungo silenzio pubblico intercorso tra il febbraio 1909 e il luglio 1910, quando sull’«Ora» di Palermo escono ben due articoli molto duri e diffidenti verso il Futurismo. Purtroppo non abbiamo se non frammenti del carteggio tra DeM e FTM in questo periodo, ma *nulla* tra i documenti che possediamo a oggi autorizza a pensare che DeM abbia *mai* partecipato al Futurismo. Tra DeM e FTM, dunque, permane l’abisso che ci può essere tra un poeta minimo della provincia italiana del primo Novecento (DeM), e l’inventore della prima avanguardia artistica e letteraria al mondo (FTM) – la quale avanguardia, a parte l’exploit del 1909, ha prodotto tra 1912 e 1915 (giusto per stare molto stretti e severi) opere che hanno avuto un impatto letteralmente incalcolabile sulla storia dell’arte e della letteratura a livello mondiale. E quale è dunque la notizia? La notizia è che il siciliano Federico De Maria in questa avanguardia mondiale non ci è mai stato né ci è voluto stare, con buona pace dei suoi giovanili guizzi libertari che non lo smuovono dalla dimensione di poeta minimo della provincia italiana.

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