Castelbuono, Festa della Donna: “Ultimo canto di Saffo” dedicato a chi sta subendo inimmaginabili disumanità

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Quest’anno la Giornata Internazionale della Donna il Comune di Castelbuono e il Centro Polis hanno voluto dedicarla a quelle Donne che non hanno e non hanno avuto spazio nella storia.

A partire dalle migliaia di donne, e i loro straziati bambini, che sull’isola di Lesbo stanno subendo inimmaginabili disumanità.
Avevano intrapreso un percorso di ricerca sulle artiste, notoriamente poco o per nulla considerate dai manuali di storia dell’arte, impegnandoci in una selezione delle donne che avevano espresso i propri pensieri, sentimenti, desideri, attraverso le arti figurative. Avevano “scoperto” decine di storie e di opere che meritano di essere non solo conosciute, ma anche portate alla stessa ribalta dei prototipi maschili. Un lavoro appassionato e appassionante che hanno svolto sei giovani donne di Castelbuono (Martina e Martina, Giorgia, Eleonora, Andrea, Ludovica) che hanno composto delle schede biografiche che avrebbero voluto esporre in una rassegna al Centro Sud. Ma la cronaca incalza.
Il virus ha modificato qualunque programma pubblico e sociale, sconsigliando le manifestazioni e annullando nei fatti la rassegna sulle Donne Artiste, rimandata a data da destinarsi.
Così, insieme alle sei giovani donne, hanno voluto comunque dedicare questo lavoro anche a quelle donne che proprio in queste ore, nell’assordante silenzio di tutte le istituzioni nazionali ed internazionali, stanno subendo la terribile sottrazione della dignità umana solo perché “classificate profughe”. Donne, e uomini, a cui nessun diritto viene riconosciuto e neppure il dovere alla sopravvivenza, viste le condizioni di fame, freddo e malattia cui sono costretti sull’isola di Lesbo.
Nella canzone “Ultimo canto di Saffo” di Giacomo Leopardi l’infelicità diventa universale e radicata ab origine nell’essenza umana: quello che sta accadendo a Lesbo, l’isola dell’Egeo indissolubilmente legata alla memoria della poetessa Saffo, conferma quanto nel nostro tempo sia drammaticamente radicata l’infelicità, al punto da non distinguere più ciò che è possibile infliggere ad un essere umano da ciò che non è permesso neppure immaginare.