Con Domenico Bruno (Partanna 1923 – Palermo 1996) abbiamo avuto cordiale amicizia fin dal primo anno della fondazione del Premio internazionale Mondello a opera di Francesco Lentini.
Invero ci eravamo conosciuti in grazia della sua carica di presidente del Centro di Cultura Siciliana Pitré di cui nel 1970 era stato fondatore con altri amici palermitani. Bruno si era laureato in medicina nell’Università di Palermo, e subito dopo era stato assistente presso l’Istituto di semiotica medica delle medesima Università. La sua particolare attenzione agli studi letterarie umanistici è stata ispirata dall’interesse per le opere del Pitré, anch’egli medico con tanti meriti di studioso di etnologia e folklore. Si può dire pertanto che gli inizi sono stati di operatività culturale anche se nello stesso tempo il medico Bruno continuava a scrivere le opere letterarie che in seguito sarebbero state pubblicate come “sentire” morale e civile dello scrittore Bruno.
Particolare può essere quello della prima pubblicazione consistente in una silloge di poesie in dialetto siciliano intitolata Pupi e Pagghiazzi, opera che Bruno ha firmato con lo pseudonimo di Ninu Tala. Nome che ritornerà non più come firma dell’autore ma sotto nome del personaggio principale di Il chiodo storto, sapido e importante romanzo pubblicato nel 1982 dall’Editrice Città del sole di Verona. Verranno pubblicati successivamente altre opere con l’editrice Palermitana Ila Palma, tra cui un altro romanzo intitolato Sole salato nel 1986 e I racconti della Valle del Belice, editi dopo la morte dell’Autore nel 1999. Gli scritti di teatro di Domencio Bruno sono stati rappresentati a Palermo e con notevole successo, specialmente per il dramma Il Galileo e altro dramma a sfondo storico in due atti intitolato L’incorruttibile. Sono seguiti i coreodrammi anch’essi in due tempi: Colapesce e successivamente Geade.
Pupi e Pagghiazzi è una feroce satira che ha per bersaglio i politici regionali che in quegli anni sedevano all’Assemblea Regionale Siciliana. Citiamo uno stralcio da La crisi e la Regione: Gnursì cumpari, da chi munnu è munnu / na crisi di guverno po’ scappari! / Lu munnu, lu sapiti, è fattu tunnu / e gira sempri attorno pi cangiari / posta sta virità, si pirmittiti / c’è modu e modu tra lu fari e stari / e sulu li pagghiazzi, lu sapiti / fannu li catamolli pi campari. Cca sutta na sta terra di vampiri / di pagghiazzati ci nn’è sempri una /ppi futtini ccu chiacchiri e raggiri / perciò sti crisi fatti a sugghiuzzuna ,/ caru cumpari vi lu vogghiu diri / stanu rumpennu a tutti li cugghiuna.
Una recensione di Mario Luzi, pubblicata su L’Ora di Palermo il 6 aprile 1982, è la voce critica più autorevole che si è occupata della narrativa di Bruno finché questi fu in vita. Il poeta fiorentino mette avanti le mani per dire che gli tornano poco comprensibili i momenti di grottesco che Bruno descrive sulla politica regionale dell’Isola ma subito chiarisce: “ (…) io non sono siciliano e quell’universo che mi affascina nello stesso tempo mi cela parecchie delle sue ragioni. La farsa mafiosa intrecciata con oscure manovre politiche raccontata in questo libro che cosa aggiunge alla mia possibilità di comprendere? Essenzialmente questo: che tutto si gioca sulla testa della gente profittando però della sua vigorosa sete di giustizia (…). Toni diversi sullo stesso tema la recensione ancora a Il chiodo storto, scritta da Mario Sipala e pubblicata sul quotidiano La Sicilia del 24 settembre 1982. “Il romanzo del Bruno Il Chiodo storto potrebbe collocarsi nel revival di cultura separatista a cui la richiesta storica di Salvatore Nicolosi (Sicilia contro Italia) ha recato una spinta fondamentale. Se il dovere del recensore – come stabilì Maria Corti – è quello di dire prima di tutto che cosa il testo contiene e che cosa il suo autore ha voluto fare, questo dovere è messo a dura prova nel caso de Il chiodo storto, tanto è il fervore fantastico che si riversa nel libro e intreccia la strana vicenda di un americano folle e ricco, un mister Benvenuto Graffio, che ha la fissazione, il chiodo, di essere l’antico barone Graffeo di Partanna, ai rapporti tra mafia mercato nero e sommosse indipendentiste nella Sicilia dell’immediato dopoguerra (…)
In realtà quella di Domenico Bruno è una intenzione di ridicolizzare un mondo politico di certa Sicilia che uscita quasi indenne dalle macerie che avevano segnato più profondamente il mondo, piuttosto che pensare a sanare le proprie ferite e a stabilre un programma di seria rinascita, si trastulla succuba dalla mafia locale e siculo-americana per un gioco delle parti sconclusionato e senza avvenire per la su sorte.
La Sicilia ricca di beni naturali e dotata dei frutti di sacrifici dei suoi abitanti, che si trova irretita in giochi assurdi e grotteschi dietro cui non si riesce a capire chi veramente ci sia. Questo è stato il tema di esordio di Bruno con i versi in dialetto. E questo rammarico, raccontato con ironia e sarcasmo sarà il filo conduttore di tutte le sue opere, anche se con un crescendo di notevole efficacia e incisività. Crescendo che vive vigoroso sia nel capolavoro Il chiodo storto, sia nel successivo romanzo Il sole salato. C’è sullo sfondo una Sicilia che segna il passo, ma questo stesso segnare il cammino la fa trovare impaniata tra le trame celate di pupari e di pagliacci, che rendono “salata” la stessa condizione elargita dalla natura con il sole che pure è simbolo di vita all’aperto e di condizioni trasparenti che non si riesce a realizzare.
Altro tipo di incisività narrativa esaltata dalle rappresentazioni sceniche offrono i drammi di Bruno. Qui c’è sempre una chiave risolutiva tra le stesse pagine di scontento e rammarico che echeggiano comunque istanze ora di contestazione e riscatto, ora di celebrazione di leggende e miti siciliani, ora le speranze da non abbandonare. Insomma la voce di Bruno è tuttavia attuale e, purtroppo può essere adesso estesa all’intero teatro del territorio nazionale. Inoltre un notevole gioco di mistilinguismo tra lingua della comunicazione nazionale e italiano regionale di Sicilia vivifica le pagine delle opere di questo autore che, onestà vuole sia ricordato per il suo amore indirizzato al sogno di una Sicilia più omologata alla sua realtà di isola popolata di genialità, e di sani intelletti ma tuttavia condizionata da aure tutt’altro che benigne provocate e auspicate da minoranze ridicole, pagliacci a loro volta manovrati da qualche sadico puparo. Una minoranza che non può mettere in ombra una tradizione e una realtà naturale che viene esortata a svegliarsi e a spazzare via chiodi storti, pagliacci e pupari.
Mario Grasso