Così non va: rischiamo di chiudere di nuovo e non possiamo permetterci un altro Lockdown. Sarebbe uno scenario troppo pesante da sopportare economicamente… ma anche psicologicamente

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“Così non va: rischiamo di dover chiudere di nuovo”. Sono queste le parole, più o meno uguali, pronunciate da governatori e sindaci, preoccupati da comportamenti in qualche misura forse prevedibili ma decisamente pericolosi.

Eppure l’azione incalzante per accelerare la Fase 2 era stata messa in campo soprattutto da regioni e comuni, quegli enti locali alle prese con richieste sempre più pressanti da parte dei commercianti, desiderosi di riaprire i loro esercizi.  Dopo oltre due mesi di chiusura forzata, dalla bottega al negozio di quartiere, dai centri commerciali alle catene del lusso, stando ai  dati raccolti dalle federazioni di settore, la riapertura ha interessato il 90% delle attività di vendita al dettaglio nell’abbigliamento e il 70%. nella ristorazione. Secondo quanto affermato da Confcommercio il ritorno alle attività “è filato nel complesso abbastanza liscio” e in Italia si è potuto parlare di una “prova di ripartenza superata” per quasi 800mila imprese del comparto. Ma se questi dati possono senz’altro esser considerati favorevoli, alcuni episodi accaduti in questi primissimi giorni di Fase 2 “avanzata”, hanno già allarmato le autorità.
Sia il 18 che il 19 maggio abbiamo potuto constatare come una moltitudine si sia riversata per le strade e nei locali per partecipare a quella sorta di rito liberatorio e collettivo del “bere insieme”. Era ampiamente prevedibile, dicevamo, ma non fino al punto di assistere a scene di assembramenti in piena regola quali quelle immortalate a Palermo, specie in zona Vucciria, ma anche a Padova, a Bologna come a Gubbio, Ferrara, Roma e un po’ in tutta la penisola; addirittura a San Severo hanno pensato bene di festeggiare la Madonna del Soccorso con l’accensione di una bella batteria di fuochi d’artificio, apprezzati da centinaia di persone allegramente assembrati e, pare, senza mascherine. Ed ecco che non sembra affatto fuori luogo la presa di posizione di chi stigmatizza questi comportamenti irresponsabili tanto più che la curva del contagio, di certo in forte discesa rispetto ai dati drammatici di qualche settimana fa, mostra un leggero ma preoccupante aumento. Il premier Giuseppe Conte, rispondendo, fuori dal Senato, ad una cittadina che lo ringraziava “a nome dell’Italia” per l’impegno di questi mesi, ha dichiarato “Grazie a voi italiani, ma non è finita, chiariamolo, non è il tempo dei party e della movida, altrimenti la curva risale”. E in effetti, i dati del 20 maggio, giorno di questa dichiarazione, pur essendo ancora molto alti specie in 3  regioni del Nord, fanno ben sperare. Nel dettaglio, i casi attualmente positivi sono 26.671 in Lombardia, 9.151 in Piemonte, 5.098 in Emilia-Romagna, 3.532 in Veneto, 2.117 in Toscana, 2.178 in Liguria, 3.786 nel Lazio, 1.974 nelle Marche, 1.442 in Campania, 1.902 in Puglia, 126 nella Provincia autonoma di Trento, 1.523 in Sicilia, 596 in Friuli Venezia Giulia, 1.317 in Abruzzo, 272 nella Provincia autonoma di Bolzano, 66 in Umbria, 331 in Sardegna, 46 in Valle d’Aosta, 353 in Calabria, 198 in Molise e 73 in Basilicata. In Sicilia abbiamo il dovere morale di non abbassare la guardia; nell’ottica delle riaperture a “rischio calcolato” dobbiamo mantenere l’equilibrio. Fa male veder così tanti giovani in strada senza mascherine e senza il rispetto del distanziamento sociale, misure imposte per contenere e prevenire il contagio da Covid19. Il governatore della Sicilia Musumeci ha ricordato che “Come siciliani siamo stati bravi ma abbiamo dimenticato la paura, e vedevamo a Bergamo i camion dei militari stracolmi di bare. Siccome in Sicilia non abbiamo avuto i morti a bordo delle strade, oggi siamo convinti che sia finito tutto. E non è possibile”. Il vergognoso assalto ai locali della Movida  palermitana, oltre ad indignare istituzioni ed associazioni, ha determinato anche la decisione di chiudere, seppure in via temporanea, uno dei locali più in voga della Vucciria. Significative le parole usate da uno dei titolari, Pietro Sutera, per spiegare tale decisione: Constatata l’incompatibilità tra la Taverna Azzurra e le norme vigenti sul distanziamento sociale e consapevoli dell’impossibilità di esprimerci al massimo, chiudiamo fino a data da destinarsi. Lo spirito della Taverna Azzurra è sempre stato quello di aggregazione, un luogo multietnico dove non c’è differenza tra ceti sociali. In queste condizioni si perderebbe questo spirito e le norme attuali nel nostro locale sono inattuabili. Abbiamo deciso quindi di chiudere e riaprire quando la situazione migliorerà e i nostri affezionati clienti potranno venire alla Taverna Azzurra in massima sicurezza”. L’economia del paese è in ginocchio e la riapertura dopo la tremenda fase del Lockdown si basa su norme e decreti ma soprattutto sul senso civico dei cittadini. Senza voler a tutti i costi colpevolizzare chi ha ritenuto corretto rituffarsi nel gioioso contatto con gli altri, è doveroso tuttavia trovare equilibrio ed usare il buonsenso. Siamo davvero ad un bivio: edonismo e materialismo devono lasciar posto ad una coscienza collettiva che identifichi il bene comune come obiettivo, anche a costo di piccole rinunce individuali. Non possiamo permetterci altre chiusure, economicamente ma anche psicologicamente. Non possiamo rischiare un altro Lockdown: sarebbe uno scenario troppo pesante da sopportare.
Anna Maria Alaimo