Rosa Balistreri, la cantautrice siciliana che ha vinto contro ogni mala fortuna

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Con l’altro ieri si sono compiuti trenta anni dalla scomparsa di Rosa Balistreri, l’artista cantautrice siciliana che ha lasciato una impronta indelebile della sua avventura terrena,

rispecchiando in sé tenacia e genio di una Sicilia che lei ha interpretato con le strofe delle sue canzoni e il timbro singolare della sua straordinaria voce di cantante.
Cominciamo col dire che non sapremmo spiegarci perché, tra tanti scrittori siciliani (o non siciliani), nessuno abbia pensato – a prescindere dallo straorinario  valore esibito dall’Artista lungo circa trenta anni di concerti in Italia e all’estero –  di scrivere un romanzo ispirandosi alle avventure  (e disavventure) di Rosa Balistreri (Licata 1927 – Palermo 1990).
Ci è capitato di suggerirlo ma abbiamo capito, dalle risposte che ci son state date, che l’interlocutore di turno, pur essendo ammiratore della cantante non ci intendeva nella esortazione a basare su una ricerca storica riguardante la vita dell’artista, le vicende vissute prima ancora di diventare il personaggio che tutti abbiamo conosciuto e continueremo a custodire nella memoria delle sue parole, della sua voce e delle sue canzoni di cui lei stessa scriveva le strofe. Niente di quanto questa donna ha affrontato fin da quando, ancora bambina, a piedi scalzi, scendeva nel fondo delle miniere di salgemma della sua misera contrada per portare ai lavoranti, impegnati  a loro volta in un grandi pericoli e pietosi guadagni, l’occorrente per il loro pranzo. O da quando sempre a piedi nudi,  correva alla marina per acquistare direttamente dai pescatori che rientravano con le loro barche e la pescagione della notte, cassette di sarde e di alici che metteva in salamoia, dopo averne curato la tecnica propria della salagione, che imponeva l’asportazione della testa delle sarde e/o delle alici che sarebbero state le acciughe salate per i consumatori.
Rosa aveva svolto per anni tale lavoro e le sue delicate mani di adolescente riportavano la conseguenza, l’effetto  corrosivo del sale sulla pelle delle dita e sulle palme delle sue mani, glielo ricordavano fin da quando, su suggerimento di Ignazio Buttitta, aveva cominciato a prendere lezioni di chitarra. Quelle mani  che non avevano esitato ad impadronirsi di una lima del laboratorio di falegnameria del padre, e con tale arma impropria affrontare il marito, beone e violento, che aveva perso al gioco impegnando la biancheria di casa, e colpirlo e trafiggerlo fino a ritenerlo morto. E subito correre dai carabinieri a costituirsi. Ma il marito  era sopravvissuto e Rosa fu condannata a scontare solo sei mesi di carcere. Poi  la “fuga a Palermo” portandosi dietro la figlia nata dal matrimonio con il Torregrossa scampato alla morte, e il fratello Vincenzo che era nato come oggi usa dire “diversamente abile”. A Palermo andò prima a lavorare in una vetreria e nelle ore libere  improvvisarsi venditrice porta a porta di frutta di stagione e anche di lumache. Furono gli anni in cui Rosa imparò a leggere e scrivere. Ancora a Palermo, dove frattanto con i risparmi aveva collocato la figlia in collegio, un colpo di fortuna che si sarebbe palesato sfortuna, l’assunzione a pieno servizio di domestica presso una famiglia di benestanti blasonati. Ma qui la sorte volle che il figlio dei padroni di casa invaghitosi di lei le procurò una gravidanza e tutta una reazione non certo di entusiasmo dell’intero casato del conte padre di famiglia. Rosa finì denunciata per furto e incarcerata ancora una volta per ben sette mesi di sole a quadretti, a Palermo. Uscita dal carcere viene assunta da un prete con funzioni di sacrista. Ma pare che il parroco oltre al servizio in chiesa abbia dimostrato pesantemente di esigere altre prestazioni dalla giovane donna che, indignata, dopo essersi  impadronita di quanto era custodito in sacrestia di elemosine, sempre portando con sé il fratello invalido, fuggì e con due biglietti ferroviari e qualche misero spicciolo in tasca e raggiunse Firenze.
Anni  millenovecentosessanta e trenta anni sulle spalle di Rosa, che si dà da fare ancora una volta con lavori di domestica a ore o lavare scale presso le abitazioni di famiglie facoltose, ma nella piccola abitazione in affitto si dà da fare anche procurando clienti al fratello diversamente abile, il quale si dimostra eccellente ciabattino. Sembra aprirsi un nuovo orizzonte per Rosa e la luce gliela porterà il compagno, un affermato pittore di cui la futura cantante diverrà fedele sodale  per una dozzina d’anni. Sarà poi lui a preferire altro amore. Ma Rosa frattanto era stata introdotta in un giro di artisti di prim’ordine. Aveva conosciuto pittori e cantanti registi e poeti, aveva conosciuto Dario Fo e frequentato Ignazio Buttitta. Questi le aveva fatto aprire gli occhi sulle potenzialità di cantautrice, suggerendole di imparare a suonare la chitarra. Ed è stato il tocco finale per la straordinaria personalità artistica di Rosa Balistreri, che già poteva dire a sé stessa di “Aver vinto contro ogni mala fortuna”.
Purtroppo i primi anni di Firenze furono per Rosa segnati da due lutti scaturiti da altrettante tragedie. La sorella, che separatasi dal marito era stata convinta da Rosa che cominciava a guadagnare,  a lasciare Licata e la Sicilia e stabilirsi anche lei a Firenze, era stata pedinata dal marito che l’aveva raggiunta e  uccisa e il padre nella disperazione non aveva trovato che la soluzione di impiccarsi. Insomma, grandi prove per la sensibilità umana di una donna tenace e protesa a realizzare sé stessa, e di sé stessa quando era rimasto imploso per ben trenta e anni. Era il momento della sua scesa e Rosa adesso volava e non si sarebbe fermata di volare di successo in successo. Non si conteranno più le occasioni dei suoi incontri pubblici con fans, e con quanti la seguiranno e la collaboreranno per i suoi spettacoli di cantautrice nelle piazze, nei teatri, dove la sua voce sarà quella di una Sicilia segnata da date e da eventi, anche politici. Rosa Balistreri era ormai una stella di prima grandezza che brilla da un Continente all’Altro, pur tornando puntale nella sua Sicilia amara e dolce. Nella sua Sicilia custodita nel cuore, malgrado tutto.
La fine a tradimento, quasi a beffa di quanto l’Artista prometteva. E anche per la conclusione di  una straziante agonia che parve rappresentare il ripetersi per Rosa dei travagli di quando era in vita e lottava contro tutto e tutti. Da Reggio Calabria, dove, dopo uno strepitoso successo del concerto che aveva tenuto, e dove era stata colpita da ictus, venne incautamente trasportata all’ospedale di Palermo dove finì i suoi giorni il 20 settembre 1990. Aveva sessantatre anni e tanto ancora da raccontare cantando con la sua voce forte e graffiante. Qualcuno continua a dire che Rosa Balistreri, essendo nata nell’anno coreano del gatto (1927), aveva del felino le prerogative di lasciare graffi con la sua voce ma noi pur ammettendo l’anno del gatto e la sorte di Rosa veniamo indotti a ricordare che i gatti hanno sette vite. Perché Se ne è andata così presto questa Artista che, intanto, sette vite di lotta, di incomprensioni e di sofferenze le aveva vissute senza arrendersi e  fino dare una svolta, la svolta cui la destinava la sua indole fin dalla nascita.
Sarebbe stato gratificante per lei se fosse rimasta ancora, fosse stato solo per capire come aveva conquistato in Sicilia e fuori, quanto meritava a compenso mai colmato delle sofferenze patite lungo la prima metà della sua travagliatissima vita.
Alla morte seguirono necrologi di sincero rimpianto su tutti i giornali non solo italiani, testimonianze e apprezzamenti, che sicuramente qualcuno ha diligentemente collazionato a futura memoria. Ma noi non smetteremo di esprimere il nostro parere: manca un romanzo ispirato alla vita di Rosa Balistreri, artista di straordinario valore, siciliana autentica, cantautrice di una terra che da lei era stata vissuta e realisticamente sofferta ogni giorno.
Mario Grasso

2 COMMENTS

  1. Grazie a Mario Grasso che come è nel suo stile, riesce a portare alla luce, ciò che si tende a dimenticare. Ma dimenticare Rosa Balistreri non si può. E’ lei l’artista-donna, che più di tutti identifica la terra di Sicilia. Vita travagliata, offesa, calpestata, ma alla quale mai Rosa si è assuefatta. La sua forte volontà, la sua voglia di vivere e di lasciarsi alle spalle le brutture che la vogliono schiacciata e sottomessa, le fanno cogliere occasioni impensabili per l’analfabeta di Licata. L’arte trionfa sempre e i canti tra gli amici, nelle taverne, la portano ad essere riconosciuta nel mondo quale la VOCE DELLA SICILIA. Vita breve, ma compiutamente vissuta. Vorremmo partecipare ancora ai suoi concerti, vorremmo vederla ancora battersi per la sua e l’altrui vita, vorremmo vederla ancora partecipare alle discussioni di partito, ma il tempo è breve, il lascito infinito. Cerchiamo di coltivarlo!!

  2. Ciao Mario Grasso,
    bellissimo il tuo articolo, le tue parole e lo spazio che hai dedicato a mia madre.
    E’ vero, su di lei non è ancora nato un romanzo, ma posso anticiparti che entro la fine del 2020 uscirà un libro su di lei scritto da me con tantissimi aneddoti sconosciuti su di lei, sulla sua vita privata che sono sconosciuti.
    E in più un CD audio con dei bellissimi brani inediti mai incisi.
    Tutto questo per ricordare Rosa nel 30esimo dalla sua scomparsa.
    un abbraccio
    Luca

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