Negli ultimi anni la bibliografia sulla persecuzione nazifascista dei siciliani si è arricchita di studi e ricerche che hanno demolito la leggenda di una Sicilia rimasta immune dal contagio del virus razzista,
e lontana dal famigerato circuito della deportazione e dello sterminio tracciato da Hitler e dai suoi volenterosi complici, tra i quali Mussolini. Al contrario, la legislazione razziale fascista si è abbattuta anche sull’Isola e la Sicilia è stata parte dell’universo concentrazionario nazifascista. Si tratta di una verità rimasta sepolta sotto il cumulo di macerie lasciato dal Novecento, il secolo delle idee assassine, e che la storiografia sta finalmente riportando faticosamente alla luce percorrendo due sentieri: quello dell’applicazione delle leggi razziali e della persecuzione degli ebrei in Sicilia durante il fascismo e l’altro dei siciliani stritolati dagli ingranaggi della macchina dello sterminio.
Sul primo versante si collocano il saggio di Mario Genco “Repulisti ebraico. Le leggi razziali in Sicilia:1938-1943” e gli studi di Lucia Vincenti, a cui si devono una interessante “Storia degli ebrei a Palermo durante il fascismo”; una più recente e ampia “Storia degli ebrei in Sicilia durante il fascismo”; e l’originale ricerca su “Le donne ebree in Sicilia al tempo della Shoah. Dalle leggi razziali alla Liberazione (1938-1945)”.
Sull’altro versante, riguardante i militari siciliani catturati e deportati dopo l’8 settembre 1943, in seguito alla firma italiana dell’armistizio con gli Alleati, si annoverano lo studio curato da Barbara Bechelloni sui “Deportati e Internati. Racconti biografici di siciliani nei campi nazisti”; la ricerca di Giovanna D’Amico su “I siciliani deportati nei campi di concentramento e di sterminio nazisti 1943-1945”; ancora Lucia Vincenti con il volume “Non mi vedrai più. Persecuzione, internamento e deportazione dei siciliani nei lager, 1938-1945”; l’opera ad ampio raggio di Carmelo Botta e Francesca Lo Nigro, intitolata “La dura memoria della Shoah”, che insieme alle testimonianze di uomini e donne sopravvissuti allo sterminio, contiene i contributi di Michelangelo Ingrassia sulla ricostruzione storica del “male assoluto” e di Rosa Cuccia sulla “didattica della Shoah”.
Emergono da questi libri le storie degli ebrei siciliani espulsi dalle scuole e dagli impieghi statali, privati dei loro beni e della loro dignità; le storie del frenetico attivismo antisemita in Sicilia dei gerarchi fascisti; le storie dei militari siciliani che ebbero la colpa di indossare la divisa dell’Esercito italiano e per i quali Hitler in persona decretò lo status di “Internati Militari Italiani” per escluderli dalla condizione di prigionieri di guerra salvaguardati dalla Convenzione di Ginevra. Gli “IMI”, giunti nei campi di concentramento e di sterminio, furono posti di fronte a una scelta: continuare la guerra indossando la divisa tedesca o della Repubblica Sociale oppure restare nei lager come internati non prigionieri: la stragrande maggioranza di essi preferirono mantenere la divisa dell’Esercito italiano e condivisero il terribile destino degli ebrei, degli zingari, degli omosessuali, degli antifascisti nei campi di sterminio.
Se vita era, la vita di questi siciliani nell’universo concentrazionario è stata raccontata anche dai memoriali di alcuni sopravvissuti. Nel 1945 comparve “Triangolo rosso. Dalle carceri di San Vittore ai campi di concentramento e di eliminazione di Fossoli, Bolzano, Mathausen, Gusen, Dachau. Marzo 1944-maggio 1945” di Don Paolo Leggeri, originario di Augusta. Successivamente furono pubblicati: “Diario di prigionia, un siciliano nei lager” del riberese Calogero Sparacino; “Il costo della libertà. Memorie di un partigiano superstite da Mathausen e Gusen II” di Nunzio Di Francesco, da Linguaglossa; “La tragica avventura. Un siciliano dall’altipiano di Asiago a Gusen II” del canicattinese Domenico Aronica; “Da Piazza Armerina a Mathausen” dell’ennese Rosario Militello; “Diario di un deportato. Da Dachau a Buchenwald comando Ohrdruf” di Antonio Garufi, originario di Giarre.
Sul sito della Fondazione Centro Documentazione Ebraica Contemporanea si possono consultare le schede di Olga Renata Castelli, nata a Palermo, arrestata insieme al padre, Enrico, a Firenze, deportati entrambi da Fossoli ad Auschwitz il 16 maggio 1944, non sopravvissuti alla Shoah; lei aveva 25 anni, il padre 75. Dal famigerato “Binario 21” di Milano partirono, il 30 gennaio 1944, il palermitano Leo Colonna, 41 anni, arrestato a Torre Pellice (Torino); il 6 dicembre 1943 la messinese Egle Segré, 44 anni, con i figli Enzo Levy, 21 anni, e Eva Maria Levy, 22 anni. Furono tutti deportati ad Auschwitz. Di essi sopravvisse soltanto Enzo Levy. Anche la messinese Emma Moscato, arrestata a Mantova, fu deportata ad Auschwitz e non sopravvisse alla Shoah; aveva 65 anni quando il convoglio che la portava a morire partì da Mantova il 5 aprile 1944.
Nel campo di sterminio di Dachau morì nel 1944, all’età di 56 anni, Calogero Marrone, un siciliano di Favara che a Varese, da capo dell’Anagrafe di quel Comune, salvò la vita a centinaia di ebrei e partigiani falsificandone i documenti di identità fino a quando, nel 1943, non fu scoperto dai nazifascisti e deportato. La sua storia è stata raccontata da Franco Giannantoni e Ibio Paolucci nel libro “Un Eroe dimenticato”; Angelo Sicilia l’ha messa in scena con uno spettacolo dell’Opera dei Pupi intitolato “Dalla Sicilia a Dachau. Vita eroica di Calogero Marrone”.
Grazie a questa vasta e meritoria opera di ricerca, che occorre intensificare e approfondire, è oggi possibile affermare che la “Giornata della Memoria” è un rito civile che anche in Sicilia assume un valore storico particolare; che quelle del fascismo non sono responsabilità di secondo piano rispetto a quelle del nazismo; che accanto alla Sicilia perseguitata e sterminata o sopravvissuta vi fu una Sicilia complice.
Avere memoria è necessario e ha un senso storico se riflettiamo e se dal ricordo e dalla riflessione nasce e si impone un moto di resistenza. Se vogliamo che la Storia non resti un racconto fine a se stesso ma diventi un valore che orienta nella vita e nell’azione individuale e collettiva di ogni giorno, dobbiamo chiederci quotidianamente – operando ciascuno nel proprio ruolo politico, culturale, sociale, economico – se siamo veramente degni di quel sangue siciliano versato nell’universo concentrazionario nazifascista.
Michelangelo Ingrassia