La “Casa di Famiglia del Giudice Rosario Livatino”, il “giudice ragazzino” ucciso dalla Stidda il 21 settembre 1990 e prossimo beato, insieme con i beni mobili che vi sono custoditi,
era stata dichiarata di particolare interesse storico, artistico, architettonico ed etnoantropologico nel settembre 2015, con atto del dirigente del Dipartimento regionale dei Beni culturali che l’ha sottoposta alle prescrizioni previste dal Codice dei Beni Culturali. Contro tale provvedimento e al fine di contrastare il prosieguo del relativo iter burocratico, era stato presentato, da parte della proprietaria dell’immobile, ricorso al Consiglio di Giustizia Amministrativa, adesso – si apprende – respinto da tale organo. Così l’ Assessore ai Beni Culturali, Alberto Samonà: “Apprendo con soddisfazione la notizia che il CGA ha respinto il ricorso presentato dalla proprietaria della casa di Canicattì dove vivevano il giudice Rosario Livatino e la sua famiglia, riconoscendo la validità delle motivazioni che hanno indotto la Soprintendenza dei Beni Culturali di Agrigento ad avviare l’iter per la dichiarazione del bene di particolare interesse culturale”. E aggiunge: “In assenza di familiari diretti che possano mantenerne viva la memoria, è dovere della società civile e delle istituzioni, di cui Livatino è stato un ‘servitore eccezionale’, perpetuare il ricordo del giovane magistrato che ha pagato con la vita una rettitudine e un senso del dovere che non si sono piegati alle minacce o alle lusinghe della mafia. Quella casa – prosegue l’ Assessore – rappresenta oggi la memoria storica su cui incentrare un’azione di sensibilizzazione e divulgazione di valori fondanti, come il perseguimento della legalità, la ricerca della giustizia, il compimento del proprio dovere, tutti valori che concorrono alla costruzione di una società migliore”.
Irene Scialabba