Termini Imerese, il porto e i nuovi giacobini

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Ai miei occhi, quanto è avvenuto nel porto, ha sempre lasciato una  sensazione di sbigottimento. Mentre si realizzavano le faraoniche opere di cementificazione delle nuove banchine non ho mai potuto fare a meno di pensare che a ritmi lenti, ma inesorabili,

si stava consumando uno scempio ambientale  senza precedenti non legittimato dalla destinazione turistica del porto, prevista dall’unico strumento urbanistico vigente, il piano regolatore del 2004.
Le giustificazioni addotte e cioè, che prima o poi, quell’area sarebbe stata utilizzata interamente per servizi turistici, si mostravano, almeno per quanto mi riguarda, poco convincenti, anche percheè ognuno di noi ha potuto vedere, per molti anni, che ciò che stava nascendo in realtà  non era nient’altro che un deserto di cemento.
D’altra parte, il flusso turistico ipotizzabile, non autorizzava  ipotesi di sviluppo diportistico cosi sovradimensionate . Tuttavia, almeno teoricamente, si prospettava  l’ipotesi che in futuro questa  svolta sarebbe stata utile, anche se ora appariva solo incoraggiante.
D’altra parte la svolta diportistica veniva presentata  come una naturale conseguenza, logica ed inevitabile, dei numerosi tentativi  falliti  di utilizzare quell’area per scopi commerciali.
Ricordo, per memoria collettiva, che la Fiat di Termini  Imerese negli anni di maggiore produzione , caricò al porto una nave di automobili che, dopo le operazioni di imbarco, non riuscì a salpare a causa dei fondali troppo bassi. La nave rimase ancorata  per molti giorni per decidere poi di riscaricare tutto e utilzzare per il trasporto lo scalo ferroviario che si era sempre utilizzato.
Quell’esperienza fu davvero scioccante, ma fu sufficiente a indurre l’opinione che, alla fine, non sarebbe stato saggio trasformare il porto  per scopi commerciali.
Tra gli anni ‘80 e ‘90 del secolo scorso assistevamo al periodo di maggiore sviluppo della Zona  Industriale. La Fiat aveva iniziavo la sua produzione prima con una linea e poi con due. I turni di lavoro, dopo l’ingresso in produzione delle donne, erano passati a tre. Si producevano piu’ di 500 vetture  al giorno .
Faticosamente, nella zona, avevano preso il via  altre fabbriche quali la Cipro, la Universalpa, la Bono Sud, e si erano insediate altre piccole industrie. La centrale Enel era in produzione sin dagli anni ‘60. Nella Zona gli occupati raggiungevano superavano 5.000 addetti.
Questi risultati di sviluppo e occupazione rappresentavano il frutto diretto di battaglie sindacali serrate  e  di accordi, tra le parti sociali, attraverso cui quote di produzione di fabbriche supercongestionate del Nord venivano spostate in alcune aree del Mezzogiorno ivi compreso quella di Termini Imerese.
Comunque sia il volume di merci prodotte nella Zona Industriale aveva assunto una dimensione significativa che però restava asfittica in quanto frutto di  un modello di sviluppo senza adeguata occupazione. La produzione si limitava infatti a spostare processi non integrati senza indotto, ricerca e sviluppo della  commercializzazione.
Eppure questi volumi di produzione, inimmaginabili per oggi, e che con ogni probabilità non saranno mai più raggiunti, non sono stati mai ostacolati dall’assenza, nell’area, di un porto commerciale. I problemi del trasporto delle merci prodotte, come degli approvvigionamenti, non sono stati sottovaluti e si è data una  soluzione migliorando lo scalo ferroviario di Buonfornello  e realizzando il doppio  binario Pa/Me.
Oggi, alla luce del dibattito in corso sulle sorti del porto, il mio sbigottimento, cui accennavo prima, si  trasforma in un’altra sensazione, sono davvero molto preoccupato, così come moltissimi miei concittadini.
La Zona industriale non ha più di 5.000 lavoratori. Forse non supera nemmeno i 200. I riassetti della ristrutturazione globalizzata e la delocalizzazione hanno prodotto l’abbandono della zona di tutti i grandi gruppi e, conseguentemente, del loro indotto. La divisione internazionale del mercato ha segnato la scomparsa nella Zona, del settore auto.
Con questi dati, è veramente difficile immaginare di avere la necessità di un grande porto commerciale. Se questo nascerà non sarà per l’inesistente esigenza di traffico di merci non più prodotte. Infatti il porto commerciale non accoglierà nessuna merce, nessuna tranne una: “a munnizza”, che nessuno vuole e che invece potrebbe essere gestita proprio a Termini Imerese.
Alcuni esperti  e molti politici  continuano a dire che il porto  di Termini  Imerese può diventare come quello di Trieste o Genova e che comunque un vero porto deve accogliere “qualsiasi tipo di nave e merci”.
Ma  non c’è nessuna responsabilità  nell’ipotizzare che una piccola zona possa gestire i rifiuti  di mezza Italia. Se questo avvenisse dobbiamo sapere che si pagherebbe un prezzo insopportabile in termini di salute e si escluderebbe ogni altra prospettiva di sviluppo .
Non solo le aziende turistiche si rifiuterebbero di insediarsi nella zona, ma nessun gruppo produttivo prenderebbe in considerazione questa ipotesi. Le ferite ambientali che ne deriverebbero  allontanerebbero tutti.
Penso che simili disegni siano inaccettabili ed è per questo che lancio un appello ai miei concittadini, cosi come stanno facendo le associazioni ambientaliste ed il Comitato pro porto che si è costituito.
L’obiettivo è quello di non consentire che la nostra salute e quella dei nostri figli venga compromessa . Se vogliono trasformare il porto in una struttura che gestisce solo rifiuti non debbono riuscirci.
Ci sono esperti che dicono che si stanno ponendo falsi problemi perchè il porto commerciale e quello turistico sarebbero compatibili luno con l’altro. Però la gestione concentrata della munnizza della Sicilia e di parte dell’italia non è compatibile con niente in un’area così piccola.
Aggiungono che basterebbe spostare in avanti di pochi metri il porto turistico, così come sarebbe stato previsto. In avanti sembra proprio che non si possa spostare un bel niente a causa della interferenza di forze ventose avverse dovute alla combinazione persistente dello scirocco e del grecale.
Vorrei concludere dicendo che questa partita assume in  Sicilia un valore emblematico e che gli interessi oscuri che si agitano attorno al problema dei rifiuti non debbono essere sottovalutati.
Sono sicuro che la Sindaca abbia piena consapevolezza di questi aspetti e che avrà il coraggio di battersi contro questi oscuri interessi.
Forze potenti, in questo scenario, si “arrampicano l’una sull’altra come scimmie” che, cadendo, si trascinano a catena, sempre più in basso.
E’ disgustoso vedere queste figure che si divorano “l’una con l’altra senza  riuscire a digerirsi”. Si vomiteranno addosso la loro bile e la loro arroganza  tentando di raggiungere un trono di fango.
Vomitano bugie e dicono tutte di essere forze democratiche, anzi che esse stesse sono il popolo  e agiscono nei suoi interessi.
In realtà c’è una classe spregiudicata di nuovi giacobini, asservita completamente al denaro che chiama l’autoritarismo democrazia e gli interessi di pochi interessi di  tutti.
Salvatore Arrigo

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