Termini Imerese, sviluppo del porto e rischi ambientali

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Sul futuro del Porto è stato presentata una interrogazione al Consiglio comunale di lunedì scorso. La risposta dell’Assessore Preti, pur rappresentando una situazione ancora interlocutoria, ha chiarito un punto  fondamentale per il dibattito:

lo strumento  attualmente vincolante resta il PRP approvato nel 2004 ma “Grazie  al progetto dell’Autorità Portuale – come sostenuto l’Assessore, Termini Imerese  potrà  avvantaggiarsi non solo del  più grande porto turistico della Sicilia ma anche di  un porto commerciale di grandi dimensioni. Questo avverrà sia per migliorare la qualità della vita dei cittadini che per  incrementare lo sviluppo della nostra economia”.
All’Assessore Preti è stato replicato che i risultati di sviluppo sono assolutamente irrilevanti o del tutto negativi, proprio a causa dei  rischi ambientali che la realizzazione del progetto dell’autorità portuale comporta. Tali rischi, infatti,  sarebbero la conseguenza  diretta  dell’inquinamento e dei danni irreversibili all’ambiente dovuti a ai fumi di scarico delle navi, al congestionamento del traffico e alla movimentazione di Petcoke, una sostanza molto pericolosa per l’ambiente e la salute .
Durante i lavori  del Consiglio è emerso, tra le altre cose, che il progetto dell’Autorità Portuale sarebbe conosciuto solo da lui  e  da qualche  esperto-amico dell’Amministrazione comunale, dato che  non è stato mai ufficialmente presentato. Il Consiglio Comunale, i tecnici del Comune, l’Amministrazione non ne hanno avuto informazione  ufficiale. Quindi sembra del tutto naturale che  l’Amministrazione non si pronunci.
Ma, come spesso capita per  questioni di importanza cruciale, da tempo, non solo a Termini Imerese, prevale la discutibile abitudine della  politica di non esprimersi e di chiedere invece ad “esperti”, veri o presunti che siano, neutrali pronunciamenti su ciò che si intende realizzare.
Questo avviene non perché la politica non abbia una posizione da esprimere, ma più semplicemente perché si vergogna di esprimerla. Di fatto, finora, si sono espressi sulle questioni sollevate  solo alcuni tecnici  di area” governativa” che hanno  manifestato un ardente fervore nel sostenere le posizione dell’Autorità portuale.
Si e’ assistito ad uno spettacolo di spocchia e presunzione insopportabile. Infatti si è tentato  di delegittimare ogni posizione critica col solo obiettivo di mortificare la democrazia e la partecipazione , perché, così si sostiene, chiunque parla dovrebbe esprimersi  solo con  formule ed equazioni alla mano.
Non è neanche così difficile vedere che spesso, una simile   arroganza, camuffata da sapienza,  non è nient’altro che una brutta maschera che indossa l’ignoranza.
Ora, però, proprio alla luce delle dichiarazioni dell’Assessore ci aspettiamo una presa di posizione che faccia la dovuta chiarezza.  Il  PRP del 2004  è lo strumento urbanistico  del porto vigente .  La sua  approvazione si è perfezionata nel 2004 e non richiedeva la VAS,  in quanto introdotta successivamente. L’efficacia del PRP non è stata mai sospesa o impugnata, nè tanto meno  sottoposta a giudizi di nullità o annullabilità. Il PRG resta dunque efficace. Non è contrario a norme e regolamenti, non è stato inficiato da contraddittorietà , eccesso di potere o da legittimi interessi che ne avrebbero potuto, eventualmente, limitare l’efficacia. Ogni eventuale variante dovrà  essere approvata dal Consiglio Comunale.
Il PRP e’ dunque  pienamente legittimo e, non modificato  da varianti,  va pienamente applicato. Il porto ha una sua destinazione d’uso che va rispettata, in caso contrario la  Corte dei Conti  potrebbe promuovere legittimamente  un giudizio di responsabilità.
Per quanto riguarda le altre questioni sollevate da molte parti, desta meraviglia che ancora esse non siano state oggetto dell’attenzione che meritano: inquinamento dei fumi di scarico delle navi ormeggiate e Petcoke.
Riassumiamo brevemente l’esperienza di gestione sindacale delle vertenze sulla salute ambientale  nei luoghi di lavoro, alla Fiat e in altri stabilimenti. Dopo un periodo  troppo lungo  di monetizzazione della salute , tra gli anni 70 e 80, il sindacato assunse una posizione più intransigente  sulle questioni relative alla salute nelle fabbriche. Riteniamo  che da questa esperienza    si possano trarre, anche oggi, alcuni insegnamenti.
Quelle vertenze mettevano  in discussione l’organizzazione tayloristica del  lavoro con l’obiettivo di sostituire la catena di montaggio con le isole di produzione. Si tentò anche  di bandire completamente l’utilizzo delle sostanze nocive utilizzate nel ciclo produttivo. Sotto il primo aspetto non si ottennero mai grandi risultati tanto è che l’organizzazione capitalistica del lavoro si basa ancora  sulla alienazione  della parcellizzazione, ma sotto l’aspetto dell’utilizzo delle sostanze nocive si ottennero ottimi risultati.
Come? Qui veniamo nuovamente  agli esperti neutrali e alla  neutralità della scienza. Quando si denunciava l’utilizzo di sostanze nocive alla salute, vernici, polveri, fumi di scarico, polveri pericolose. Le aziende dal canto loto, sistematicamente, chiamavano a loro sostegno esperti dell’ università, pneumologi,  medici del lavoro o altri parrucconi che dimostravano, carte alla mano, che i parametri legali erano rispettati e che l’ambiente era salubre. Quadrava tutto. Tutto  tranne il fatto che gli operai  continuavano ad ammalarsi  facilmente e che, in molti casi,  numerosi morivano di malattie gravi. La neutralità degli esperti cui si appellavano le aziende  non convinceva per niente, quindi,  non c’era altro da fare che rifiutare modalità di contrattazione che hanno per presupposto questi parametri farlocchi gabellati come scientifici.
Come? Applicando un criterio ben diverso dalla sottoposizione a formule e parametri. Il sindacato chiamò questo nuovo criterio “validazione consensuale”  delle condizioni di lavoro: i lavoratori diventavano  i soli soggetti esperti della valutazione dell’ambiente di lavoro e, almeno per il sindacato, solo loro potevano validarne  la salubrità, Lo diciamo perche, a nostro avviso, su questo punto sarebbe meglio attenersi ancora a questo criterio.
Chi  deve giudicare la salubrità di ciò che avverrà al porto, sono i cittadini Termini Imerese quali massimi esperti dei fattori di rischio  sulla loro salute. Se questo criterio troverà applicazione  si darà un significato sostanziale alla democrazia partecipata cui si  è appellato anche L’Assessore Preti.
Per altro, se qualcuno fa una passeggiata al porto quando  c’è ormeggiata una sola nave  comprende meglio di cosa stiamo parlando perché percepirà direttamente nel suo naso e nella sua gola  di cosa si tratta. Oggi parliamo ancora di una sola nave ormeggiata e non ci vogliono grandi scienziati per dire che già l’area portuale sta subendo un inquinamento pericoloso che bisognerebbe iniziare a ridurre.Però in questo caso, non si può dire che tutti gli esperti siano stati ingabbiati da queste posizioni di non imparzialità gregaria. Per esempio da alcuni di loro, dati alla mano, è partita una petizione che propone di rendere illegittimo l’uso del PK, esattamente come avveniva alcuni anni fa. Bisogna affrontare il problema anche da questo punto di vista appoggiando una specifica proposta di legge. E molti scienziati danno veramente un serio contributo  per cambiare il volto dell’economia e imprimere allo sviluppo una svolta non consumistica ed ecocompatibile.
Proprio alla luce dei  problemi che stiamo ereditando dalla pandemia sarebbe quanto mai necessario che non ritornassimo nello stesso punto dal quale  siamo partiti. Esprimere critiche serrate al modello di sviluppo che divora  irrimediabilmente le risorse del pianeta e che lo distruggerà non significa essere buddisti o post industriali. Infatti se il territorio verrà ancora colpito da situazione ambientali devastanti, non solo non ci sarà turismo, ma neanche industria.
Salvatore Arrigo