Partendo da una recente scambio di battute in merito ai reali o presunti intenti a favore della protezione dell’ambiente del nostro territorio,
mi è capitato di parlare di un concetto molto diffuso negli ultimi anni nell’ambito della sostenibilità ambientale e di tutto il sistema di comunicazione che vi gira intorno, il “greenwashing”.
Tra il sacro e il profano possiamo dire che il più noto ed illuminante tra i casi di “greenwashing”, o come da mia personale definizione “soulwashing” nella Storia è la costruzione della basilica San Pietro, iniziata da Papa Giulio II nei primi del 1500.
Ebbene, come sappiamo, la costruzione di una tale imponente opera richiedeva una quantità di denaro enorme, imponente come le stesse dimensioni della futura basilica.
In pratica i soldi non bastavano mai, quindi dopo varie iniziative poco lodevoli quali la vendita delle cariche ecclesiastiche, si procedette con una pratica ancora più discutibile e davvero poco lodevole, ma molto più remunerativa: la vendita delle indulgenze.
Vi erano degli incaricati alla raccolta delle somme, i quali rilasciavano al peccatore persino un certificato che garantiva loro il perdono dei peccati. Furono addirittura redatti dei tariffari e quindi più grande era il peccato, maggiore la somma da versare.
I prelati trovano i fondi che interessavano loro per il loro fine primario, la costruzione della Basilica, mistificando tale richiesta molto terrena con una idealità e un fine religioso, il perdono dei peccati e il lavaggio dell’anima.
Passando molto più prosaicamente dal sacro al profano e dalla Storia ai giorni nostri, a tentare di trovare una nuova immagine ambientalista, che faccia dimenticare azioni concrete molto discutibili che vanno nella direzione opposta a quella della tutela ambientale, sono tante aziende e istituzioni pubbliche e private.
Come riporta Wikipedia, “Greenwashing è un neologismo inglese, che generalmente viene tradotto come ecologismo di facciata o ambientalismo di facciata, indica la strategia di comunicazione di certe imprese, organizzazioni o istituzioni politiche finalizzata a costruire un’immagine di sé ingannevolmente positiva sotto il profilo dell’impatto ambientale, allo scopo di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dagli effetti negativi per l’ambiente dovuti alle proprie attività o ai propri prodotti, che venne instaurata già dagli anni ’70”. Inoltre, “il termine è una sincrasi delle parole inglesi green (verde, colore simbolo dell’ecologismo) e washing (lavare) che richiama il verbo to whitewash (in senso proprio “imbiancare, dare la calce”, e quindi per estensione “coprire, nascondere”): potrebbe pertanto essere reso in italiano con l’espressione “darsi una patina di credibilità ambientale”.
Ebbene, da quando fortunatamente i temi dell’ambientalismo e la sensibilità dell’opinione pubblica su questi temi sono cresciuti in maniera notevole e hanno impatto sulle scelte di consumo e di collocazione e scelta nel mercato politico, a “darsi una patina di credibilità ambientale”ci provano un po’ tutti.
Parlare di ambiente e collocarsi nel campo “verde” diviene quindi anche uno strumento di marketing politico.
Chi può oggi pensare di fare politica attiva e sperare di prendere qualche voto dichiarandosi apertamente contrario alle politiche della sostenibilità ambientale, del green applicato in tutti i campi, a favore delle fonti fossili, dell’uso massiccio della plastica, dei pesticidi in agricoltura e contrario invece fonti alle rinnovabili? Nessuno dotato di buon senso e media intelligenza.
Ma come diceva Giovanni Falcone “contano le azioni non le parole. Se dovessimo dar credito ai discorsi, saremmo tutti bravi e irreprensibili.”
Quindi, datosi un mercato politico in cui tutti, chi più chi meno, usano l’ambientalismo e il greenwashing, come strumento di marketing politico, ciò che ci consente di distinguere chi green lo è solo a parole o con qualche sporadica azione di intervento di self-marketing, da chi concretamente ha fatto e fa dall’ambientalismo la propria cifra di vita personale prima che politica sono i fatti.
I fatti ci consentono di riconoscere chi, ricoprendo incarichi istituzionali, mette in campo azioni, provvedimenti e atti concreti che traducono la propria visione e posizione ambientalista in azioni concrete, capaci di modificare i destini di un territorio a favore di una sempre maggiore sostenibilità ambientale e sociale e chi, al contrario, produce con il proprio operato scelte politico amministrative capaci invece di indirizzare l’azione amministrativa in direzione opposta, arrecando danni all’ambiente, al territorio e alla società in generale.
Anche le Pubbliche Amministrazioni, e non solo le aziende private virtuose, dovrebbero darsi come proprio primario impegno quello di condurre una politica e un’azione amministrativa che vada nel senso della sostenibilità ambientale, soprattutto quelle che sono state elette facendo di questi principi i cardini del proprio programma politico.
La promozione degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, OSS (in inglese: Sustainable Development Goals, SDG) dell’ONU (17 obiettivi interconnessi, definiti dall’Organizzazione delle Nazioni Unite come strategia “per ottenere un futuro migliore e più sostenibile per tutti”), dovrebbero essere un faro per tutti quelli che fanno o si apprestano a fare politica, che ricoprono cariche pubbliche o fanno parte di associazioni della società civile.
Tali obiettivi sono conosciuti anche come Agenda 2030, dal nome del documento che porta per titolo “Trasformare il nostro mondo”.
L’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile evidenzia lo stretto legame tra il benessere umano, la salute dei sistemi naturali e la presenza di sfide comuni per tutti i Paesi.
Gli obiettivi di sviluppo sostenibile sono molto ampi ed ambiziosi ed hanno portata mondiale, mirano allo sviluppo economico e sociale, e includono la rimozione della povertà, della fame, la promozione del diritto alla salute e all’istruzione, l’accesso all’acqua e all’energia, il lavoro, la crescita economica inclusiva e sostenibile, il cambiamento climatico e la tutela dell’ambiente, l’urbanizzazione, i modelli di produzione e consumo, l’uguaglianza sociale e di genere, la giustizia e la pace.
Come detto, si tratta obiettivi di carattere internazionale, ma ogni istituzione, anche a livello locale deve lavorare affinché vengano prodotte ed implementate azioni ed atti amministrativi che vadano a promuovere e realizzare, tali principi e obiettivi.
L’obiettivo 11 fa infatti riferimento alle Città e comunità sostenibili.
“Rendere le città e gli insediamenti urbani inclusivi, sicuri, resilienti e sostenibili”
È proprio con la messa in pratica di tali politiche che si passa dalle parole, dai bei discorsi e dai bei programmi, alle azioni e alle buone pratiche.
Undicesimo obiettivo ONU
Lo strumento di comunicazione relativo alla realizzazione di tali azioni a livello comunale dovrebbe essere il Bilancio Sociale, che dovrebbe delineare la strategia di un’Amministrazione Comunale in tema di sviluppo economico e della sostenibilità ambientale e sociale.
Ho ricercato sul sito del Comune di Termini Imerese, ma l’unico Bilancio Sociale che sono riuscita a trovare è relativo all’anno 2014 e fu prodotto dall’amministrazione Burrafato.
Spero di avere cercato male e che in effetti vi siano i Bilanci Sociali degli anni successivi e che vi sia anche quello prodotto da questa nuova Amministrazione insediatasi nel mese di ottobre del 2020.
Nel caso non fosse stato ancora redatto, sarebbe un bel segnale adottare un nuovo Bilancio Sociale, quale strumento di indirizzo di questa nuova Amministrazione Comunale e di comunicazione ufficiale degli impegni che la stessa intende assumere per la gestione della città, le principali linee guida, azioni e pratiche da implementare da qui in avanti per i prossimi quattro anni e mezzo.
E sarebbe un modo importante per capire se i nuovi progetti dell’Amministrazione, tra i quali quello relativo alla modifica del PRP del 2004, con la trasformazione dell’attuale bacino portuale a gestione totalmente commerciale e lo spostamento a sud del Porto Turistico, vanno o meno nella direzione della sostenibilità ambientale e sociale auspicata.
GiBa.