Cibele, Gea, Rea, l’egiziana Iside (in sincretismo con la sicula Cerere), nel miscuglio di religioni di diversi popoli, sono tutte espressioni della Grande Madre della natura, dei boschi, delle montagne, della fecondazione, della generazione e della rigenerazione.
I templi dedicati alla Magna Mater erano rotondi per indicare la sfericità del ciclo della vita. Nella sua corona erano raffigurate delle torri che simboleggiavano le città, poiché si riteneva che lei avesse insegnato agli uomini come fortificarle.
In Sicilia, a Engio, una delle prime città fondate dai Cretesi, esisteva un santuario dedicato a Cibele e a tutte le Dea-Madre, le Meteres. In quel sito i guerrieri guidati da Merione, nipote del re Minosse, di ritorno dalla sconfitta della guerra di Troia, sostarono e deposero le loro armi. Il santuario divenne un grande tempio dedicato alle Madri e così come Meriore, anche Ulisse vi fece sosta e fece donazioni e altrettanto fece Scipione che, secondo quanto scritto da Cicerone, donò al Tempio il suo scudo e la sua corazza. Tante Dee–Madri, tanti nomi per indicare l’unicum di quel femminino dominante e che, a prescindere dalle diverse religioni, resta punto culminante di atti devozionali.
Il culto di Cibele trova massima identificazione in un Santuario rupestre che si trova a Palazzolo Acreide, dove un tempo sorgeva l’antica colonia siracusana di Akrai. Colonia che, secondo quanto attestato da Tucidide, fu fondata tra il 664 e il 665 a. C. Un Santuario che offre forte suggestione, conosciuto come “I Santoni”, che sorge sul lato meridionale del colle Orbo. Alle due estremità di un sentiero ci sono due spazi semi-circolari. Durante il percorso del sentiero e dei due spazi si incontrano delle pietre circolari che si pensa siano state dei basamenti di altari. Ciò che rende il sito unico sono delle nicchie scavate nella roccia di cui dodici, più grandi delle altre, e di cui almeno 11 raffigurano la Dea Cibele, con accanto le figure umane e divine che la caratterizzano. In dieci nicchie è seduta sul suo trono, in un’altra è in piedi. La dodicesima nicchia, posta in un piano inferiore rispetto alle altre, probabilmente non è rappresentazione della Dea – anche perché rispetto alle altre che indossano una lunga tunica, questa ha un abito al ginocchio. Ancora gli studiosi non hanno dato un nome alla divinità rappresentata, anche se, con molta probabilità, è da ricollegare alla figura di Attis. Figura mitologica che, evirandosi, rappresenta il massimo punto di collegamento tra elemento mascolino e femminino.
Un sito di grande importanza storica di cui il pittore francesce Jaen Houel riprodusse in tre tavole, alcune immagini dei “Santoni”, nel suo libro Voyage pittoresque des isles de Sicile, de Malta et de Lipari, e dove l’autore descriveva lo stupore per tanta bellezza e, purtroppo, anche per il suo stato d’abbono.
Siti che sono dimostrazione di come il femminino rimane epicentro di amorevole devozione, in una sorta di ancestrale sacralità che va oltre la contingenza temporale e che sta a noi preservare dall’incuria e dai danni del tempo. Sito che recentemente, l’Assessore Regionale ai Beni Culturali e alla Identità Siciliana, Alberto Samonà, ha inserito tra i progetti di restauro della Regione Siciliana.
Sara Favarò