Anche quel sabato 20 giugno 2015, Nicola uscì da casa per andare a lavorare dopo avere salutato con un bacio la moglie e i suoi due figli.
C’era allegria in famiglia; Nicola da qualche mese aveva trovato lavoro e la serenità con cui era stata sconfitta qualche difficoltà si era adesso rinvigorita.
Il suo posto di lavoro era a pochi passi dal centro storico di Palermo ma non era un ufficio, una scuola, un’azienda o un attraente negozio; Nicola faceva un lavoro importante, per la collettività, uno di quei lavori che la nostra laureata superficialità guarda con colpevole indifferenza. Nicola era un benzinaio e dalla stazione di servizio di piazza Lolli, presso di cui era stato assunto, forniva il carburante per far muovere l’economia, la città, il divertimento sulle quattro o sulle due ruote.
Quel sabato era davvero speciale, per Palermo. Sergio Mattarella, da poco eletto Presidente della Repubblica, era in città per la cerimonia d’inaugurazione di Villa Zito, accompagnato dal Presidente della Regione Rosario Crocetta, dal Sindaco Leoluca Orlando, dal Prefetto Francesca Cannizzo e da altre onorevoli autorità civili, ecclesiastiche e militari. Telecamere inquadrano e registrano i momenti salienti della visita del Capo dello Stato. A qualche chilometro di distanza da Via della Libertà, poche ore dopo, altre telecamere poste nei negozi attorno al distributore di piazza Lolli inquadrano la morte assurda di Nicola Lombardo, 44 anni, centrato da un proiettile all’addome.
Le ultime parole di Nicola, ai soccorritori accorsi dopo lo sparo e il rombo di un’automobile che si allontanava a velocità, descrissero l’assassino: «un uomo sui sessant’anni con i baffi».
La notizia scuote le redazioni e la città prendendo il sopravvento sull’altra della visita del Capo dello Stato.
Si pensò subito a una rapina, si sospettò un agguato mafioso ma le modalità non corrispondevano né alla prima e neppure alla seconda ipotesi. Gli agenti della Polizia di Stato, coordinati dal questore Guido Longo e dal Capo della Mobile Rodolfo Ruperti, in contatto con il pubblico ministero Ennio Petrigni e con il procuratore Francesco Lo Voi, si mettono all’opera. Le riprese delle telecamere di videosorveglianza dei negozi vicini si rivelano decisive. Le videoregistrazioni scorrono sotto gli occhi degli investigatori mentre nell’altro capo della Città esplode il dolore e lo sdegno di una moglie, di due figli, dei tanti amici e parenti di Nicola Lombardo. Dolore e sdegno per un lavoratore tornato a casa morto dal lavoro, vittima di un’aggressione sul posto di lavoro. Dolore e sdegno che non si placano al funerale, che si agitano come il mare in tempesta due giorni dopo l’inaudita aggressione di cui è vittima Nicola, quando si apprende la terribile verità.
Le telecamere forniscono agli investigatori il frammento di una targa; la testimonianza di un passante fornisce il colore scuro di una macchina. Gli agenti della Terza e della Sesta Sezione della Mobile, adesso, controllano in lungo e in largo le informazioni sulle targhe automobilistiche fornite da un terminale. Individuano la targa, appartiene a una Fiat Uno scura. Il proprietario di quest’automobile ha sessantatre anni, porta i baffi, ha una figlia che abita nei paraggi di piazza Lolli. Gli Agenti lo rintracciano, lo interrogano, ne ascoltano la confessione: assurda, dalle motivazioni incredibili, apparentemente folli e invece umane, troppo umane, di un’umanità oggi sempre più priva di valori e coscienza sociale. Il colpevole ha un nome e un cognome: Mario Di Fiore; ha una professione: imprenditore edile. La stampa del tempo riporta la parte principale della confessione resa. Di Fiore sta andando a casa della figlia per una visita, decide di fare benzina, il pieno; Nicola Lombardo eroga il carburante, il conto è di 68 euro. Di Fiore protesta, sono troppi, di solito paga 61 euro. Scende dalla macchina a controllare la colonnina: «sessantotto euro, non ho un camion»; Lombardo risponde: «mi dia i soldi, devo guadagnarmi il pane»; Di Fiore replica: «no, i piccioli stavolta me li dai tu»; Lombardo si gira, dà le spalle a Di Fiore che impugna una 7.65 e spara contro il benzinaio, contro Nicola. Al giudice ripeterà quanto aveva detto agli investigatori: «ho saputo che era sposato e aveva due figli, sono distrutto». Troppo tardi. Nicola è morto, per sette euro; tanto a volte vale la vita di un lavoratore, l’unità e la serenità delle famiglie dei lavoratori, il benessere fisico e psichico di mogli e figli e parenti e amici di una vittima sul lavoro. Di Fiore sarà condannato a trent’anni di carcere. Lo salverà dall’ergastolo la scelta del rito abbreviato. La sentenza sarà confermata dalla Corte d’Assise di Palermo e anche dalla Cassazione.
Un anno dopo, la moglie di Nicola Lombardo, sola, organizzerà una fiaccolata in ricordo del marito. La sera del 20 giugno 2016, alle ore 20,30, un corteo partirà dal Teatro Politeama e giungerà a piazza Lolli. Amici e parenti di Nicola e in prima fila lei, la moglie, che da sola ha la forza di organizzare il ricordo pubblico, di andare avanti, di battersi perché non accada più, non accada a nessuno di dover rivivere quel dramma. Oggi Provvidenza Sarullo, moglie di Nicola Lombardo, si batte contro gli infortuni e le morti sul lavoro rappresentando l’Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi del Lavoro (Anmil) nel Comitato Consultivo Provinciale Inail di Palermo. Quando si parla di infortuni e morti sul lavoro, si parla anche dei lavoratori e delle lavoratrici che s’infortunano e muoiono sul posto di lavoro in seguito ad aggressioni sovente esterne. Esistono dati statistici (pochi purtroppo) su questa particolare casistica ma oggi, qui, non li citeremo; non serve perché sappiamo che la barbarie del nostro tempo ha reso violenti anche i luoghi di lavoro ed espone alle aggressioni i lavoratori e le lavoratrici nelle stazioni di rifornimento, negli ospedali, nelle scuole, negli sportelli dei servizi pubblici e privati, negli autobus e nei tram. Diciamo invece che ancora oggi non esiste nei nostri codici l’aggravante per aggressione sul luogo di lavoro; una misura finalizzata non alla repressione ma alla prevenzione e al rispetto del lavoratore e della lavoratrice. Anche i tanti Nicola, infatti, hanno il diritto di poter vivere e lavorare e amare come tutti gli altri, a prescindere dal genere e dal colore della pelle, senza dover perdere vita e amore sul lavoro per sette maledetti euro.
Michelangelo Ingrassia