Termini Imerese: l’antica Chiesa madre era dedicata ai “SS. Filippo e Giacomo il Minore” e non a S. Giacomo Maggiore

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Il sac. don Vincenzo Solìto (m. 1656), che enfaticamente si fregiava dei titoli di Nobile Termitano, Protonotaro Apostolico, Archiprete, e Commissario della S. Inquisitione della medesima Città,

vanta l’indiscusso merito di essere stato l’autore della prima storia della cittadina imerese, chiaramente pensata e strutturata secondo gli standard storiografici tipici dell’ambiente culturale siciliano di quell’epoca. Si tratta di una corposa opera, probabilmente completata ed edita postuma dal fratello sac. don Francesco S. J. (al secolo Simone, 1618-1672), in due tomi, rispettivamente, stampati a Palermo nel 1669, presso Pietro dell’Isola (XVI+120+8 pp.), ed a Messina nel 1671, presso Paolo Bisagni (X+158 pp.).

Il tomo secondo, reca il seguente ampolloso titolo: Termini Himerese Citta [sic] della Sicilia posta in Teatro. Cioé, dell’Historia della Splendidissima Citta [sic] di Termini Himerese nella Sicilia. Nella quale si rappresentano li di lei progressi, le guerre, e li fatti illustri de’i Cittadini di essa, esposti nelli suoi anni, e secoli da qua[n]do furono cacciati dalla Sicilia li Saraceni i[n]sino al te[m]po presente.In particolare, nel capitolo primo, intitolato «Della Città di Termini sotto il dominio de’ Prencipi [sic]Normanni», alle pp. 5-6, il Solìto ebbe a scrivere: «Nei medesimi tempi del [sic] Ruggiero, credo io esser stata fabricata nella Città di Termini l’antichissima Chiesa sot[p. 6]to il titolo di S. Giacomo Apostolo, che ne’ tempi più ’antichi era Matrice; come appresso vedremo: imperò che [sic] dove[n]dosi doppo l’estintione del Regno de’ Saraceni, pia[n]tar di nuovo quasi la fede nelle Città di Sicilia: erasi su’l bel principio necessario fabricare Сhiese; che servissero per Matrice, e come capi dell’altre: & appunto la detta Сhiesa раre sia opera antichissima, e di quei tempi».

La rifondazione in epoca normanna dell’antica chiesa madre, verosimilmente già sede dell’antico vescovado di Termini Imerese, è un’ipotesi del tutto condivisibile, visto che rientra perfettamente nella politica portata avanti dagli Altavilla già nel primo periodo comitale.

Qui per la prima volta, vogliamo sottolineare che la struttura dell’antica chiesa madre di Termini Imerese fa corpo unico con la torre merlata campanaria. Pertanto, è lecito affermare che siamo in presenza di una vera e propria ecclesia munita,  luogo di culto e di difesa al contempo, sito intra moenia, a mezza costa tra la parte alta e quella bassa della cittadina, a breve distanza dall’antica cinta muraria medievale, ulteriore indizio di una ricostruzione dell’edificio secondo schemi propri dell’architettura normanna di Sicilia.

Solo una dettagliata indagine scientifica di stratigrafia archeologica/geoarcheologica ed architettonica potrebbe dare conferma di una probabile preesistenza tardo bizantina e ricostruire il susseguirsi delle successive fasi dell’edificio di culto, anche per discernere se i materiali romani (ad es. un fusto di colonna di roccia granitica) utilizzati erano di spoglio oppure appartengono a strutture parzialmente o totalmente in situ. Invece, la presunta intitolazione nel medioevo dell’antica chiesa madre di Termini Imerese a S. Giacomo Apostolo o Giacomo il Maggiore, è una forzatura che il Solìto dà per scontata, peraltro senza portare a sostegno alcun documento probante. Da notare che tutte le altre citazioni nell’opera del Solìto, relative all’antica chiesa madre, esibiscono soltanto la dedicazione a S. Giacomo senza altra specificazione.

Le affermazioni del Solìto, sino ad oggi sono state acriticamente ripetute e portate avanti da tutti gli storici non solamente locali, ritenendo assodato che l’antica chiesa madre fosse ab origine intitolata al santo apostolo, Giacomo il Maggiore (cfr., ad es., B. Romano, Notizie storiche intorno alla città di Termini, edizione a stampa, a cura di A. Contino, S. Mantia, del ms. della Biblioteca comunale di Palermo ai segni 4 Qq D 78, GASM, Termini Imerese 1997, p. 44). Giacomo il Maggiore, figlio di Zebedeo e fratello di S. Giovanni Evangelista, si festeggia il 25 luglio e si venera nel grande santuario spagnolo di Santiago de Compostela (o Campostela, in latino campus stellae) in Galizia (cfr. H. Leclercq, Espagne, in F. Cabrol, H. Leclercq, dir., “Dictionnaire d’archéologie chrétienne et de liturgie”, d’ora in poi DACL, 30 voll., Letouzey et Ane, Paris 1907-1953, V, 1, 1922, coll. 407-523: 412-417; Idem, Jacques le Majeur, DACL, VII, 2, 1927, coll. 2089-2109; F. Alonso, R. Plotino, Giacomo il Maggiore, in “Bibliotheca Sanctorum”, d’ora in poi BS, VI, Roma 1965, coll. 363-387; D. Péricard-Méa, Compostelle et cultes de saint Jacques au Moyen Âge, Presses Universitaires de France, Paris 2000, 386 pp.). Ricordiamo che il santuario galiziano, dal 1985, fa parte del patrimonio UNESCO dell’Umanità.

In realtà, come dimostra la ricerca da noi effettuata, i cui risultati riportiamo qui di seguito per la prima volta, le fonti documentarie del Trecento smentiscono totalmente l’esistenza di un originario legame tra l’antica maggior chiesa di Termini ed il culto di S. Giacomo il Maggiore. La venerazione di questo santo, soprattutto nel Cinquecento e nel Seicento, subentrò totalmente a quella più antica rivolta agli apostoli S. Filippo e S. Giacomo il Minore. Si tratta di Filippo di Betsàida (sul Lago di Tiberiade) e Giacomo figlio di Alfeo, detto il Minore, semplicemente per distinguerlo dall’omonimo apostolo, entrambi festeggiati in occidente il primo maggio (nel 1955, papa Pio XII avendo introdotto la solennità di San Giuseppe lavoratore, traslò di due giorni la festività),  Nella tradizione bizantina, i due santi sono festeggiati in date separate: Filippo il 14 Novembre, Giacomo il Minore il 23 Ottobre (consacrazione episcopale: 28 Dicembre). Attributo di Filippo di Betsàida è la croce, simbolo del suo martirio (cfr. M. L. Casanova, San Filippo Apostolo. Iconografia, in BS, V, Roma 1964, coll. 711-719; A. Cardinali, San Giacomo  il Minore. Iconografia, in BS, VI, Roma 1965, coll. 410-411; E. Urech, Dictionaire des Symboles Chrétien, Delachaux/Niestlé, Neuchâtel 1972, 192 pp., p. 100), mentre S. Giacomo Minore reca il bastone del supplizio, spesso rappresentato a forma di mazza o di ramo d’albero nodoso, usato come battilana, ed il libro, talvolta in abiti vescovili a testimonianza dei suo episcopato in Gerusalemme (cfr. Egesippo, in Eusebio di Cesarea, Εκκλησιαστικη Ιστορια o Historia Ecclesiastica, II, 23, 18; E. Urech, Dictionaire des Symboles…cit., 192 pp., p. 113; J. Alvarez Lopera, El Greco. Identità e trasformazione. Creta, Italia, Spagna, Skira, Milano 1999, 480 pp., p. 440). Infatti, fu il primo ad essere stato elevato alla dignità episcopale gerosolimitana (cfr. I. Mancini, a cura di, S. Giacomo il Minore. Primo vescovo di Gerusalemme, XIX centenario deila morte, Custodia francescana della Terra Santa, Tipografia dei Padri Francescani, Gerusalemme 1962, 104 pp.). Entrambi, nell’iconografia occidentale, esibiscono spesso la palma del martirio.

Tornando all’antica chiesa madre di Termini Imerese, lo storico locale Solìto (V. Solìto, Termini Himerese…cit., II, p. 7), riferisce che «di Padri à [sic] figliuoli si stima che la chiesa di san Giacomo, la quale oltre l’antichità, fù [sic] Matrice della Città, come diremo appresso; fosse stata da un Sommo Pontefice consecrata, & non essendo stato altro Papa à [sic] queste nostre parti, se non, che il detto Pontefice Innocentio: io son di parere, che da lui fosse stata consecrata: E per maggior chiarezza di questa verita [sic]: si ha dalla medesima traditione, che in quel tempio anticamente vi erano nelle pareti le Croci, e che essendo destrutto l’altar maggiore antico, che era nella parte della detta Chiesa, che mira a Levante secondo il costume de’ tempi antichi, per fabricarlo di rimpetto al Ponente: furono sotto l’Altaretto ritrovate due chiavi Pontificie una sopra l’altra à [sic] modo di Croce”. Ciò, secondo lo studioso, avallerebbe la tradizione della consacrazione della chiesa termitana da parte di papa Innocenzo III (Lotario di Segni, n. Gavignano, 1161 c. – m. Perugia, 16 luglio 1216, eletto 8 gennaio 1198) in occasione del suo presunto viaggio primaverile in Sicilia nel 1208. Lo storico siciliano Rocco Pirro o Pirri (Noto, 13 luglio 1577 – Palermo, 22 maggio 1651), nella sua monumentale opera sulle chiese di Sicilia riporta una presunta bolla di tale papa nella quale si afferma che a Palermo avrebbe consacrato la chiesa di S. Pietro La Bagnara (cfr. R. Pirro, Sicilia Sacra, 2 voll., I, Coppulae, Panormi MDCCXXXIII, col. 119).  La presunta bolla pontificia è citata anche dallo storico Agostino Inveges (Sciacca, 1595 – Palermo, 1677) nel primo  volume dei suoi Annali della Felice Citta [sic] di Palermo Prima Sedia, Corona del Re, e Capo del Regno (3 voll., dell’Isola, Palermo, 1649-1651, III, 762 pp., in particolare, pp. 523-524, anno 1208, 30 Maggio). Ma di tale bolla di papa Innocenzo III, non c’è traccia alcuna nei repertori editi [cfr. Ch. Cocquelines, Bullarum privilegiorum ac diplomatum Romanorum Pontificum amplissima collectio Cui accessere Pontificum omnium Vitæ, Notæ, & Indices opportuni, Mainardi, Romæ MDCCXXXIII-MDCCLX, 28 voll., III, MDCCXl, XXIV+480 pp.]. Del resto, di siffatto fantomatico viaggio papale in Sicilia non fanno alcuna menzione gli storici coevi come Riccardo di S. Germano (cfr. Riccardo di San Germano, Chronica (Posteriora), in Monumenta Germaniae Historica, d’ora in poi MGH, Scriptores, XIX, a cura di G. H. Pertz, Hannoverae1866, pp. 321-386), Giovanni da Ceccano (cfr. Annales Ceccanenses, in MGH, Scriptores, XIX…cit., pp. 287-302), l’anonimo autore delle Gesta Innocentii III papae (cfr.J.-P. Migne, Patrologia Latina, CCXIV, coll. 17-228), e l’anonimo cassinese (cfr. Chronicon Anonymi Casinensis nunc primum in lucem prodit ex Ms. codice bibliothecae ejusdem monasterii signato num. 62 alias 1020, in L. A. Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, V, Societatis Palatinae in Regia Curia, Mediolani 1724, pp. 135-143), molto minuzioni nel descrivere gli spostamenti papali. In realtà, il documento è del tutto apocrifo come ampiamente dimostrato già nel Settecento da numerosi studiosi del calibro di Giambattista Caruso (cfr. G. B. Caruso, Memorie istoriche di quanto è accaduto in Sicilia, dal tempo de’ suoi primieri abitatori, sino alla coronazione del re Vittorio Amedeo, raccolte da’ più celebri scrittori antichi, e moderni, Gramignani, Palermo MDCCXXXVII, p. II, vol. I, lib. VIII, p. 250), Jean Levesque de Burigny (cfr. Mr. de Burigny, Histoire generale de Sicile dans laquelle on verra toutes les différentes Revolutions de cette Isle depuis le tems où elle a commencé à être habitée, jusqu’à la derniére Paix entre la maison de France, & la maison d’Autriche, Beauregard & Gosse, Haye MDCCCLV, 2 voll., II, pp. 20-21) e soprattutto Ludovico Antonio Muratori (cfr. L. A. Muratori, Annali d’Italia dal principio dell’era volgare sino all’anno 1750, 12 voll., Gravier, Napoli MDCCLXXIII, VII, 528 pp., in particolare, p. 132, anno MCCVIII).

Curiosamente, le asserzioni del Solìto, dal punto di vista storico totalmente inconsistenti, ancora una volta, sono state acriticamente riprese da gran parte degli studiosi successivi [cfr. ad es., R. Cusimano, Brevi cenni di storia termitana, Tipografia Pontificia, Palermo 1926, 144 pp., nello specifico, p. 58; I. Candioto, Civitas Splendidissima (Termini Imerese), Scuola Salesiana del Libro, Palermo 1940, p. 79, dove si legge «di tale tradizione non mi è stato possibile trovare la conferma storica»). E’ incredibile che lo studioso termitano Giuseppe Navarra (1893-1991), nella sua opera postuma Termini com’era (a cura di S. D’Onofrio, GASM, Termini Imerese 2000, 352 pp., in particolare, p. 82), dia per certa la consacrazione della chiesa di S. Giacomo da parte di papa Innocenzo III, che sarebbe avallata dalla presenza delle «croci della consagrazione sui muri della chiesa», sostenendo addirittura, senza peraltro citare alcuna fonte a sostegno, che il papa «venne da Roma e vi tornò a dorso di mulo e in portantina, essendo i mari infestati da pirati».

Sin dal 1988, questa tesi è stata riaffermata da Giovanna Mirabella (cfr. G. Mirabella, Fasti e declino di un monumento: la chiesa di S. Giacomo in Termini Imerese, in «Incontri e iniziative», Centro di Cultura di Cefalù, 3, 1988, pp. 17-36); e la studiosa, nel tentativo di avallare ciò, cita l’interessante rinvenimento, all’interno dell’antica chiesa madre, delle raffigurazioni di «croci sormontate dal cappello vescovile con nappine» (cfr. G. Mirabella, Ecclesia Sancti Iacobi. Storia di un monumento, in Idem, a cura di, La conchiglia e la spada il culto di S. Giacomo Maggiore e le architetture a Lui dedicate,  Palermo 2005,  pp. 9-15, in particolare p. 11 e foto n. 14).

A nostro avviso, invece, la spiegazione più semplice è che i due emblemi si riferiscano all’antica dignità episcopale di questo sacro edificio termitano. Alla luce dell’originaria intitolazione ai SS. Filippo e Giacomo, è possibile ravvisare anche una ulteriore connotazione simbolica dei due emblemi appaiati, che potrebbero evocare i titolari della chiesa: il simbolo della croce si ricollegherebbe a S. Filippo apostolo, alludendo al suo martirio, mentre il cappello vescovile indicherebbe la dignità episcopale di S. Giacomo il Minore protovescovo di Gerusalemme (in direzione della quale era orientato anticamente l’altare maggiore della chiesa).

Le chiavi pontificie, alle quali allude il Solìto, invece, potrebbero essere un duplice richiamo sia all’originaria suffraganeità della diocesi termitana dal Patriarcato di Roma, sia alla collocazione in una basilica della città Eterna, delle spoglie mortali dei due titolari della chiesa imerese. Il culto, in associazione, dei due santi apostoli Filippo e Giacomo Minore, infatti, rimonta alla seconda metà del VI secolo d. C. e deriva dalla traslazione delle loro reliquie in Roma, dove papa Pelagio I (556-561) iniziò la riedificazione della basilica minore dei Santi Dodici Apostoli (attualmente nell’omonima Piazza Santi Apostoli), poi completata dal suo successore Giovanni III (561-576) e consacrata un primo maggio, data donde derivò il giorno della festività a loro dedicata [cfr.  L.-S. Lenain de Tillemont, Mémoires pour servir àl’histoire ecclésiastique des six premiers siècles, 16 voll., Robustel, Paris MDCXCIII-MDCCXII, I, MDCXCIII, LXIV+730 pp., nello specifico, p. 379; Fra G. A. Bonelli O. F. M. conv., Memorie storiche della Basilica costantiniana dei SS. XII. Apostoli di Roma e dei suoi nuovi restauri, Salviucci, Roma 1879, 92 pp.; V. Saxer, Il culto dei martiri romani, in A. Esch, a cura di, Roma antica nel Medioevo: Mito, rappresentazioni, sopravvivenze nella ‘Respublica Christiana’ dei secoli IX-XIII, Atti della XIV settimana internazionale di studio, Centro di cultura dell’Università Cattolica di Milano, Passo della Mendola (TR-I), 24-28 Agosto 1998, Vita e Pensiero, Milano 2001, X+606 pp., in particolare, pp. 133-162].

Del resto, ciò appare in buon accordo con il fatto che la diocesi di Termini Imerese è sicuramente attestata dalle fonti sin dalla metà del VII secolo, con i vescovi Pasquale (Thermitanus episcopus, Επίσκοπον Θέρμης) e Giovanni (exiguus Sanctae Ecclesie Thermensis provinciae Siciliae) che parteciparono, rispettivamente, al concilio lateranense dell’ottobre 649 presieduto da papa Martino (649-653), ed a quello costantinopolitano III ed ecumenico VI del 680. In tale torno di tempo, le diocesi di Sicilia, pur essendo sotto il dominio bizantino, dal punto di vista ecclesiastico erano suffraganee di Roma, come sottolineato dallo storico e paleografo francese André Guillou (Nantes, 18 dicembre 1923 – Étampes, 20 ottobre 2013), uno dei maggiori bizantinisti (cfr. A. Guillou, La Sicilia bizantina. Un bilancio delle ricerche attuali. “Archivio storico siracusano”, 4 n.s., 1976, pp. 45-89, in particolare p. 10; si veda anche L. Santagati, Storia dei bizantini di Sicilia, Lussografica, Caltanissetta 2012, 422 pp.).

Il nome di un terzo ignoto vescovo termitano, Sergio, appare in un sigillo greco (che era in possesso del conte siracusano Cesare Gaetani della Torre, 1718-1805), riportato dall’epigrafista, numismatico ed antiquario siciliano Gabriele Lancillotto Castelli Giglio (Palermo, 1727 – ivi, 1794), principe di Torremuzza (cfr. G. L. Castello, Siciliae et objacentium insularum veterum inscriptionum nova collectio prolegomenis, et notis illustrata, Bentivenga, Panormi 1769, 323 pp., in particolare p. 218, Classis XVI, n. XIX). Questo presule, sinora sfuggito alle ricerche di tutti gli studiosi locali, deve essere vissuto nel periodo in cui la diocesi divenne di rito greco e viene evidenziato qui per la prima volta dagli scriventi.

Altri vescovi, sia cronologicamente antecedenti, sia susseguenti, sono stati erroneamente attribuiti da diversi studiosi alla cittadina imerese, anche per il vezzo campanilistico di accrescere l’antichità della diocesi (cfr. V. Solìto, Termini Himerese…cit., I, pp. 108-119; G. Benincasa, Dissertazione storico-critica Sull’antico Vescovo della splendidissima Città di Termini Imerese in Sicilia, Solli, Palermo MDCCLXXXVIII, 56 pp.; G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro ai nostri giorni, CIII voll., MDCCCXL-MDCCCLXXIX, Emiliana, vol. LXXIV, Venezia MDCCCLV, s.v. Termini o Termine, pp. 95–97; G. Cappelletti, Le Chiese d’Italia dalla loro origine sino ai nostri giorni, Antonelli, XXI voll., Antonelli, Venezia 1844-1870, vol. XXI, 1870, p. 644; P. B. Gams O.S.B., Series episcoporum Ecclesiae Catholicae, Manz, Ratisbonae 1873, p. 955: Elpidius?, Paschalis, Joannes, Georgius; R. Cusimano, Brevi cenni…cit.,pp. 51-58; S. Arrigo, Breve storia della chiesa di Termini Imerese, GASM, Termini Imerese, 2004, 128 pp., in particolare, pp. 10-14). Questi vescovi vanno totalmente e definitivamente espunti dalla cronotassi della diocesi termitana, perché nei vari concili non compaiono citati assieme agli altri presuli siciliani, essendo appartenenti a località dell’Asia Minore che avevano la denominazione di Thermae per la presenza di emergenze sorgentizie termominerali. I più antichi sono i due Elpidio che parteciparono, rispettivamente, al concilio di Calcedonia del 451 ed a quello romano del 504 [cfr. M. Le Quien, Oriens christianus in quatuor Patriarchatus digestus, 3 t., Typographia Regia, Parisiis MDCCXL, t. I, col. 497, VIII Ecclesia Myricii sive Thermarum], e che nulla hanno a spartire con Termini Imerese, perché furono vescovi di Thermensis maioris o mansionisThermarum oppure Myricenon Thermis o Miricenorum Thermes/Thermae, antico centro termale di Myrica/Myrika/Myrikion nell’antica regione dell’Asia Minore, Galazia Seconda, vicino l’attuale località turca di Yeşilyurt.

Il più recente, Giorgio, che partecipò al II concilio di Nicea del 787, anch’egli non ha alcuna relazione con la cittadina imerese, essendo stato vescovo di Thermae Basilicae (Basilika Therma), in Cappadocia Prima, l’attuale Terzili Hamam nell’odierna Turchia, dove esistono ancora delle imponenti rovine di un grande edificio termale [cfr. Michel Le Quien, Oriens christianus…cit., I, coll. 389-390; J. Darrouzès, Listes épiscopales du concile de Nicée (787), in “Revue des études byzantines”, 33, 1975, p. 27; E. Lamberz, Die Bischofslisten des VII. Ökumenischen Konzils (Nicaenum II), Bayerische Akademie der Wissenschaften, Phil.-hist. Klasse, Abhandlungen N.F. 124, München 2004; Digital Atlas of the Roman Empire, http://imperium.ahlfeldt.se/places/27585.html]. Lo storico e filologo bizantinista sac. Jean Darrouzès (Montreuil, 3 Aprile 1912 – ivi, 12 giugno 1990), sottolinea che tra i rappresentanti provenienti dalle chiese d’Occidente, i vescovi siciliani (manca quello di Thermes che potrebbe  anche non aver voluto partecipare) sono elencati, anche se disordinatamente, assieme a quelli calabresi (cfr. J. Darrouzès, Listes épiscopales…cit.,p. 24). Il vescovo di Basilika Therma, invece, è citato assieme agli altri presuli della Cappadocia (cfr. J. Darrouzès, Listes épiscopales…cit.,p. 26 e nota n. 1, pp. 26-27).

Tornando all’antica chiesa madre di Termini Imerese, dedicata ai santi apostoli Filippo e Giacomo, la prima fonte archivistica, sinora reperita, data agli inizi del Trecento ed è autorevolissima, poiché deriva dalla documentazione dei collettori e subcollettori pontifici. Il corpus documentario, che fu redatto soprattutto durante il primo decennio del Trecento, nel quale sono indicati, per ogni diocesi e per ogni terra, la “decima” parte dei redditi monetari percepiti dalle chiese ed istituzioni ecclesiastiche e da singoli prelati, specificando debitamente gli importi pecuniari destinati alle casse della Curia romana. Occorre rimarcare che la documentazione non è da considerare esaustiva poiché dovevano esserci anche delle istituzioni ecclesiastiche esentate dal pagamento, ad esempio per l’esiguità delle rendite spettanti, per specifici privilegi, oppure per esonero totale o parziale dei pagamenti dovuti a calamità naturali, guerre o furti [per ulteriori approfondimenti rimandiamo ad A. Antonetti, La decima apostolica nel Regno tra XIII e XIV secolo. Le frontiere di una ricerca, in M. Loffredo, A. Tagliente, a cura di, Il Regno. Società, culture, poteri (secc. XIII-XV),  Atti della Giornata di Studi, 8 Maggio 2019, Università degli Studi di Salerno, Dipartimento di Scienze del Patrimonio Culturale DiSPaC, Schola Salernitana E-Book, Studi e Testi, 2 (15), Salerno 2021, pp. 7-26].

Secondo lo storico Emanuele Curzel (professore associato, Università di Trento), inoltre, dietro il termine decima, in realtàsi sarebbe celata un’aliquota variabile, che andava dalla centesima sino alla decima parte dell’imponibile (cfr. E. Curzel, Il pagamento della decima papale degli anni 1313-1319 in diocesi di Trento, in “Studi Trentini di Scienze Storiche. Sezione prima”, 76, 1997, pp. 23-65, in particolare, pp. 38-39).

Le decime pontificie non vanno confuse con quelle relative al sistema di sostegno fiscale della Chiesa locale, come le decime vescovili/arcivescovili (a loro volta ripartite con il capitolo e, nell’ambito di questo, con i chierici e i canonici) e le varie fondazioni ecclesiastiche della diocesi, che spettavano sulla decima parte di vari proventi regi o feudali (ad es. tonnare).E’ noto, ad esempio, che il vescovato di Lipari-Patti esercitò il diritto su tutta la decima statale di Termini Imerese, in virtù della concessione voluta da Ruggero I, nel 1094 (tre anni dopo la conclusione della conquista dell’Isola), in favore del monastero di S. Bartolomeo di Lipari.

Papa Callisto II (al secolo Guido dei conti di Borgogna, Quingey, 1060/65 c. – Roma, 13 dicembre 1124, eletto 2 febbraio 1119), con la sua Confirmatio iurium omnium Ecclesiae Panormitanae, data in Roma il 2 Aprile Ia Indizione 1123, tra l’altro, approvò l’incorporazione di Termini e della sua diocesi in quella di Palermo, compresi tutti i diritti e, quindi, anche le decime [cfr. Ch. Cocquelines, Bullarum…cit.,II, MDCCXXXIX, XXVIII+482 pp., n. XXXIX., p. 184]. Pertanto, nell’anno VIIIa Indizione 1130 sorse una diatriba tra Pietro arcivescovo di Palermo, nel cui territorio ricadeva la città, ed il monaco benedettino Giovanni preposito di Lipari, che fu risolta dal duca Ruggero in maniera salomonica dividendo a metà l’importo della decima. Nel Duecento e sino alla fine del Trecento, Patti continuò tranquillamente ad usufruire di tali introiti in Termini Imerese, avendo anche lo ius sulla chiesa di S. Egidio presso il castello (cfr. D. Girgensohn-N. Kamp, Urkunden und Inquisitionen des 12. und 13. Jahrhunderts aus Patti, in Quellen und Forschungen aus Italienischen Archiven und Bibliotheken, 45, 1965, pp. 1-240; sulla chiesa di S. Egidio, cfr. P. Bova, A. Contino, Geomorfologia antropogenica legata ad attività militari: l’esempio della Rocca del Castello di Termini Imerese dall’Antichità al 1950,in “Esperonews: Giornale del Comprensorio Termini-Cefalù-Madonie”, Lunedì, 14 Settembre 2020, su questa testata giornalistica on-line).

La decima pontificia, invece, era un tributo gravante sui cespiti ecclesiastici, a titolo non ordinario, che veniva imposta in particolari circostanze nella quali la Chiesa necessitava di introiti supplementari per poter finanziare le sue iniziative, in primis difendere la Terra Santa e, in generale, pro oneribus romane ecclesiae (cfr. J. Favier, Les finances pontificales à l’époque du grand schisme d’Occident (1378-1409), Bibliothèque des Écoles françaises d’Athènes et de Rome, fascicule 211, Boccard, Paris 1966, VIII+854 pp., in particolare, pp. 206-232). La documentazione relativa a tale imposta si conserva principalmente nei fondi archivistici del fisco pontificio, quali le Collectoriae (la rendicontazione dei collettori e subcollettori papali) e l’Introitus et Exitus dell’Archivio Segreto Vaticano (ai quali si possono aggiungere le informazioni ricavate dai fondi Obligationes et Solutiones e Instrumenta Miscellanea), che risalgono all’ultimo quarto del Duecento, ma soprattutto al Trecento[cfr. O. Poncet, Les entreprises éditoriales liées aux archives du Saint-Siége. Histoire et bibliographie (1880-2000), Préface de Lucie Fossier, Collection de l’École française de Rome, 318, École française de Rome, Rome 2003, XI+431 pp.], quando il Regno di Sicilia costituì un’importantissima collettoria papale. Il volume ottavo, che raccoglie i documenti relativi alla Sicilia,  fu edito nel 1944 a cura dell’archivista, paleografo e storico Pietro Sella Giacomelli (Biella, 27 dicembre 1882 – Roma, 5 dicembre 1971), nipote del celeberrimo statista Quintino [cfr. A. Forci, Pietro Sella (1882-1971) e le ‘Rationes Decimarum’ della Sardegna, in “Insula Noa. Temi di storia e cultura sarda”, 1, 2020, pp. 61-90].

Relativamente a Termini Imerese, nelle collettorie pontificie delle decime degli anni VIIa Indizione 1308-1309 e VIIIIa Indizione 1309-1310(cfr. P. Sella, Rationes Decimarum Italiae, Sicilia, Studi e Testi 112, Biblioteca apostolica vaticana, Roma Città del Vaticano, MDCCCCXLIV, VI+188 pp., in particolare p. 21, v. appendice documentaria), in qualità disede arcipresbiterale, apud Termas [sic], in incipit si fa menzione della chiesa madre intitolata ai SS. Filippo e Giacomo (valeva la somma di 10 once e pagava per entrambi once 2). Seguono i cappellani (pagarono per due decime oncia 1) ed il sac. Pietro cappellano (pagava per entrambi, tarì 22 e mezzo).

Le altre chiese termitane che dipendevano dalla madrice dei SS. Filippo e Giacomo e che risultano avere versato la decima pontificia erano:

  • SS. Antonio ed Arsenio (valeva tarì 22 e mezzo; pagava per entrambi gli anni indizionali 1308-1309 e 1309-1310, la somma di tarì 13 e grana 18). Si tratta di una chiesa dedicata ai santi anacoreti Antonio Abate e Arsenio il Grande. E’ molto probabile che corrisponda a quella che nei rogiti notarili, sin dagli inizi del Quattrocento, è attestata con la dedicazione a S. Antonio Abate, sita nell’omonimo quartiere e slargo, a breve distanza della cosiddetta “Rocca dell’Orologio”, e che fu distrutta nel Settecento per i progettati lavori di ulteriore ampliamento delle fortificazioni del castello, mai realizzati (cfr. P. Bova, A. Contino, Termini Imerese, attività militare ed evoluzione del paesaggio: l’esempio della “Rocca dell’Orologio antiquo” tra medioevo e Settecento, in “Esperonews: Giornale del Comprensorio Termini-Cefalù-Madonie”, Domenica, 20 Dicembre 2020, su questa testata giornalistica on-line);
  • SS. Quaranta (valeva once 10; pagava per entrambi, once 2 e tari 1 e mezzo). Sino a gran parte del Cinquecento fu la chiesa, dedicata ai Quaranta Martiri di Sebaste, della facoltosa comunità pisana a Termini, sita nell’attuale Piazza del Carmelo (cfr. A. Contino, Aqua Himerae. Idrografia antica ed attuale dell’area urbana e del territorio di Termini Imerese (Sicilia centro-settentrionale), Giambra, Terme Vigliatore 2019, p. 165 e pp. 172-173; P. Bova, A. Contino, Dalla Liguria a Termini Imerese: la casata nobiliare dei Priarùggia tra Cinquecento e Seicento, in “Esperonews: Giornale del Comprensorio Termini-Cefalù-Madonie”, Domenica, 6 Giugno 2021, su questa testata giornalistica on-line);
  • S. Biagio (vale once 2; pagava per la prima, tarì6). Era probabilmente la chiesa della comunità ragusea a Termini, ancora esistente negli anni 70’ del Cinquecento [cfr. P. Bova, A. Contino, Memorie di Ragusa dalmata (attuale Dubrovnik in Croazia) a Termini Imerese (XIV-XVII sec.), in “Esperonews: Giornale del Comprensorio Termini-Cefalù-Madonie”, Mercoledì, 5 Dicembre 2018, su questa testata giornalistica on-line];
  • S. Maria de Carruba (valeva oncia 1 e tarì 22 e mezzo; pagava per la prima, tarì 6). L’edificio di culto, che forse prendeva nome dalla presenza dal frutto di una rigogliosa pianta di carrubo [dall’arabo ḫarrub, cfr. castigliano (al)garroba, Ceratonia siliqua Linné, cfr. G. Rohlfs, Dizionario dialettale delle Tre Calabrie, Niemeyer, Halle-Milano 1932-1939, I, pp. 292 e 367], fu detto anche di S. Maria delle Grazie e nella seconda metà degli anni 80’ del Cinquecento fu incorporato nell’erigenda chiesa e convento dei Minimi di S. Francesco di Paola (‘U Santu Patri);
  • S. Lucia (valeva oncia 1 e mezzo; pagava per la prima, tarì 4). Su questa chiesa cfr. P. Bova, A. Contino, Termini Imerese, dall’affioramento al costruito: le cave di Santa Lucia dal Quattrocento al Seicento, in “Esperonews: Giornale del Comprensorio Termini-Cefalù-Madonie”, Martedì, 15 Giugno 2021, su questa testata giornalistica on-line;

Relativamente a Termini Imerese, le collettorie pontificie del 1308-10 sono state citate per la prima volta da Antonio Contino e Salvatore Mantia (cfr. A. Contino e S. Mantia, Note dei curatori, in B. Romano, Notizie storiche intorno alla città di Termini, GASM, Termini Imerese 1997, nota n. 9, pp. 77-78) che hanno sottolineato l’antica dedicazione della maggior chiesa ai SS. Filippo e Giacomo.  Curiosamente, in G. Mirabella, Ecclesia Sancti Iacobi…cit., p. 9, è ripetuta la medesima intitolazione ai SS. Filippo e Giacomo, però senza citare alcuna fonte probante. Nello stesso saggio (cfr. G. Mirabella, Ecclesia Sancti Iacobi...cit., p. 10), si sostiene esser l’antica «Maggior Chiesa dedicata a S. Giacomo Apostolo, “Matamoros”, Santo protettore delle schiere Aragonesi e la cui importanza cancella quella di S. Filippo, altro Santo a cui era dedicata la chiesa». In realtà, come abbiamo visto in precedenza, S. Filippo apostolo era sempre associato al culto di S. Giacomo Minore, non a quello di S. Giacomo Apostolo o il Maggiore e bisogna fare molta attenzione a non confondere i due apostoli omonimi, perché in tal caso si commette un grave errore dal punto di vista storico ed agiologico, e si possono creare anche delle ipotesi del tutto infondate.

Una ulteriore preziosa fonte, che conferma l’antica dedicazione medievale della chiesa madre di Termini Imerese ai santi apostoli Filippo e Giacomo Minore, si ricava attraverso delle disposizioni testamentarie risalenti agli anni 30’ e 40’ del Trecento. Il magnificus et egregius dominus Matteo Sclafani, esponente di una delle più importanti casate comitali siciliane, che prese il nome dal castrum et terra di Sclafani (odierno comune di Sclafani Bagni), nell’arco di poco più di un ventennio, fece ben quattro testamenti (notar Simon de Iudice Facio, Palermo, 6 Agosto Ia Indizione 1333; notar Manfridus de domino Bonaccurso, Palermo, 2 Aprile XIIIa indizione 1345; notar Orlandus de Sacca, Palermo, 28 Maggio Ia indizione 1348; notar Bernardus Siscurti, Chiusa, 6Settembre VIIIa indizione 1354). Questo testamenti sono stati studiati, trascritti e pubblicati da Maria Antonietta Russo, associato presso l’Università di Palermo [Cfr. M. A. Russo, I testamenti di Matteo Sclafani (1333-1354), “Mediterranea Ricerche Storiche”, anno II, dicembre 2005, pp. 521-567].

Due dei testamenti dello Sclafani (rispettivamente del 1333 e del 1345), sono particolarmente illuminanti ai fini della nostra ricerca. Alla stipula del primo testamento è testimone il reverendo sacerdote Gentile de Monteflorido o de Monte Flore o de Monteflorum o de ex Efflore che non solo fu canonico palermitano (doc. 1323-1339), ma anche arciprete di Termini Imerese (Gentilis de Monteflorido  panormitanus canonicus et archipresbiter Thermarum; Gentilis de Monteflorido de Panormo canonicus). Da notare che il Monteflorido, sinora è del tutto ignoto nella cronotassi degli arcipreti di Termini Imerese (cfr. S. Arrigo, Breve storia della chiesa di Termini Imerese, GASM, Termini Imerese 2004, 128 pp., in particolare, pp. 18-19, dove la serie rimonta al 1400).

Già lo storico Rocco Pirro o Pirri (Noto, 13 luglio 1577 – Palermo, 22 maggio 1651), nella sua monumentale opera sulle chiese di Sicilia (cfr. R. Pirro, Sicilia Sacra, I, Coppulae, Panormi MDCCXXXIII, p. 159), menziona Gentile de Montefiore, canonico palermitano ed arciprete di Termini, quale testimone al testamento (il primo) dello Sclafani, assieme ad Arturo vicario generale della chiesa palermitana, essendo defunto l’arcivescovo Giovanni Orsini.

In tale iniziale testamento, Matteo Sclafani istituì eredi universali il nipote Matteo Moncada, figlio di Margherita, per i beni siti ultra flumen Salsum, e la figlia Luisa, minore, per i beni siti citra flumen Salsum. Una apposita clausola per il nipote stabilì l’obbligo di assumere il cognome e le armi della casata degli Sclafani, in modo da assicurare la discendenza familiare in linea maschile.

Da notare che il testatore legò la somma di dieci onze auree per l’opera della chiesa dei santi Filippo e Giacomo di Termini, allora maggior chiesa: Item legavit ecclesie Sanctorum Philippi et Iacobi de Thermis pro opera ipsius auri unceas decem (Cfr. M. A. Russo, I testamenti di Matteo Sclafani…cit., p. 533).

Nel secondo testamento di Matteo Sclafani (1345), venne rinnovato il medesimo legato: Item legavit ecclesie Sanctorum Philippi et Iacobi de Thermis pro opera ipsius auri unceas decem (cfr. M. A. Russo, I testamenti di Matteo Sclafani…cit., p. 541).

Tra i due testamenti dello Sclafani avvenne il terrificante assedio di Termini Imerese, pervicacemente voluto dagli Angioni nel 1338. Curiosamente, Giovanna Mirabella (cfr. G. Mirabella, Ecclesia Sancti Iacobi…cit., p. 12), senza peraltro citare alcuna fonte probante, sostiene che, gli Angioini avrebbero risparmiato l’antica chiesa madre essendo «particolarmente devoti a S. Giacomo Maggiore». Invece, come dimostrano i documenti sincroni che qui menzioniamo, la chiesa maggiore a quel tempo era dedicata ai santi Filippo e Giacomo il Minore e non aveva alcun legame con il santuario di Santiago de Compostela.

Un altro tassello molto importante della ricerca in questione si lega alla riscossione della decima triennale pontificia in Sicilia, che papa Clemente VI (Pierre Roger, papa dal 1342 al 1352) nell’ottobre del 1345, dalla sua sede avignonese volle affidare all’arcivescovo di Palermo, Teobaldo (dal 1336 al 1350). Questa contribuzione straordinaria era legata alla lotta contro l’espansione turca, prevedendo anche di recuperare i residui delle decime dovute ai papi predecessori, Clemente V (Bertrand de Got o de Gouth, papa dal 1305 al 1314) e Giovanni XXII (Jacques-Arnaud Duèze o d’Euse, papa dal 1316 al 1334). La decima pontificia, secondo quanto si ricava dai documenti, fu relativa ad un triennio indizionale che probabilmente comprende gli anni XIVa Indizione 1345-46, XVa Indizione 1346-1347 e Ia Indizione 1347-1348, ma le attività di prelievo si concentrarono in quest’ultimo anno, anche se le entrate percepite pare non siano state depositate presso la Camera Apostolica (forse cedute dal papato alla monarchia aragonese, secondo una prassi molto diffusa in quel tempo; per ulteriori approfondimenti sull’argomento, cfr. E. Tello Hernández, Nichil solvit. Norma e pratica nella contribuzione ecclesiastica per la monarchia nella Corona d’Aragona durante il papato di Avignone e lo Scisma (1309-1418), in A. M. Pazienza, F. Veronese, a cura di, Persone, corpi e anime in movimento. Forme di mobilità tra tardoantico e alto medioevo (VI-X secolo), “Melange de l’Ecole Francaise de Rome”, Moyen Age, 132-2, 2020, Varia, on-line all’indirizzo https://journals.openedition.org/mefrm/8117).

La documentazione della collettoria siciliana, relativa alla struttura istituzionale, all’ordine gerarchico del clero, all’organizzazione di chiese parrocchiali, pievi, conventi e monasteri, nonché all’appannaggio dei beneficia ecclesiastica della diocesi di Palermo, caso di studio emblematico per l’intero regno, è stata dettagliatamente studiata e pubblicata dallo storico Maurizio Moscone (cfr. M. Moscone, L’Ufficio della collettoria in Sicilia e la struttura istituzionale della Chiesa palermitana. Da un inedito della decima della metà del Trecento, “Dall’Archivio segreto vaticano. Miscellanea di testi, saggi e inventari”, 1, Collectanea Archivi Vaticani, n. 61, Archivio segreto Vaticano, Roma Città del Vaticano 2006, pp. 323-351, relativamente a Termini Imerese, pp. 349-350).

A proposito della Terra Termarum [sic], l’attuale Termini Imerese, la documentazione delle collettorie pontificie (cfr. Archivio Segreto Vaticano, Camera Apostolica Collectoriae 221, f. 168, trascritto in M. Moscone, L’Ufficio della collettoria in Sicilia… cit., pp. 349-350) esibisce essenzialmente un quadro delle chiese locali che dispongono di una capacità contributiva, del tutto concorde rispetto a quello del 1308-10. Tutto ciò nonostante appena un decennio prima fosse avvenuto l’assedio angioino del 1338 che, secondo l’anonima Historia Sicula, tradizionalmente attribuita ad un presunto fra Michele da Piazza, avrebbe provocato la rovina della città (cfr. S. V. Bozzo, Un diploma di re Pietro II relativo all’assedio di Termini nel 1338 in “Archivio Storico Siciliano”, Società Siciliana di Storia Patria, Palermo 1878, pp. 331-346). Su sei edifici ecclesiastici citati, tre (SS. Quaranta, S. Maria de Carruba e S. Lucia) erano extra moenia, mentre altrettante erano dentro la città medievale (SS. Filippo e Giacomo, S. Biagio; SS. Arsenio ed Antonio).

Nello specifico, le collettorie pontificie predette, oltre a rammentare un altro archipresbiter sinora totalmente ignoto, Nicolao de Rocca, menzionano la chiesamadre dedicata ai SS. Filippo e Giacomo (n. 85), nonché quelle dei SS. Quaranta Martiri (n. 86, Sanctorum Quadraginta de Termis, così indicata evidentemente per distinguerla dall’omonima di Palermo, essendo beneficiale il sac. Andrea de Mucherio), di S. Maria de Carruba (n. 87, beneficiale il detto arciprete de Rocca), di S. Biagio (n. 88), dei SS. Antonio e Arsenio (n. 89, beneficiale Galieno de Galeni) e di S. Lucia (n. 90).

Agli inizi del Quattrocento, una nuova chiesa madre sub vocabulo Sancte Marie la Nova (S. Maria La Nova) ed ubicata nella piazza principale della cittadina imerese, in una collocazione maggiormente centrale, era già in costruzione. E’ plausibile ritenere che la denominazione del nuovo edificio ecclesiastico sia stata mutuata dall’omonima chiesa-ospedale palermitana, istituita il 12 Novembre VIIIa Indizione 1339, essendo arcivescovo di Palermo il precitato Teobaldo, ubicata ad un dipresso della non più esistente parrocchia di S. Giacomo La Marina (cfr. V. Mortillaro, Catalogo ragionato dei diplomi esistenti nel tabulario della cattedrale di Palermo, Oretea, Palermo 1842, IX+355 pp., diploma di n. 97, pp. 153-158; G. Palermo, Guida istruttiva per potersi conoscere tanto dal siciliano, che dal forestiere Tutte le magnificenze, egli oggetti degni di osservazione della Città di Palermo Capitale di questa parte de’ R[egi] Dominj, Reale Stamperia, Palermo1816, 4 voll., I, pp. 261-267). Da notare che in tale pargamena si fa menzione tra i canonici del capitolo della cattedrale di Palermo il precitato Gentile de Monteflorido, non sappiamo se ancora arciprete di Termini Imerese.

E’ evidente, dai rogiti notarili, che la fabbriceria della chiesa di S. Maria La Nova di Termini Imerese era già attiva agli inizi del Quattrocento, e ciò induce a ritenere che l’ideazione dell’edificio di culto debba farsi rimontare al Trecento. Un ulteriore tassello è dato dalla stringente analogia tra la base di colonna sagomata (di pianta ottagona, che si raccorda al plinto planimetricamente quadrato), visibile in cornu epistolae, all’interno dell’attuale duomo (tra la cappella dei Bonafede e quella della Virgo Lactans o Madonna delle Grazie, nel Cinquecento di patronato dei Giambruno, oggi detta di S. Gaetano Thiene) e quelle che ornano l’elegante portico del cortile interno del palazzo Steri di  Palermo, l’Hosterium voluto dai Chiaramonte (cfr. G. Spatrisano, Lo Steri di Palermo e l’architettura siciliana del Trecento, Flaccovio, Palermo 1972, 300 pp., nello specifico p. 55). La forma ottagonale si riallaccia alla simbologia mariana che è richiamata nella stessa dedicazione della chiesa: ecclesia sub vocabulo Sancte Marie La Nova, e cristologica, legata alla Resurrezione (cfr., rispettivamente, L. Bartoli, Simbologia mariana: guida per gli artisti e il clero alla comprensione estetica e liturgica del tema marialogico, Istituto padano di arti grafiche, Rovigo 1949, 195 pp.; Origene, S. Girolamo, 74 Omelie sul libro dei Salmi, Edizioni Paoline, traduzione e note di G. Coppa, Milano 1993, 744 pp., in particolare, Sul Salmo 86, 10).

Il giorno 11 Dicembre Ia Indizione 1407, i confrati della chiesa di S. Gerardo (nel Seicento incorporata in S. Croce al Monte di Gerusalemme), con apposito rogito di donazione stipulato presso notar Giuliano Bonafede Rizzo di Termini Imerese, con molta generosità cedettero i loro beni al notaio Giacomo de Felice procuratore della fabbriceria (maramma) della erigenda nuova chiesa madre, al fine di impiegarsi per la costruzione dell’opera. Il rogito in questione, purtroppo, oggi non è più reperibile, perché i rogiti di Giuliano Bonafede, conservati presso l’Archivio di Stato di Palermo, sezione di Termini Imerese, iniziano dal 1408 (cfr. Archivio di Stato di Palermo Sezione di Termini Imerese, d’ora in poi ASPT, notai defunti, vol. 12829). Fortunatamente, il sac. Giuseppe Ciprì (1743-1809) fa fede dell’esistenza del rogito, scoperto grazie alle ricerche archivistiche condotte da Stefano Mira Marino marchese di S. Giacinto, sinora misconosciuto pioniere nello studio delle fonti documentarie locali (cfr. G. Ciprì, Esame storico-critico sulla Patria e Famiglia e sugli atti del Beato Agostino detto Novello Termitano Imerese Priore Generale dell’Ordine degli Eremiti Agostiniani, ms. sec. XVIII, Biblioteca comunale Liciniana di Termini Imerese, d’ora in poi BLT, ai segni AR c β 1-2, 2 voll., II, par. III).

Nell’estate seguente, il giorno 11 Luglio Ia Indizione 1408, un certo Romeo Guzzardo nel suo testamento agli atti di detto notar Bonafede, dispose un legato a favore della erigenda nuova chiesa madre mentre volle essere inumato nella chiesa di S. Giacomo (cfr. G. M. Sceusa, Termini Imerese Splendidissima, e FedeleCittà Della Sicilia, suo Nome, sua Origine, suo culto, e Suoi progressi, sotto i Dominij che il nostro Regno han governato, ms.1796, BLT, ai segni AR d β 22, f. 48r).

Il 23 Dicembre XIa Indizione 1417, Antonio de Aricio, vice-secreto, stipulò un contratto con il maestro Pietro di Maestro Orlando, costruttore (marammator) termitano, per realizzare un arco nella chiesa di S. Maria La Nova e completare l’ala Sancti Nicolai (cfr. ASPT, notai defunti, Giuliano Bonafede, vol. 12831, 1417-18, registro, cit. in R. M. Dentici Buccellato, Dall’abitato romano all’abitato medievale: Termini Imerese, in Atti del Colloquio internazionale di Archeologia medievale, Palermo-Erice 20-22 settembre 1974, Istituto di storia medievale, Università di Palermo, Palermo 1976, 2 voll., II, pp. 198-215, nello specifico, p. 209 nota n. 45). L’erigenda ala di S. Nicolò nella nuova chiesa madre prendeva il nome dall’antico luogo di culto omonimo, di patronato della cospicua famiglia degli Aricio o Rictio, con annessa torre, che finì per essere inglobato in S. Maria La Nova. Antonio de Aricio o Rictio, in compenso dell’incorporazione della chiesa predetta, ebbe poi in concessione, per sé e per i suoi eredi, l’altare di S. Nicolò nella novella chiesa madre (cfr. G. Arrigo, Su i Comuni dell’Archidiocesi di Palermo. Notizie estratte dai volumi della Curia non più esistenti. II Termini-Imerese, in L. Boglino, a cura di, La Sicilia Sacra, IV, 1902, pp. 193-202, nello specifico, pp. 196-197). Il titulus di S. Nicolò, come era consueto, fu trasferito dall’antica chiesa omonima a quella di S. Maria La Nova, e si è mantenuto sino all’attuale duomo.

Il 27 Marzo IIIa Indizione 1439 (1440), le autorità civili ed ecclesiastiche fecero atto di vassallaggio nei confrontidel nuovo signore della cittadina imerese, Antonio Melchiorre de Ribelles, nella chiesa di S. Giacomo, che evidentemente era la maggior chiesa, come appare da un rogito in notar Antonino Bonafede (cfr. V. Solito, Termini Himerese…cit., II, p. 90, dove erroneamente leggesi Antonio Ventimiglia de Ribelles; B. Romano, Notizie storiche intorno alla città di Termini ricavate dagli atti degli antichi notai, ms. 1838, Biblioteca Comunale di Palermo ai segni 4 Qq D 81, f. 150, dove viene evidenziato l’errore del Solìto; sul Ribelles, cfr. P. Bova, A. Contino, Termini Imerese, dal XII al XVI secolo: il promontorio scomparso di ‘Muso di Lupa’ e la tonnara, in “Esperonews: Giornale del Comprensorio Termini-Cefalù-Madonie”, Domenica 12 Gennaio 2020, su questa testata giornalistica on-line).

Nel Quattrocento, quindi, nella documentazione notarile, generalmente, si riscontra la sola intestazione a S. Giacomo, mancando quella di S. Filippo. Questo passaggio, con tutta probabilità, è stato cruciale per determinare la sovrapposizione del culto iacopeo su quello più antico di S. Filippo e Giacomo Minore, creando una vera e propria confusione identitaria tra i due santi omonimi. Del culto iacopeo si ha traccia documentata a Termini negli anni 30’ del Quattrocento. Giacomo de Aricio senior,  il 22 Settembre XVa Indizione 1436,  nel suo testamento agli atti di notar Bonafede, stabilì di voler essere inumato nel suo sepolcro in S. Francesco d’Assisi, e fece un lascito per lamatris ecclesie Thermarum (non è specificata la dedicazione), ed altresì volle che il voto da lui fatto di recarsi in pellegrinaggio ad sanctum Iacobum de Galiciis fosse ottemperato dalle figlie ed eredi, pagando qualcuno per compiere la peregrinatio iacobea, non solo “testamentaria”, ma anche “per procura”, in vece del testatore [cfr. G. Arlotta, Vie Francigene, Hospitalia e toponimi carolingi nella Sicilia medievale, in M. Oldoini (a cura di), Tra Roma e Gerusalemme nel Medioevo Paesaggi umani ed ambientali del pellegrinaggio meridionale, Atti del Congresso Internazionale di Studi (26-29 ottobre 2000), Dipartimento di Latinità e Medioevo, Università degli Studi di Salerno, Laveglia Editore, 2005, tomo III, pp. 815-814, doc. 1, pp. 876-78].

La ricerca archivistica sui registri notarili effettuata dalla compianta Rosa Maria Dentici Buccellato (1951-2018), nonché da Antonio Contino e Salvatore Mantia, attesta che per tutta la prima metà del Quattrocento si ebbero vari lavori relativi al prosieguo della costruzione di S. Maria La Nova (cfr. R. M. Dentici Buccellato, Dall’abitato romano…cit. pp. 198-215; A. Contino, S. Mantia, Architetti e pittori a Termini Imerese tra il XVI ed il XVII secolo, GASM, Termini Imerese 2001, 192 pp., in particolare, pp. 19-20).

Una vera e propria ratifica della costruzione del novello edificio ecclesiastico si ebbe finalmente sotto l’arcipresbiterato di Leonardo Ruzzolone, per volere di Simone Beccadelli di Bologna (Palermo, 30 Settembre 1419 – ivi, 8 Gennaio 1465), arcivescovo di Palermo, il 10 giugno e 23 luglio XI indizione 1447 (1448), come attestano le ricerche del sac. termitano Giuseppe Arrigo (cfr. G. Arrigo, Su i Comuni…cit., p. 194).

La nuova chiesa madre termitana entrò in funzione almeno negli anni 70’ del Quattrocento come si ricava da alcune fonti archivistiche. A tal proposito risulta emblematico uno dei rogiti superstiti di notar Antonino de Michele, che purtroppo sono alquanto rovinati dall’umidità e spesso lacunosi, soprattutto nella parte centrale dei fogli. Iac[ob]usdj Serio, h[abitator] t[er]re t[her]marum, padre dell’arciprete Calogero, nel suo testamento rogato agli atti di notar Antonino de Michele, addì VII Settembre VIIIa Indizione 1474, stabilì di voler essere sepolto in maiorj ecc[lesi]a t[her]marum, nella cappella di proprio patronato, sub vocabulo sancti anthoninj nominando suoi eredi, il sac. Calogero, i figli maschi Giovanni e Paolo, oltre a quattro figlie femmine, che si erano accasate con esponenti di importanti casate nobiliari termitane: Costantina moglie di Giacomo Luparello, Caterina moglie di [lacuna nel testo] di Leo, Margherita (garita) moglie di Simone di Solito ed Elisabetta (betta) moglie di Nardo di Palma (cfr. ASPT, vol. 12844, 1474-75). La cappella di S. Antonio Abate della Maggior Chiesa di Termini, detta anche delli Serii, per essere stata di patronato della casata dei Serio (cfr. G. Arrigo, Su i Comuni…cit., p. 198), fu poi chiamata della Natività del Signore (cfr. A. Contino, Antiche famiglie delle Madonie. I Sincero, in “Le Madonie”, anno LXXV, n. 1, 1-15 Gennaio 1995, p. 3). Tale denominazione è sopravvissuta nell’attuale duomo di S. Nicolò, ad indicare la sesta cappella in cornu epistolae. Inoltre, un rogito del 2 dicembre Xa Indizione 1476 menziona la chiesa di S. Giacomo ormai del tutto priva del titolo di chiesa madre (cfr. A. Contino, S. Mantia, Architetti e pittori…cit., p. 20).

Il sacerdote Serio, quindi, volle adornare la nuova maggior chiesa con un’opera degna del novello edificio. Il contratto d’obbligo tra magister Petrus de Ruzulono pictor e venerabili presbitero Calogero Serio archipresbitero maioris ecclesie Thermarum agli atti di notar Antonio De Michele, datato 26 aprile Iia Indizione 1484, fu scoperto e pubblicato nel 1859 da Ignazio De Michele (cfr. I. De Michele, Sopra un’antica croce nel duomo di Termini-Imerese, Lao, Palermo 1859, 14 pp., nello specifico p. 11, nota n. 2). In tale rogito, il pittore palermitano Pietro Ruzzolone, si obbligava con l’arciprete Calogero de Serio a dipingere, su entrambi i versi, una croce per la maggior chiesa di Termini Imerese prendendo a modello quella di S. Giacomo La Marina di Palermo (de modo forma et qualitate Crucifissi magni et novi ecclesie sancti Jacobi de maritima Panhormi), per il compenso di onze 33 (unciarum XXXIII), da consegnare entro il mese di Agosto dell’anno IIIa Indizione (totum mensem augusti anni tertiae indicionis), cioé del 1485 e da appendere ad una trave del soffitto ligneo. A nostro avviso, non è per niente ammissibile il volere dedurre da questa fonte documentaria che l’opera del Ruzzolone sarebbe stata realizzata per S. Giacomo che, quindi, avrebbe continuato a svolgere la funzione di chiesa madre (cfr. G. Mirabella, Fasti e declino…cit., p. 36, nota n. 15; Idem, Ecclesia Sancti Iacobi…cit. p.  10; G. Arlotta, a cura di, Santiago e la Sicilia, Atti del Convegno Internazionale di Studi, Messina, 2-4 Maggio 2003, Università degli Studi di Perugia, Centro Italiano di Studi Compostellani, Edizioni Compostellane 2008, pp. 358-359). In realtà, non esiste alcun legame tra la dedicazione della chiesa madre di Termini Imerese e S. Giacomo de Maritima di Palermo, la cui croce lignea dipinta fu semplicemente scelta come modello secondo le indicazione del committente, l’arciprete Serio (non Savio come riportato dagli studiosi precitati).

Particolarmente insolito è un rogito del 18 Settembre IIa Indizione 1498 agli atti di notar Antonino de Michele, purtroppo oggi non più reperibile presso il fondo notai defunti della sezione di Termini Imerese dell’Archivio di Stato di Palermo, ma della cui esistenza fa fede il già citato sac. Giuseppe Arrigo. In tale stipula, il reverendo sac. don Bartolomeo di Marco, Vicario foraneo, fece atto di possesso al sac. don Pietro Solìto, in qualità di procuratore dell’Arcivescovo di Reggio, cioé di monsignor don Pietro Isvaglias, dell’arcipretura della parrocchiale chiesa di San Filippo e Giacomo sotto il titolo di San Nicolò e dei benefici ecclesiastici pertinenenti alle chiese di S. Basilio (nel castello), S. Lucia, SS. Salvatore, S. Leonardo (presso S. Caterina Alessandrina), S. Ursula, S. [Antonio e] Arsenio, S. Bartolomeo della città di Termini (cfr. G. Arrigo, Della Chiesa, della Comunia e della Collegiata di Termini Imerese, in L. Boglino, a cura di, “La Sicilia Sacra. Effemeride per la storia della Chiesa siciliana”, III, Tip. Boccone del Povero, Palermo 1901, in particolare, p. 425).

Innanzi tutto, nel rogito, secondo il dato documentario rintracciato dal sac. Arrigo, si ripresenta l’originaria dedicazione ai SS. Filippo e Giacomo che, però, viene associata al titulus di San Nicolò. Quest’ultimo titulus non fu mai dell’antica chiesa madre, bensì di quella nuova posta nella piazza principale della città che, come detto in precedenza, incorporò l’antico luogo di culto di S. Nicolò. La spiegazione più plausibile, allo stato attuale delle ricerche, è che l’antica dedicazione dei SS. Filippo e Giacomo fosse passata, non sappiamo per quanto tempo, a designare la nuova chiesa madre sotto il titolo di S. Nicolò. Tanto più che, tra gli anni 20’ sino a poco dopo la metà del Cinquecento, nella nuova chiesa madre è attestata l’esistenza di un altare dedicato a S. Giacomo (altaris Sancti Iacobi in Majori Ecclesie Thermarum, cfr. G. Arrigo, Su i Comuni…cit., p. 199) di patronato degli eredi di Bartolomeo Lo Ruxaco, appartenente ad una famiglia già documentata a Termini negli anni 70’ del Quattrocento.

Bartolomeo Lo Ruxaco, con testamento in notar Giacomo de Ugo il 13 Giugno Xa Indizione 1522, dispose un legato di messe otto settimanali da celebrarsi nell’altare di S. Nicolò, di cui egli deteneva il patronato assieme ai de Rictio ed agli Ugo. Questi ultimi, ancora nel Seicento mantenevano il patrocinio sulla cappella di S. Nicolò, quest’ultima tuttora esistente in cornu epistolae, in corrispondenza del transetto, dove si leva una grande pala d’altare raffigurante l’apparizione della Vergine col Bambino  nell’atto di donare l’omophórion (lunga stola di broccato bianca decorata con croci da indossare sul collo e sulle spalle facendola scendere lungo la parte anteriore del corpo) al Santo di Myra, effigiato a capo scoperto con addosso gli abiti vescovili: lo stichárion (tunica a maniche lunghe) ed il phelónion (cappa, simile a un mantello o pallio), secondo una tradizione codificata nel X secolo (cfr. N. P. Ševčenko, The Life of Saint Nicholas in Byzantine Art, Centro Studi Bizantini, Bari, Monografie I, Bottega d’Erasmo, Torino 1983, 174 pp., si veda a p. 79). L’opera, probabilmente, fu realizzata post1620, anno in cui papa Paolo V (Camillo Borghese, n. Roma, 17 settembre 1552, m. ivi, 28 gennaio 1621) concedette alla città di Termini le indulgenze  per la festa di S. Nicolò Vescovo (cfr. BLT, ms. ai segni AR a IV 3). L’autore della tela, la cui opera esibisce guizzi protobarocchi, anche se dominano ancora componenti stringatamente manieristiche, nonché ascendenze nordiche, era probabilmente avvezzo alle quadrature scenografiche ed alla realizzazione di apparati effimeri, come lascia intendere l’orchestrazione scenica, rimane sinora ignoto; noi qui proponiamo di designarlo “Maestro dell’Apparizione della Vergine col Bambino a S. Nicola di Myra”.

Da notare che il cognome termitano Lo Ruxaco (Lo Rusciaco), documentato sin dalla seconda metà del Quattrocento, sembra richiamare il toponimo medievale Rusciacum, antico nome dei comuni francesi di Roissy-en-France (dipartimento della Val-d’Oise nella regione dell’Île-de-France, cfr. J. Lebeuf, Histoire de la ville et de tout le diocèse de Paris, 6 voll., VI, Féchoz et Letouzey, Paris 1893, p. 457), Rouessé-Fontaine (dipartimento della Sarthe nella regione dei Paesi della Loira, cfr. L. Beszard, Étude sur l’origine des noms de lieu habités du Maine, Champion, Paris 1910, 374 pp., p. 98), ma anche di Rossy in Svizzera nel cantone di Friburgo, valle della Broye (cfr. A. Chardonnens, Toponymes et sobriquets des villages de la Broye fribourgeoise, 2019, 118 pp.).

Il culto di San Giacomo Maggiore è ben documentato a Termini Imerese nel Cinquecemto. Il 26 aprile Xa Indizione 1507 il pittore Nicolò Pettineo civis thermarum si obbligò a dipingere una tela raffigurante S. Giacomo Maggiore assiso con angeli ai fianchi, e otto storie della sua vita, di palmi 9 incirca di altezza (c. 2,25 m) e palmi 7 incirca di larghezza (c. 1,8 m), per il compenso di onze 4 (cfr. G. Di Marzo, Delle Belle Arti in Sicilia, Di Marzo-Lao, Palermo 1858-62, 4 voll., III, 1862, p. 165, su questo artista si veda pure il nostro recente contributo, cfr. P. Bova, A. Contino, Nuove scoperte. Il cinquecentesco pittore Nicolò “da” Pettineo non era del paese messinese ma cittadino di Termini Imerese, in “Esperonews: Giornale del Comprensorio Termini-Cefalù-Madonie”, Mercoledì, Venerdì, 19 Febbraio 2021, su questa testata giornalistica on-line).

Ignazio De Michele attribuì al termitano Giacomo de Leo, scultore in legno, la statua raffigurante S. Giacomo Maggiore che ai tempi in cui egli scrisse era ancora conservata nella chiesa eponima: «Per somiglianza di stile opino appartenere pure allo scalpello di Giacomo de Leo la statua di s. Giacomo Maggiore scolpita in legno a grandezza naturale esistente nella chiesetta dedicata a detto Santo; ma la suppongo anteriore alle due sopraccitate [commissionate nel 1510], perchè è alquanto tozza, e quantunque vera in tutto l’insieme, pure i capelli, e le pieghe dei panni non sono sviluppati con quella leggiadria come nelle due sopraccennate: nel manto, arabescato d’oro, vi sono dei ritocchi a colore malamente eseguiti» (cfr. I. De Michele, Al Chiarissimo Signor Giuseppe Meli. Sopra alcune pitture e sculture esistenti in Termini Imerese. “La Favilla Giornale di Scienze, Lettere, Arti e Pedagogia”, serie seconda, anno primo, Stabilimento tipografico di Francesco Giliberti, Palermo, 1863, pp. 228-237 e, in particolare, p. 234).

Nel Seicento, il culto di S. Giacomo Maggiore soppiantò ormai definitivamente quello più antico dei SS. Filippo e Giacomo Minore, di cui si era persa totalmente la memoria. Del resto l’architrave dell’ingresso principale, con lo stemma in un cartiglio, esibente la conchiglia capasanta (i Pecten jacoboeus Linné, che i pellegrini raccoglievano sulla battigia atlantica presso Santiago tenendoli come una sorta di taumaturgici souvenirs) sovrapposta alla spada, simboli di S. Giacomo Maggiore, data al primo decennio del Seicento come recita l’epigrafe: «ECCLESIA SANCTI IACOBI / 1 6 1 0», quando era arciprete don Pietro Scarpaci e Ferro, “grande rinnovatore” della chiesa di Termini Imerese (su questo prelato termitano cfr. P. Bova, A. Contino, Termini Imerese fra Cinquecento e Seicento: Flaminio Giancardo il più antico Organista della Maggior Chiesa, in “Esperonews: Giornale del Comprensorio Termini-Cefalù-Madonie”, Martedì, 13 Luglio 2021, su questa testata giornalistica on-line). I lavori di riorientazione dell’edificio di culto, riteniamo possano essere ragionevolmente attribuiti all’architetto civico Antonino Spatafora, in carica in quegli anni. Curiosamente, in G. Mirabella, Ecclesia Sancti Iacobi…cit., pp. 12-13, viene riportata la data 1650 ed è attribuita ai Gesuiti la riorientazione della chiesa, che invece fu completata quaranta anni prima, quando l’ordine ignaziano non era ancora presente a Termini, essendo stato edificato il loro collegio negli anni 1620-27.

Concludendo, le risultanze delle nostre ricerche dimostrano inconfutabilmente che il culto jacobeo a Termini Imerese, si è sovrapposto a quello più antico di S. Filippo di Betsàida e S. Giacomo il Minore, attestato già nel Trecento. Pertanto il culto di S. Giacomo il Maggiore non è affatto così antico come si era creduto sinora, sulla scorta di quanto affermato dal Solìto, poiché le più antiche attestazioni documentarie, a noi note, risalgono agli anni 30’ del Quattrocento, ma la sua definitiva affermazione, con la dedicazione dell’antica chiesa madre, è certa soltanto nel Cinquecento.

Il Seicento sancì la definitiva scomparsa di ogni traccia dell’antichissima devozione della diocesi termitana, legata alla traslazione dei corpi dei SS. Filippo e Giacomo Minore che, come abbiamo  visto in precedenza, furono deposti assieme nella basilica romana dei XII Apostoli, nella seconda metà del VI secolo.

Tra i principali risultati di questa nostra indagini storica vanno annoverati i seguenti: abbiamo dimostrato inconfutabilmente che l’intitolazione originaria dell’antica chiesa madre di Termini Imerese era legata al culto dei SS. Filippo e Giacomo il Minore, non di S. Giacomo il Maggiore, come sinora erroneamente sostenuto; abbiamo definitivamente espunto dalla cronotassi alcuni vescovi che non hanno nessuna relazione con la vetusta diocesi termitana e che, per puro spirito campanilistico, sono stati erroneamente attribuiti ad essa; abbiamo riscoperto ed aggiunto un ulteriore presule termitano, sinora misconosciuto, Sergio, di rito greco; abbiamo smentito del tutto la tradizione storiografica che vorrebbe una presunta consacrazione dell’antica chiesa madre da parte di papa Innocenzo III, nella circostanza di un suo fantomatico viaggio in Sicilia, affatto documentato. E’ tutta un’altra storia, quella che, grazie a decenni di ricerche, andiamo progressivamente dipanando e che, finalmente, va riemergendo dal passato, microstoria che si innesta, come un tassello, nel grande mosaico della macrostoria.

Patrizia Bova e Antonio Contino

Ringraziamenti: siamo molto grati, per l’essenziale appoggio logistico alle nostre ricerche, rispettivamente, nei confronti dei direttori e del personale della sezione di Termini Imerese dell’Archivio di Stato di Palermo e della Biblioteca comunale Liciniana di Termini Imerese. Un ringraziamento personale va a don Francesco Anfuso e a don Antonio Todaro per averci consentito di compiretante ricerche presso l’Archivio Storico della Maggior Chiesa di Termini Imerese. Questo articolo è dedicato alla memoria del compianto prof. Giuseppe Navarra (1893-1991), figura di studioso da non dimenticare e da riscoprire, che tanto ebbe a cuore la salvaguardia dell’ingente patrimonio storico, artistico, archeologico e naturale di Termini Imerese, la nostra vera ed insostituibile ricchezza.

Appendice documentaria

Pietro Sella, Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Sicilia, Studi e testi n. 112, Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano, Roma MDCCCCXLIV, VI+188 pp., in particolare, p. 21.

Apud Termas [sic]

  1. Ecclesie SS. Philippi et Iacobi de eodem loco valent unc. x solverunt pro utraque unc. ii.
  2. Item capellani eiusdem ecclesie solverunt pro duabus decimis unc. i
  3. Presbiter Petrus capellanus eiusdem ecclesie solvit pro utraque tar. xxii ½
  4. Ecclesia S. Antonii et Arseni valet tar. xxii ½ solvit pro utraque tar. xiii, gr. xviii
  5. Ecclesia SS. Quadraginta valet unc. x solvit pro utraque unc. ii, tar. i ½
  6. Ecclesia S. Blasii de eodem loco valet unc. ii solvit pro prima tar. vi
  7. Ecclesia S. Marie de Carruba valet unc. i, tar. xxii ½ solvit pro prima tar. vi.
  8. Ecclesia S. Lucie de eodem loco valet unc. i ½, solvit pro prima tar. iiii.