Auguri alla Camera del Lavoro di Palermo che compie centoventi anni. Fondata nello stesso anno in cui Giuseppe Pellizza da Volpedo terminò la sua celebre opera “Il quarto stato”,
essa ha ispirato e scortato il cammino dei lavoratori palermitani dai conflitti di classe dell’età giolittiana ai conflitti d’interesse del secondo dopoguerra passando per le battaglie sociali e politiche contro il fascismo. Centoventi anni di storia in cui si coglie il riverbero dei grandi momenti biografici del sindacalismo italiano: l’epoca passionale e ideologica della Confederazione Generale del Lavoro (CGdL) e l’epoca razionale e pragmatica della Confederazione Generale Italiana del Lavoro (Cgil), che fu unitaria prima e plurale poi, con la costituzione nel 1950 di Cisl e Uil.
L’inaugurazione della Camera del Lavoro di Palermo avvenne il primo settembre 1901. È possibile rivederne ancora oggi i momenti principali attraverso la cronaca del giornale “Avanti!”, quotidiano del Partito Socialista Italiano, comparsa sull’edizione di lunedì 2 settembre 1901: la sfilata dei «diecimila operai con settanta gonfaloni in via Maqueda diretti al Politeama»; «lo spettacolo commovente, indimenticabile» dei socialisti che al passaggio del corteo gridano «viva la Camera del lavoro e gli operai di Palermo» e «i lavoratori di ogni arte che rispondono alle grida unanimi»; infine la cerimonia conclusiva: «più di ventimila persone sono affollate al Politeama. Massimo ordine. Presiede l’operaio Lombardo, che parla per primo meravigliosamente. Segue il Sindaco Tasca Lanza, applaudito. Accolto da grande ovazione, il compagno Garibaldi Bosco chiude, con un ispirato discorso, l’indimenticabile solennità. Questa sera avrà luogo un grande banchetto operaio».
Dieci anni prima, tra il 1891 e il 1893, altre manifestazioni simili si erano avute a Torino, Piacenza, Roma, Brescia, Firenze, Venezia, Padova e altre città ed era già stato celebrato il primo congresso nazionale delle Camere del Lavoro. Era stato Osvaldo Gnocchi-Viani a fondare in Italia, a Milano, la prima Camera del Lavoro. Nate a fianco delle Società Operaie di Mutuo Soccorso, che spesso aderivano a esse, le Camere del Lavoro studiavano le condizioni generali del lavoro, garantivano la tutela legale dei lavoratori, vigilavano sull’applicazione della legislazione sul lavoro femminile e minorile, servivano d’intermediaria tra l’offerta e la domanda di lavoro, rappresentavano presso le pubbliche amministrazioni i bisogni delle masse operaie e contadine. A queste funzioni iniziali si aggiunsero, dopo le furibonde lotte sociali di fine Ottocento, azioni di resistenza e compiti di sostegno alle mobilitazioni operaie, di direzione delle agitazioni operaie, di promozione della sindacalizzazione mentre si costituivano, proprio tra il 1901 e il 1906, le prime federazioni di categoria e si strutturava per la prima volta in Italia una vera e propria organizzazione sindacale. In quei primi anni del Novecento, dunque, e fino all’avvento del fascismo, aveva preso forma in Italia una vera e propria filiera sociale che schierava in rappresentanza e a sostegno dei lavoratori: Società Operaie, Camere del Lavoro, Sindacato e movimenti politici.
Anche in Sicilia e a Palermo la storia delle Camere del Lavoro seguirà queste tendenze ma con caratteristiche storiche e politiche specifiche e originali ispirate dal singolare contesto siciliano. Del resto, come ha scritto Antonio Gramsci, la Sicilia, dopo cinquant’anni di vita unitaria, dimostrava di avere vissuto una vita propria di carattere più nazionale che regionale. In questo senso la Camera del Lavoro di Palermo, e il Cameralismo siciliano, hanno caratteristiche proprie: a Palermo e in Sicilia le Camere del Lavoro nascono dalla fucina dei Fasci Siciliani dei Lavoratori, dalle lotte fascianti represse nel sangue, dalla visione sociale e politica, culturale ed economica di personalità come Rosario Garibaldi Bosco, Bernardino Verro, Nicola Barbato. È in questa fucina che si temprano le nuove generazioni che si pongono alla testa del movimento dei lavoratori, ben rappresentate da Giovanni Orcel nelle fabbriche e Nicolò Alongi nelle campagne; entrambi animatori della Camera del Lavoro di Palermo, impegnati teoricamente e praticamente a propugnare il conflitto. Altro ma non secondario elemento distintivo è che la Camera del Lavoro di Palermo, a differenza delle Camere del Lavoro d’Italia, deve fronteggiare non soltanto il padronato ma anche la mafia, volenterosa carnefice del padronato stesso. Il tragico destino di Orcel e Alongi è, anche in questo caso, emblematico.
Questi tratti storici specifici, tipicamente siciliani, della Camera del Lavoro di Palermo e del Cameralismo siciliano sono ben evidenziati dalla storiografia siciliana: i volumi di Renda, Marino, Ganci, Brancato; l’opera di Casarrubea e di Oddo; gli studi di Paternostro; le ricerche di Francesco Petrotta, curatore di una monografia intitolata «Cronache della fondazione della Camera del Lavoro di Palermo». La produzione editoriale stessa della Camera del Lavoro di Palermo è portatrice di una connotazione gramscianamente particolare: «Le condizioni dei lavoratori in un grande stabilimento industriale: il Cantiere Navale di Palermo» (1958); «La condizione operaia nell’industria palermitana» (1959); «Storia della Camera del Lavoro di Palermo: lotte operaie e contadine nel primo ventennio del secolo» (1981).
Dopo gli auguri, quale auspicio trarre dalla celebrazione di questi centoventi anni di storia, dato che il ricordo senza una prospettiva corre il rischio d’isterilirsi, come avvertiva Leonardo Sciascia, in una «cosa solennemente morta»?
La Camera del Lavoro fu fondata nel 1901, l’anno del primo autunno caldo, come l’ha definito Pippo Oddo in un suo recente saggio; il 1901 è anche l’anno di fondazione della Fiom e della Federterra, che a Palermo e in Sicilia portano il nome di Orcel e Alongi, i quali si battevano materialmente per unire in un fronte unico e unito operai e braccianti per dare una svolta e nuovo slancio vitale al conflitto sociale. Nell’odierna realtà, che vede ripiombare i lavoratori e le lavoratrici nelle condizioni di ceto subalterno, il lavoro in merce, con una legislazione sociale smantellata e i diritti sociali annichiliti, è tempo di rilanciare l’unitarietà nel conflitto: in ogni posto di lavoro, in ogni istituzione ove vi sia una rappresentanza di lavoratori, in ogni piazza. Non è a rischio solo l’eredità sociale del passato ma anche le poche conquiste del presente e il diritto a un futuro di giustizia sociale.
Michelangelo Ingrassia