Nella casa della signora Franca, compagna di sempre dello scultore Gesualdo Prestipino, si trovano opere d’arte dappertutto:
appesi ai muri, sugli scaffali, accanto ai divani e posate sul pavimento. Un’esplosione di forme, disposti con sapiente volontà per precisi itinerari visivi. Sono racconti mirati per immergersi nei vari percorsi storici che il Maestro ha realizzato nella sua lunga carriera.
Nate una dopo l’altra sulle sponde del lago di Pergusa in questa casa laboratorio, dove il Mito Classico risiede, Gesualdo Prestipino ha saputo modellare e addomesticare negli anni la creta, la pietra, il bronzo e qualsiasi altro materiale con cui si è voluto cimentare: “Li ho piegati e plasmati per anni affinché le mie visioni prendessero forma”.
Compiendo questa operazione negli anni ha varcato il confine della figurazione classica, senza rinnegare il periodo accademico, gli anni delle denunce sociali e quelli dedicati alla mitologia. Afferma con umiltà che di quegli anni ne ha fatto grande tesoro, un patrimonio tecnico e gestuale che l’ha usato non come fine ma come punto di partenza per espressioni sempre più ardui e impegnativi. “Realizzare oggi – ci dice il maestro – per me una scultura è un atto normale, nasce quasi sempre dopo una motivazione, si annida nella mia mente e mi lancia la sfida. Così nascono bozzetti che butto giù a qualunque ora del giorno. Nascono segni impossibili che creano forme plastiche in conflitto con gli equilibri statici noti”.
Cubi, sfere, cilindri e grovigli verticali si susseguono. Le forme, sfidano i materiali e le dimensioni, hanno il bisogno di esaltare la ricerca, che si pone al servizio di una estetica pura, allo stimolo emozionale e alla necessità di farsi contemplare da ogni posizione si osservi, affinché ogni osservatore può farla sua, in modo classico, drammatico o contemporaneo.L’opera è concettuale, assume sempre una nuova dimensione è in un dialogo costante con l’osservatore, la sua staticità come peso della materia riposta in un luogo definito si è persa, le forme realizzate si impadroniscono della luce, del colore e dello spazio. Le fasce, segno di riconoscimento delle opere del Maestro, si dilatano, s’innalzano e si piegano su se stessi, un groviglio di forme, in un’armonia di movimenti che si proiettano nella dimensione circostante: “l’opera non può essere circoscritta pretende di essere un opera di land art, vive del panorama della sua ombra e coinvolge l’osservatore in gioco di trompe-l’oeil”.
L’artista possiede un’assoluta padronanza tecnica, domina la prospettiva, la staticità e la meticolosità del dettaglio delle sue opere. Le nuove forme che ha creato in questi ultimi decenni sono una sorta di scenografia volta ad inglobare in maniera attenta elementi funzionali con l’architettura del luogo in cui viene collocata l’opera stessa. Nel contempo cerca di superarne i limiti in un sottile gioco di rimandi tra realtà e illusione percettiva, nella quale l’uomo moderno si perde e perde a sua volta le limitazioni imposte dal mondo: “l’occhio è attirato – ci dice – da qualunque cosa che riconosce, lo legge e lo elabora. Dolci illusioni ottiche, la nostra mente è portata a formarsi delle idee in virtù delle nostre conoscenze e delle ipotesi su come è organizzato il mondo e quindi associa, i nostri occhi osservano ma la nostra mente può esserne ingannata”.
Intricato meccanismo culturale in cui si radica la ricerca e l’innovazione artistica di un giovane scultore alle soglie del suo 88° compleanno. Tanti auguri Maestro.
Giuseppe Meli