Nel Settecento, i fratelli Caruso Alimena furono i primi veri storici di Polizzi Generosa, oggi comune della città metropolitana di Palermo, nel cuore delle Madonie.
Ci riferiamo allo storico Giambattista (Polizzi Generosa, 27 Dicembre 1673 – ivi, 8 Ottobre 1724) e all’erudito Francesco (Polizzi Generosa, c. 1679/80 – Palermo 17 Maggio 1750), figli di Placido Caruso (m. 12 Novembre 1679) e di Anna Maria Alimena. Essi appartennero ad una casata, nobilitatasi con Giuseppe senior, che acquisì il titolo baronale per l’acquisto del feudo di Fioreni o Xiureni (oggi vallone, contrada e masseria Xireni nel territorio di Castellana Sicula), mentre il nipote (Antonio) Giuseppe junior, comprò il titolo di principe di S. Domenica e ne ricevette l’investitura il 30 Novembre 1689 (cfr. G. Bertini, Ab[ate]. Gio[van]: Battista Caruso, in G. E. Ortolani, Biografia degli uomini illustri della Sicilia, ornata de’ loro rispettivi ritratti, Gervasi, Napoli MDCCCXVII-MDCCCXXI, 4 voll., III, MDCCCXIX, pp., ci piace riportare il ritratto di Giambattista Caruso estratto da detta biografia; M. Del Giudice, Relazione / del carattere / del fu signor Abbate / D[on]. Gio[van]. Battista / Caruso, in “Archivio storico siciliano”, n. s., XXIII, 1898, pp. 209-218; G. B. Carini, I tempi, la vita, le opere di Giovan Battista Caruso, Noto 1925; M. Condorelli, Giovan Battista Caruso e la cultura del suo tempo, in “Archivio storico per la Sicilia Orientale”, anno LXX, 1974, fasc. II-III, pp. 343-356; Idem, Caruso, Giovan Battista, in “Dizionario biografico degli italiani”, d’ora in poi DBI, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, vol. 21, 1978, pp. 10-15, ad vocem). Da notare che il compianto Mario Condorelli (Catania, 16 luglio 1933 ivi, 18 giugno 1985), giurista e docente universitario, nella detta voce sullo storico polizzano inserita nel DBI sostenne che «la famiglia» Caruso di Polizzi sarebbe stata «appartenente a un antico ceppo trapiantatosi da Napoli in Sicilia nel Trecento e ben presto nobilitato», ma tale affermazione, allo stato attuale delle ricerche, non è supportata da riscontri documentari che attestino il collegamento genealogico con l’omonima casata medievale, pur esibendo la medesima insegna araldica.
La miscellanea manoscritta settecentesca, opera dei due studiosi polizzani è intitolata: Notizie varie appartenenti alla città di Polizzi, libri tre. Nel primo dei quali si parla dell’antichità di essa prima della venuta di Cristo; nel secondo, dei principali successi dal tempo dei Normanni sino al presente; e nell’ultimo delle chiese, pitture e lapidi, delle famiglie nobili, delle sedie dei giurati dal secolo XV sino al presente, e di varie altre cose appartenenti ad essa città, raccolte da Giovan Battista e da Francesco Caruso dei Baroni di Xiureni, nobili di essa, e cittadini palermitani. L’imponente raccolta manoscritta dei fratelli Caruso è rilegata in due grossi tomi, che si conservano nella Biblioteca comunale “Leonardo Sciascia” di Palermo (d’ora in poi BCP), ai segni Qq F 45-46. L’opera, frutto di un cospicuo lavoro di ricerca archivistica, è una vera “miniera” di documenti e notizie, che solo parzialmente possono essere rintracciate in altre fonti a stampa, sulle vicissitudini storiche dell’antichissima ed importante cittadina madonita, come già attestavano i rinvenimenti archeologici fortuiti, nel corso del Seicento e degli inizi del Settecento, rammentati dai due studiosi polizzani (cfr. P. Bova. A. Contino, Geomorfologia ed Archeologia nelle Madonie: l’esempio di Polizzi Generosa tra Antichità e Medioevo, “Esperonews”, 16 Gennaio 2020, on-line su questa testata giornalistica).
Consultando in passato il primo tomo delle già citate Notizie varie appartenenti alla città di Polizzi, al f. 395r (vecchia numerazione a matita: f. 372, recto), abbiamo rintracciato e scoperto la trascrizione di un documento ufficiale cinquecentesco, promulgato dagli amministratori civici (giurati) del tempo, datato 11 Ottobre Xa Indizione 1551, che riteniamo particolarmente emblematico per gli aspetti storico-ambientali di Polizzi Generosa. Nell’apposita appendice documentaria, il lettore troverà nella sua interezza la trascrizione che abbiamo fatto di tale atto giuratorio (avendo avuto cura di sciogliere le abbreviazioni), mantenendo intatto il linguaggio (che oscilla tra il latino notarile ed il vernacolo siciliano) e l’ortografia originale, compresi gli eventuali errori. Il documento si connota anche per la sua valenza linguistica, costituendo una testimonianza tangibile del siciliano e, nella fattispecie, del polizzano, del Cinquecento, sia pure nella sua forma scritta burocratica.
Si tratta di un Bando et Comandamento da parte dei Magnifici Giurati della città (Citati) di Polizzi, emesso per ordine dello Spettabili et Excellenti Signori, Baldo Granata, dottore in entrambi i diritti (Utriusque Iuris Doctor), maestro Giurato del Regno di Sicilia. Come ha sottolineato Carmelo Trasselli, il Maestro Giurato, già a metà del Quattrocento non eseguiva più il suo compito centrale di vigilare sulla gestione delle amministrazioni locali dei Giurati (cfr. C. Trasselli, L’Archivio del patrimonio del Regno di Sicilia. Prima nota su un riordinamento in corso, “Notizie degli Archivi di Stato”, a. XIV, n. 3, Settembre-Dicembre 1954, parte seconda, Roma 1954, pp. 106-127).
Rammentiamo che il giurisperito Baldo Granata di Pietro, di antica casata messinese che si ritiene originaria della Spagna, fu l’autore dei motti inseriti nei fregi che ornavano i cinque grandi archi trionfali messi in opera a Messina per il solenne ingresso, addì 21 Ottobre IXa Indizione1535, dell’imperatore Carlo V d’Asburgo (I come re di Sicilia), di ritorno dalle sue imprese in nord Africa, mentre il pittore Polidoro Caldara (Caravaggio, c. 1499/1500 – Messina, 1543) si occupò della progettazione (di cui rimangono schizzi e disegni) e l’architetto e scultore Domenico da Carrara della parte scenica (cfr. D. Ciccarello, Trinacria in giubilo. Entrate regali e cerimonie solenni in relazioni e avvisi a stampa siciliani tra Cinque e Settecento, in S. Inserra, a cura di, Per libri e per scritture. Contributi alla storia del libro e delle biblioteche nell’Italia meridionale tra XVI e XVIII secolo, Università degli Studi di Catania, Dipartimento di Scienze Umanistiche, Ledizioni, Milano 2018, pp. 127-150, in particolare, p. 131; M. Craparo, a cura di, 21 Ottobre 1535: L’ingresso di Carlo V a Messina, “Lexicon”, n. 5-6/2007-2008, pp. 96-103).
Il Bando et Comandamento del giorno 11 Ottobre Xa Indizione 1551, disponeva che, all’atto della sua promulgazione, fosse assolutamente proibito a chiunque di gettare stallatico (fumeri, cfr. francese fumier), materiali antropici derivanti da scavi o demolizioni (terra), immondizia (mundiza) ed altre lordure (bruttizi), nel piano (chiano) posto (posito) tutto intorno (in circuitu), ovvero (seu) nella parte retrostante (in parti dareri) la maggior chiesa (maiuri ecclesia) di detta città (di ditta Citati). Il Bando et Comandamento, disponeva che, entro e non oltre il quindicesimo giorno (infra di giorni quindici) dalla sua emissione, coloro che erano responsabili di avervi gettato (quilli li quali ci hanno gittato) o fatto gettare (oi fatto gittari) tali sozzure (li ditti bruttizi), dovevano (digiano) a loro spese (à loru spisi), mondare (annettari), in modo che (Ita chi) il piano (lo chiano) ritorni nelle condizioni precedenti (di lo modo et forma chi era primo) alla discarica. I trasgressori saranno tenuti al pagamento della multa (la pena) di onze tre (unzi tri), da versarsi al regio fisco ed onza una al detto Spettabili maestro Jurato. La norma, quindi si fondava sul concetto che, chi sporcava, doveva pulire. L’atto giuratorio, d’ordine degli amministratori, fu notificato ad opera di un certo Francesco Sillaro, qualificato nel documento come usciere comunale (Servente). Quest’ultimo, dovette curare l’affissione pubblica del Bando et Comandamento e l’affidamento ad un apposito banditore civico, figura professionale che, indiscutibilmente, era il vettore basilare nella trasmissione dei messaggi delle autorità civiche, in un contesto di popolazione molto esigente che, nonostante il generalizzato analfabetismo, chiedeva un governo equo, basato sul bene comune. I banditori, figure così importanti nella gestione delle informazioni, sono state oggetto di studi soprattutto da parte della storiografia francese (cfr. X. Nadrigny, Information et opinion publique à Toulouse à la fin du Moyen Âge, École des chartes, Paris 2013, 502 pp.; D. Lett, N. Offenstadt, Haro ! Noël ! Oye ! Les pratiques du cri au Moyen Âge, 19 janvier 1999, CNRS de Villejuif et 29 février 2000, Institut Universitaire de France, Éditions de la Sorbonne, Paris 2003, 248 pp.). In Sicilia, erano veri e propri pubblici ufficiali, che avevano il compito di eseguire le sentenze e far conoscere il contenuto dei bandi emanati dalle autorità locali e viceregie, in modo da portarli non solo a conoscenza degli abitanti, ma dando loro il crisma di ufficialità, di effettività e di ampia diffusività, attraverso la trasmissione a voce. Questi personaggi, soprattutto nelle festività e nelle giornate di mercato, in corrispondenza degli orari di maggiore attività della popolazione, girava per le vie, i crocevia e le piazze cittadine, attirando la folla a suon di tamburo e trombetta, fermandosi poi, proprio nei punti più favorevoli, dove, modulando la voce in funzione degli spazi nei quali doveva parlare, ed a seconda del tono più o meno solenne richiesto, declamava i bandi. Il banditore pubblico si esprimeva utilizzando espressioni verbali codificate, ripetute più volte, generalmente come preambolo, come l’imperativo sintiti! (udite!), che generalmente precedevano l’esposizione delle ordinanze civiche.
Non risulta, allo stato attuale delle ricerche, se il Bando et Comandamento relativo alla discarica abusiva nel piano di S. Maria Assunta o di S. Maria Maggiore, sia scaturito da qualche reclamo o segnalazione da parte dell’autorità ecclesiastica. Certo è, invece che siamo a conoscenza di una precedente attestazione del problema dell’immondizia nella cittadina madonita, che la accomunava a molti altri centri abitati siciliani, non solo demaniali, ma anche feudali. Nei capitoli del parlamento siciliano del dicembre 1518, come ebbe a scrivere il compianto storico siciliano Carmelo Trasselli (Palermo, 15 settembre 1910 – ivi, 9 marzo 1982), si legge che Polizzi era abitata da molti gentiluomini e persone onorate, molto popolata, luogo di passaggio di Viceré e della corte, ma afflitta dal problema dell’immondizia e per tale motivo si auspicava un incremento delle penalità e l’obbligo per ciascuno di fare «officinam et privatam» [cfr. C. Trasselli, Da Ferdinando il Cattolico a Carlo V: l’esperienza siciliana, 1475-1525, 2 voll., Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 1982, 818 pp., in particolare, I, pp. 245]. Ricordiamo che il lemma siciliano privata o privascia significa “fognatura” (cfr. A. Traina, Vocabolario siciliano-italiano, G. Pedone Lauriel, Palermo 1868, p. 763), come del resto appare anche in altri linguaggi romanzi (latino, privantiae, francese privaise, spagnolo, privada, cfr. L. Milanesi, Dizionario Etimologico della Lingua Siciliana, Mnamon, 2015, 2 voll., 1820 pp., ad vocem). Agli inizi del Cinquecento, la situazione igienico-sanitaria della cittadina madonita non doveva essere particolarmente rosea, come appare dalla relativa crudezza di queste testimonianze documentarie. Le autorità, non tolleravano più la mancanza d’igiene all’interno del recinto murario urbano, portando avanti una politica di decoro ambientale attraverso ad un’opportuna razionalizzazione igienica della cittadina demaniale, visto anche il rischio della proliferazione delle malattie infettive, che avrà poi un fatale riscontro nella pestilenza del 1575-1576.
Soprattutto dopo la peste nera del 1346-1348, che decimò la popolazione europea, nacque una maggiore consapevolezza delle autorità civiche verso l’inserimento di misure igieniche negli statuti civici e di norme volte alla repressione ed al sanzionamento dei contravventori. In Sicilia non mancano esempi anteriori all’immane epidemia, come appare nei capitoli di Palermo (Capitula edita per universitatem Felicis Urbis Panormi), datati 3 Novembre XIVa Indizione 1330, regnando Federico III d’Aragona e II di Sicilia, che prevedevano l’esistenza di un apposito ufficiale, detto mastro de la mundiza, che aveva il compito di sovrintendere alla pulizia della città (cfr. M. Del Vio, Felicis, et fidelissimæ urbis Panormitanæ selecta aliquot ad civitatis decus, et commodum spectantia privilegia per instrumenta varia Siciliæ a Regibus, sive Proregibus collata, Cortese, Panormi MDCCVI, 1224 pp., nello specifico, pp. 110-113). Le stesse consuetudini trecentesche di Polizzi, rispecchiano una prima codifica di norme che regolavano alcune problematiche relative all’igiene, come ad es. contrastando un uso improprio delle fonti idriche pubbliche (pozzi e fontane), ed attestano l’esistenza dei appositi ufficiali all’annona, gli acatapani o maestri di piazza (cfr. A. Flandina, Statuti ordinamenti e capitoli della città di Polizzi, in documenti per servire alla storia di Sicilia, Società’ Siciliana per la Storia Patria, II serie, fonti del diritto siculo, vol. I, fasc. III, pp. 235-286, Amenta, Palermo 1884). Queste problematiche ambientali, legate allo smaltimento dei rifiuti urbani, furono oggetto di normativa anche in altre aree italiane ed europee [cfr., ad es., J. C. Wylie, The Wastes of Civilization, Faber, London 1959, 160 pp.; R. Mucciarelli, L. Vigni, D. Fabbri, Vergognosa immunditia. Igiene pubblica e privata a Siena dal medioevo all’età contemporanea, Nie, Siena 2000, 224 pp.; E. Sori, La città e i rifiuti. Ecologia urbana dal Medioevo al primo Novecento, Il Mulino, Bologna 2001, 358 pp.; D. Biow, The culture of Cleanliness in Renaissance Italy, Cornell University Press, London 2006, 280 pp; L. Pinna, Autoritratto dell’immondizia. Come la civiltà è stata condizionata dai rifiuti, Bollati Boringhieri, Torino 2011, 282 pp.).
Nelle cittadine medievali, il materiale stoccato in discarica era spesso la somma di varie aliquote. Gli scarti delle preparazioni casalinghe di cibo erano in gran parte riutilizzati in cucina, e, quindi, vi erano ben pochi sprechi. Una frazione basilare dei rifiuti che derivava dall’attività antropica domestica, era essenzialmente costituita da oggetti resi inutilizzabili, essendo ormai non più riparabili, soprattutto ceramiche acrome o invetriate, ed altri oggetti di uso domestico; a seguire le deiezioni antropiche (in mancanza di una rete fognaria o di pozzi a perdere, erano spesso buttate all’esterno delle abitazioni o nei canali di scolo o direttamente nei torrenti) e quelle degli animali domestici o da cortile, che erano una fonte di letame (che poteva essere riutilizzato per la concimazione). Tra gli scarti produttivi vi erano spesso anche le vinacce, o la morchia, rispettivamente residui dei processi di vinificazione e di molitura delle olive, mentre particolarmente controllati erano quelli derivanti dalla macellazione (che di regola doveva avvenire in apposite strutture, anche se sottobanco non mancavano casi di attività illecite). Una serie di rifiuti erano generati dai processi produttivi legati alle varie attività artigianali e manifatturiere, alcune delle quali, essendo particolarmente dannose, dovevano essere svolte obbligatoriamente fuori del perimetro urbano, secondo norme che erano state emanate già in epoca sveva (le Costituzioni di Melfi firmate da Federico II di Svevia nel 1231, il primo vero corpus giuridico per la tutela della salubrità delle città). Infine, gli spazi urbani esterni alle abitazioni erano spesso ingombri di melma, letame e strame, nonché da reflui vari.
I depositi antropici derivanti da antiche discariche costituiscono oggi un vero e proprio “giacimento” di informazioni importantissime per una chiave di lettura di un passato più o meno lontano e per una migliore e più puntuale ricostruzione delle condizioni di vita e delle abitudini della popolazione che le ha prodotte, inserendole anche nel contento ambientale del tempo. Questi depositi geo-archeologici sono oggetto di studi a carattere eminentemente interdisciplinare e multidisciplinare che richiedono il coinvolgimento di varie figure esperte in diverse discipline nel campo delle scienze della natura e di quelle storiche (cfr., ad es., C. Mazzeri, a cura di, Le città sostenibili. Storia, natura, ambiente. Un percorso di ricerca, Angeli, Milano 2003, 400 pp,; M. Marini Calvani, A. R. De Marchi, Ventidue secoli a Parma. Lo scavo sotto la sede centrale della Cassa di Risparmio in piazza Garibaldi, British Archaeological Reports, Oxford 2012, 318 pp.; M. Milanese, V. Caminneci, M.C. Parello, M.S. Rizzo, E. Pezzini, a cura di, Dal butto alla storia. Indagini archeologiche tra Medioevo ed età Moderna, Atti del Convegno di Studi, Sciacca-Burgio-Ribera, 28-29 marzo 2011, in “Archeologia Postmedievale”, 16 (2012), All’Insegna del Giglio, 2014, pp. 13-179].
Concludendo, rimarchiamo che l’estensione areale del grande piano della chiesa madre di Polizzi, come doveva mostrarsi allorché fu oggetto del provvedimento giuratorio cinquecentesco, è oggi poco percettibile a causa di notevoli modifiche morfologiche avvenute in tempi successivi. La parte retrostante di detto piano, cioè quella ubicata dietro l’antico coro dell’altare maggiore della chiesa madre medievale, infatti, scomparve del tutto essendo stata incorporata nel perimetro dell’edificio ecclesiastico, per l’ampliamento tardo-settecentesco dell’area absidale che oggi si estende a limitare della Via Ruilla; ciò avvenne a seguito di una fase di “rinnovamento” (leggi: smantellamento) iniziata nel 1764, su progetto di Gandolfo Felice Bongiorno (1722-1801), architetto gangitano (Cfr. V. Abbate, Inventario polizzano. Arte e società in un centro demaniale del Cinquecento, Grifo, Palermo 1992, p. 95). Nel 1890, una porzione di detta spianata, antistante l’ingresso centrale della chiesa, fu tagliata ed abbassata al fine di rendere meno acclivi le contigue vie Cardinale Mariano Rampolla e Roma, modificandole altimetricamente. A testimonianza di ciò rimane un’ulteriore gradinata che fu aggiunta alla scalinata della Maggior Chiesa, essendo le due rampe separate da un pianerottolo, la cui quota corrisponde al piano di calpestio antecedente ai lavori di scavo. L’archeologa polizzana Nina Sardo Spagnuolo (Salerno, 12 Febbraio 1907 – Polizzi Generosa, 4 Giugno 1977, cfr. F. G. Polizzi, Nina Sardo Spagnuolo, in M. Fiume, a cura di, Siciliane, Dizionario Biografico, Romeo, Siracusa 2006, 1040 pp., nello specifico, pp. 849-851) attesta che proprio durante questi lavori di sbancamento vennero alla luce le tracce di inumazioni di epoca punica che la studiosa attribuì ad una necropoli (cfr. N. Sardo, Documenti archeologici, “Archivio Storico per la Sicilia”, vol. IX, Palermo 1942, estratto, 14 pp.). Il recente rinvenimento di ceramica indigena nell’area della Maggior Chiesa (saggi archeologici, Dicembre 2013 e Febbraio 2014, cfr., R. M. Cucco, Novità sull’Archeologia a Polizzi Generosa: gli scavi nella Chiesa Madre, in G. Marino, R. Termotto, a cura di, “Arte e storia delle Madonie. Studi per Nico Marino”, vol. VI, Cefalù 2018, pp. 49-59), conferma, indirettamente, l’antica frequentazione ed utilizzo di questa area pianeggiante, ubicata non lontano dalla culminazione topografica del sito, l’antica acropoli, sulla quale si ergono ancora nella loro imponenza le rovine del Castello, strategicamente giganteggianti a guardia della pittoresca vallata del fiume Imera settentrionale.
Patrizia Bova e Antonio Contino
Ringraziamenti:
vogliamo manifestare la nostra più sincera riconoscenza, per la consueta disponibilità, al direttore ed al personale della Biblioteca comunale “Leonardo Sciascia” di Palermo.
Appendice documentaria
Bando dei Magnifici Giurati della città di Polizzi relativo alla discarica abusiva nel piano della Maggior Chiesa, addì 11 Ottobre Xa Indizione 1551, in G.B. e F. Caruso, Notizie varie appartenenti alla città di Polizzi, libri tre, tomo I, ms. BCP ai segni Qq F 45, f. 395r [vecchia numerazione a matita: f. 372, recto],
1551 11 O[tto]bre
Die Undecimo Ottobris decimę Ind[itionis] 1551 / Bando et Comandamento da parti di li mag[nifi].ci Jurati dila [sic] Citati di Polizzi per / ordinationi et comand[amen].tu dilo [sic] Sp[ettabi].li et Exc[ellen].ti Sig[no].ri lo Sig[no].ri Baldu Granata U[triusque]. I[uris]. D[octor]. / m[aest].ro Joratu di lu Regno di Sicilia ad ogni persuna di qualsivoglia statu gradu et condicioni si sia, chi di za Innanti non digiano ne presumano gittari fu=/meri, terra, mundiza ed altri bruttizi in lo chiano posito in circuitu seu in parti dareri la maiuri ecclesia di ditta Citati, et quilli li quali ci hanno git=/tato oi fatto gittari infra di giorni quindici à [sic] loru spisi li ditti bruttizi / incontinenti digiano annettari et gittari Ita chi rimanga lo chiano di lo / modo etforma [sic] chi era primo [sic], et si forsi faranno lo contrario siano tenuti / àla [sic] pena di unzi tri di applicarisi allo regio fisco et unza una à [sic] la commoditati di ditto Sp[ettabi].li m[aest].ro Jurato, et de promulgatione dicti bandi, Constat / per Franciscum Sillaro Ser[ven].te.