Termini Imerese, sulla rimozione della lapide dei partigiani dal cimitero cittadino. Lettera alla redazione di Esperonews

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Che il Consiglio comunale di Termini Imerese, a fronte degli enormi e drammatici problemi della città, si occupi della rimozione della lapide dei partigiani termitani dal cimitero cittadino (in altro luogo non precisato),

potrebbe apparire una delle tante distrazioni dell’opinione pubblica da parte di chi, per quotidiana prassi politica, ha fatto del rumore mediatico il paravento quotidiano al vuoto di proposte, alla ridda delle contraddizioni e alla paralisi del Comune. Bisogna tuttavia non lasciarsi ingannare: la mossa del consigliere Sciascia risponde alla precisa strategia di un partito che lavora da tempo alla demolizione dei fondamenti storici e valoriali di questa Repubblica. Per questo motivo non sorprende la motivazione “religiosa” della mozione: la religione, si sa, insieme alla difesa di facciata di una serie di “valori” sistematicamente contraddetti dai molti comportamenti di fatto, è stata furbescamente inserita dalla destra più retriva nel repertorio di suggestioni destinate alle viscere di certi elettori, più che al loro cervello. Su questo non mi attardo, visto che sulle esibizioni e dichiarazioni cristianamente devote dei leader di Lega e Fratelli d’Italia sorridiamo tutti  (con amarezza) quasi quotidianamente. Preferisco invitare i consiglieri che hanno votato la mozione, e quelli che si sono astenuti, a una semplice considerazione: e cioè che per essere inumati al cimitero di Termini, i nostri defunti non hanno compilato alcun questionario preliminare sulle loro opzioni in tema di religione: atei, credenti, agnostici o fedeli di altre confessioni vi sono ugualmente accolti e dunque, a meno che i nostri illuminati consiglieri non vogliano trasferire altrove i resti di chi non era cattolico, il cimitero rimane un luogo dove le discriminazioni (su cui peraltro va riconosciuta alla destra una tradizionale e ininterrotta competenza) sono sconcertanti o ridicole. Peraltro i nomi di quei partigiani o Internati militari nei campi di concentramento nazifascisti corrispondono in larga parte a concittadini seppelliti in quel luogo, ed è probabile che, come molti partigiani o IMI, fossero anche cattolici e praticanti. La  ragione del fastidio di  Sciascia e degli altri quattro consiglieri non è quindi  (ovviamente) religiosa, ma chiaramente politica, ed è volta a offendere e mortificare la memoria di chi a combattuto per i principi di libertà, uguaglianza e giustizia sociale scritti indelebilmente nell’articolo 3 della Costituzione: quell’articolo sull’uguaglianza di dignità e di diritti di qualunque essere umano che i neofascismi, in tutte le loro metamorfosi e reincarnazioni, vedrebbero volentieri abolito prima e più della dodicesima disposizione della Carta. Quanto alla sacralità, da sempre a tutti i popoli e in tutte le culture, è sacro  il nome di chi ha combattuto e sofferto per la libertà: è l’unica sacralità che la Repubblica riconosce, nel profondo ma equidistante rispetto da tutte le convinzioni e le fedi che non ne minaccino i fondamenti etici e giuridici. Per questi motivi la mozione votata ieri in Consiglio da una risicatissima maggioranza, e con l’ignavia degli astenuti, rimarrà come un’onta per questa città e un’offesa per i morti di quella lapide. Chi ne è responsabile ha un solo modo di riparare: trasferire la lapide, arricchita dei nomi dei numerosi altri partigiani e internati scoperti in questi anni, in una collocazione più degna per chi tanto ha meritato per la sua Patria e per il suo luogo di origine. Il resto, dicevo, è rumore: destinato a gonzi e gregari.
Fausto Clemente