Il Presepe, un momento romantico che commuove l’anima di chi lo contempla

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E’ un giorno come tutti gli altri ancora lontano dai giorni di festa del Natale, ma la frenesia del quotidiano, del vivere in città, ti costringe a correre a distrarti a isolarti.

Ciò che devi completare ti assilla soprattutto quando sei al volante della tua auto, poi per non farti mancare niente, piove. Il traffico ti intrappola, incolonnato e armato di pazienza non infinita, mi rassegno. Guardo dal finestrino, la strada è in periferia, la costeggiano antiche case patronali, stretti marciapiedi e muri bassi da confine. Un metro dopo l’altro si va avanti fino a quando il mio sguardo incrocia una statuetta da presepe in terracotta, in buono stato, una di quelle dei nostri nonni. E’ abbandonata al suo destino su uno di questi muretti, sembrava smarrita, fuori dal suo contesto, in bilico tra il frantumarsi se cade o salvarsi se viene presa. Il personaggio mi appare come uno che ha bisogno di aiuto che non merita l’abbandono, credo che ha ancora molto da raccontare, per un attimo non piove più, apro lo sportello lo prendo e lo porto via con me. Penso che troverà casa insieme agli altri pastorelli, l’avvolgo in un fazzoletto di carta sperando che l’acqua non sciolga i colori e continuo per la mia strada.
Ciò che ho scritto di seguito, per la parte storica, è stato tratto dai libri: I Colori del Tempo, Il Presepe Colto,  Presepi di Caltagirone e vari articoli pubblicati in riviste o quotidiani. Per la parte narrata ho fatto ricorso alla mia memoria è ho cercato di ricordare le parole del nonno materno.
Nella Chiesa cattolica il Natale è preannunciato dalle feste di San Nicola e di Santa Lucia. Tra il 5 e 6 dicembre, in Italia ed in diversi paesi del Nord Europa, già da tempo, per i bambini è una lunga notte, aspettano i doni.
Dopo cena, lasciavamo avvolto in un panno sulla tavola della cucina ornata da una bella tovaglia bianca e da candele che profumavano d’incenso, della frutta e del pane fresco. Sopra al fagotto si riponeva una lettera di buoni propositi. Con le mie sorelle si andava a letto presto, altrimenti l’asinello e San Nicola non sarebbero entrati nella nostra casa. Abitavamo a Napoli un po’ fuori città, in una residenza estiva, la casa era su due piani, la cucina in basso e i nostri letti al primo piano. Dovevamo fare silenzio se volevamo sentire l’arrivo del Santo. Si stava svegli e muti distesi in un letto, tutti attenti e in attesa, ma in tanti anni ci siamo addormentati sempre prima. In altri posti la festa e i doni giungevano il 13 dicembre per Santa Lucia.
La carica simbolica di queste feste è grande, sono essenziali i doni, la luce e il pane donato, preannunciano la discesa dal cielo del Salvatore. Queste allegorie trovano ampio riscontro nel  presepe e la prima rappresentazione è attribuita a San Francesco d’Assisi. La comunità cristiana  l’arricchì nel tempo di tutti i personaggi del racconto evangelico e anche la chiesa d’oriente contribuì alla scenografia. Così i Maggi, la luminosa stella cometa, la umile grotta, il Bimbo in fasce nella mangiatoia, il bue, l’asinello, gli angeli, la Madonna e il suo sposo, diventano tutte figure allegoriche essenziali per una rappresentazione storica e una emotiva narrazione. Questo lieto evento enfatizzato dai racconti popolari e dalla narrazione dei vangeli apocrifi esalta lo stupore dei personaggi che vivono la sospensione del tempo e l’incanto della nascita di Gesù. Scene che ci infondono un profondo desiderio di poter vivere anche noi quella notte.
La fede cristiana ha basi comuni con quella contadina, popolare, astronomica e profetica,  nelle religioni arcaiche, il 25 dicembre si celebrava la nascita del sole e si accendeva in quel giorno del fuoco in segno di festa, niente differenze sociali ma scambi di doni. Una fede intenta a unire il sole alla vita e la vita alla terra, ma è Sant’Agostino che esorta a celebrare in quel giorno, non il sole, “ma colui che il sole ha creato”. Il Natale, quindi, celebra la nascita del Salvatore, descritto nei vangeli di Luca e di Matteo e ci narrano anche l’annuncio dell’angelo Gabriele, l’adorazione dei pastori e la visita dei magi. E’ il giorno in cui Dio si fa uomo, entra nel mondo dei mortali per rimanervi fino alla fine dei tempi, un  Dio presente e non più un Dio distante. Nonostante l’ordine dei Benedettini e dei Cistercensi  vivevano il culto del Natale all’interno dei loro monasteri è grazie a Francesco d’Assisi che l’adorazione del Cristo nato è portato tra la gente, è lui che nel 1223 in un casolare di Greccio, in provincia di Rieti, la notte del 25 dicembre con un bue, un asinello e alcuni pastori, allestì il primo presepe vivente, per onorare la semplicità, esaltare la povertà e lodare l’umiltà. Il Natale diventa una realtà rappresentativa, entrerà nella vita religiosa della cristianità e la nascita di Gesù diventa festa. Alle soglie del 1300 la recitazione viene affidata anche al popolo, i personaggi sacri sono impersonati sempre da religiosi e quelli laici da pastori. La scenografia è povera e segue i testi delle sacre scritture, gli addobbi e gli abiti sono quelli quotidiani, è mezzo di comunicazione tra chiesa e popolo e il suo fine è la diffusione della fede cristiana. Nel mondo dell’arte i temi narrati nei vangeli diventano fonte d’ispirazione per molti artisti, le opere eseguite sono anche la testimonianza del gusto e del tempo attraversato. Giotto, Raffaello, Michelangelo, Lippi, Pier della Francesca, il Perugino e tanti altri artisti realizzeranno tutti splendidi capolavori. In Sicilia, le arti plastiche ci testimonino fantastici presepi, esempi sono quelli di: Militello in Val di Catania, nell’altare di S. Maria la Nuova è presente una pala in ceramica attribuita a uno dei fratelli della Robbia, raffigura la natività. A Termini Imerese nella chiesa di S. Maria Annunziata troviamo l’opera in marmo del 1494 di Andrea Mancino. Mentre a Pollina troviamo lo splendido presepe del 1526 di Antonello Gaggini. A Scicli nel 1576  nella chiesa di S. Bartolomeo vengono disposte nella rappresentazione della natività delle figure mobili, esempio di  primo presepe moderno. Ma è a Napoli, che Gaetano da Thiene, fondatore  della congregazione dei Teatini, con l’aiuto di artigiani e scultori realizza il primo esempio di presepe destinato ad essere smontato e ripresentato negli anni futuri e nel 1626 anche i Gesuiti daranno il loro contributo. Il passaggio della produzione di figure in pietra a quelle in legno a tutto tondo può essere storicamente considerato l’atto di nascita del presepe vero e proprio, i personaggi rappresentati si identificheranno per la drammaticità espressa.  Il barocco sarà il periodo storico che favorirà la maggiore diffusione e popolarità del presepe, lo arricchirà di animali e personaggi vari, verranno usati materiali preziosi come avori, coralli, madreperle e gli abiti saranno di stoffa pregiata. Estro e fantasia sono le componenti essenziali per la rappresentazione di presepi ambientati in mondi irreali ed illusori, entrerà nelle case patrizie come arredo di lusso, sarà segno di prestigio e di potenza. I palazzi e le ricche dimore borghesi si aprono al popolo volendo principalmente stupire e meravigliare. Palermo, Messina, Siracusa, Caltagirone, Ragusa, Palazzolo Acreide, Erice, Alcamo, Trapani, Noto, sono tutti centri dediti alla produzione di presepi e dei suoi personaggi. Nasce una vera e propria arte minore grazie ad artigiani e maestranze locali che sa usare con abilità materiali diversi come la cera, la terracotta, il gesso e  il legno. Il Laurana e il Gagini, furono gli interpreti più importati della scultura presepiale siciliana. Gaetano Zummo ceroplasta, Anna Fortino, i ceramisti Branciforti, Margiglio, Bongiovanni e il nipote Giuseppe Vaccaro di Caltagirone, sono tutti maestri che diedero un contributo interessante a questa arte. Non vanno poi dimenticati i ceroplasti di Palermo che esaltarono la figura del bambinello o delle scarabattole, campane di vetro che custodivano al loro interno piccoli presepi. Altra materia, largamente usata in Sicilia fù la terracotta. Una moltitudine di figure a tutto tondo, rivestite da stoffe fortemente colorate furono realizzate con estrema ricercatezza evidenziando una nuova libertà di espressione. A metà ‘800 la produzione dei pastorelli soprattutto quella  napoletana, mira a rappresentare un popolo che vive di fatiche quotidiane mentre la ricca borghesia sperpera senza morale. In un tale contesto dove il benessere e la cultura è a vantaggio di pochi la fede diventa rifugio coi propri riti e con le proprie devozioni. Il presepe entra nelle case degli umili e il ritrovarsi il giorno di Natale in seno alla famiglia è essenziale. Il popolo verrà coinvolto emotivamente e realizzerà deliziosi e piccoli presepi. Personaggi prodotti in creta o cartapesta verranno usati fino alla metà del secolo passato, poi saranno di plastica dura. All’inizio del ‘900 la modernità avanza, il presepe diventa meccanico, l’acqua scorre, i pastori si muovono, la luce illumina la grotta e le vie, il luccicante albero di natale entra nella tradizione natalizia  della famiglia cristiana.
È il giorno della festa dell’Immacolata tutti i nipoti siamo intorno all’albero di Natale a casa del nonno, le zie preparano il pranzo e gli uomini discutono. Ma è lui che attira col suo racconto come ogni anno, un po’ prima del pranzo, l’attenzione. La storia è affascinante e ci ammutolisce sempre. In un angolo della sala da pranzo sopra il suo vecchio scrittoio ha realizzato anche quest’anno il suo presepe. Le case in legno, la grotta di sughero e i pastorelli di terracotta, quelli rivestiti di stoffa erano di quando, da bambino viveva a Napoli.  
Era il 1914, durante la novena del Santo Natale, i suonatori di zampogne e ciaramelle davanti alle edicole e ai crocicchi delle vie suonavano nostalgiche melodie. Di buon mattino o a notte fonda, col freddo, la pioggia o la nebbia, il suono e i canti natalizi giungevano sin dentro la nostra casa. Le luci scintillanti e stelle dorate adornavano le viuzze di dove abitavamo, il tutto era una magia e faceva sentire la poesia del Natale nei nostri cuori. Dovete sapere che fare “o’ presèp” è una storia antica, lo facciamo perché nasce Gesù. Io ero piccolino e con le mie sorelle stavamo a guardare mia madre e mio padre che il giorno della Immacolata aprivano una robusta cassa gialla dove erano conservati questi pastorelli e mentre mia madre li spolverava, mio padre preparava la scena che era fatta da un cielo di carta stellato, da montagne innevate, da una verde pianura creata con del muschio ancora umido e che profumava di bosco, di strade in piccolo pietrisco, rocce di sughero, casette di legno e fiumi di carta argentata. Quando il paesaggio prendeva forma i pastorelli venivano riposti con devozione, chi sulla montagna, chi sulla via e  chi vicino alla grotta. Tutti  trovavano la loro collocazione, la scena sembrava prendere vita e si animava di voci e colori. Restavamo incantati, fermi, in silenzio, i nostri sguardi incrociavano il gesto del pastorello che suonava la zampogna o di quello che beveva, del pastore con la pecorella sulle spalle, della contadina con le mani alzate, del dormiglione e di quelli con la lanterna. I pastori genuflessi intorno al divino bambino, mostrato dalla vergine, sembravano che pregavano veramente e vicino alla grotta mio padre amava mettere dei pezzi di marmo che ricordavano le colonne dei templi. Credevamo che il paesaggio con i suoi alberi di palme e i pastori quando distoglievamo lo sguardo si animava veramente. Ogni figura andava verso la grotta, ciascuno con il proprio dono tra le braccia, anche se si trovava ad attingere acqua al pozzo o a vendere la roba al mercato o a consegnare i lavori fatti. Gli angeli li appendeva con del cotone e il loro canto di gloria lo cantavamo anche noi. Quanto era bella la grotta, si apriva fra i ruderi e le rocce, il Bambinello posto tra un bue e un asinello, la Madonna, e San Giuseppe che guarda in silenzio, e poi ancora angioletti volanti, personaggi vari e zampognari. Credevamo, in quella stanza silenziosa di sentire il suono delle campane, il belare delle pecorelle, il battito delle ali degli uccelli, il chicchirichì del gallo, le voci dei contadini che si chiamavano e annunziavano la nascita di Gesù. L’acqua del fiume fatta di carta argentata sembrava scorrere e pensavamo che doveva essere veramente fredda. Quel freddo lo sentivamo anche noi in quella stanza e lo scialle che la mamma ci riponeva sulle spalle era un momento di calore e tenerezza indimenticabile. Ma fra tutti i personaggi con gli occhi spalancati le mani alzate e gli angeli volanti c’era “u scantatu” Questo pastore stava davanti alla grotta, pareva agitarsi tutto, gli occhi, la bocca e le braccia aperte, sembra che grida il miracolo che ha davanti gli occhi e che gli altri non vedono. Pensa che nemmeno gli angeli che volano in quel cielo stellato sembravano accorgesi dell’accaduto. E anche noi restavamo meravigliati. Una magia, ma la magia più grande era la notte di Natale, trovavamo il Bambinello nella sua mangiatoia e mia sorella Angelina, la più grande, colei che teneva d’occhio i nostri genitori restava anch’essa meravigliata. Ingenuità  del tempo o desiderio di un dolce sogno.
Il presepe resta così una tradizione che vive nei nostri cuori che affonda le sue radici in un passato lontano è un mondo nostalgico, fatto di fede, fantasie e  devozioni. E’ la certezza della solidarietà, della fratellanza e del calore familiare. La sua poesia è letizia, un momento romantico che commuove l’anima di chi lo contempla.  
Giuseppe Meli