La storia di Antonella Azoti potrebbe iniziare da quel pomeriggio del maggio 1992, tra i palermitani che si stringono commossi e nervosi attorno a quello che sarebbe poi diventato l’albero Falcone;
o dalla buia serata del 21 dicembre 1946, squarciata dai lampi degli spari che le uccisero il padre quando aveva soltanto quattro anni. Sarebbe in ogni caso una storia di ricordi perché la vita di questa donna armoniosa e dallo sguardo appassionante non è rimasta intrappolata nel dedalo di ombre e rimpianti ma si è protesa lungo gli ardui e irti sentieri della ricerca e dell’affermazione: la ricerca della verità, l’affermazione della giustizia. Verità e giustizia per il padre e per tutti coloro che, sindacalisti come lui e anch’essi assassinati in Sicilia tra il 1944 e il 1948, erano stati sepolti sotto le macerie dell’indifferenza e della commiserazione, vittime di delitti rimasti senza colpevoli e rubricati alla voce di popolo del “chi glielo ha fatto fare?”.
È davvero espressivo il titolo del Diario con cui Antonella Azoti ha documentato la sua vita di ricerca: «Oltre il buio con papà». Oltre il buio di quella sera terribile e insanguinata, oltre il buio di un processo mai celebrato, oltre il buio delle dicerie e dei compatimenti ipocriti. Con quel Diario, Antonella Azoti aveva vinto il premio “Pieve-Banca Toscana”; da esso era nato anni dopo un libro dal titolo vigoroso: «A voce alta. Il riscatto della memoria in terra di mafia». Nelle pagine del libro la documentazione della ricerca diviene affermazione; la verità trovata afferma una giustizia. La bambina che la sera oscura del 21 dicembre 1946 inizia un cammino di ricerca, ha sconfitto il buio e può adesso affermare la verità e la giustizia ritrovate. Qui è necessario soffermarsi un momento a riflettere sul senso di Antonella per questo ritrovamento. Per Antonella Azoti verità e giustizia non hanno un senso intimo, personale, familiare; certo è anche la verità della figlia, è anche la giustizia per la famiglia ma per Antonella si tratta di una verità storica, di una giustizia politica. Verità storica e giustizia politica che Antonella Azoti afferma ad alta voce, gridando all’ombra dell’albero Falcone e da un microfono impugnato con emozione e decisione che la mafia aveva già ucciso, aveva assassinato molto tempo prima suo padre, Nicolò Azoti, e che prima e dopo di lui aveva ammazzato tanti altri sindacalisti siciliani e li aveva sterminati perché quei sindacalisti lottavano per affermare in Sicilia la libertà, la democrazia, la giustizia sociale: una verità della storia siciliana; una giustizia nella Polis terra di mafia.
Inizia così il tempo dell’affermazione nelle scuole, nelle università, nella società. Un’affermazione mai retorica o vittimistica ma storica e politica, nel senso che i sentimenti intimi provati dalla bambina di quattro anni in un inverno di molti anni prima diventano nella narrazione di Antonella Azoti sentimenti pubblici di una verità storica e di una giustizia politica a lungo negate nella Polis siciliana. La trasformazione di sentimenti individuali in sentimenti collettivi, descrittivi di un’epoca, di una lotta, di una certa idea della terra e del lavoro, seduceva gli studenti suscitando emozioni intellettuali e attenzione culturale; il racconto diventava così storia, storia per vivere e agire nel presente.
Forse, a commento della vita di Antonella Azoti che ci ha lasciati domenica 16 gennaio, possiamo dire che la mafia ha cominciato a indebolirsi quando i sentimenti intimi dei familiari e dei sodali delle vittime diventarono ricerca della verità storica e affermazione della giustizia politica; e che Antonella Azoti fu tra gli artefici più appassionati e appassionanti di questa decisiva mutazione. Non poteva non essere così dal momento che Antonella Azoti faceva parte di quell’esercito di maestre e maestri elementari che, per Gesualdo Bufalino, avrebbero sconfitto la mafia.
Michelangelo Ingrassia