Il toponimo Cefalà, attestato già durante il dominio normanno (1093), deriva dal greco medievale kephalás, nella pronuncia bizantina, che rimanda al classico kephalé, ‘testa’, ‘capo’.
A nostro avviso, si tratta di un idronimo, nel senso di «capo dell’acqua», punto di partenza di un corso fluviale, poiché si lega alla presenza di manifestazioni sorgentizie termali che un tempo alimentavano il Milicia, che poi sfocia nel Tirreno ad occidente di Altavilla Milicia. Ricordiamo che già l’archeologo Biagio Pace (Comiso, 13 Novembre 1889 – ivi, 28 Settembre 1955) aveva adombrato tale connessione etimologica: «Abbiamo inoltre alcune fontane cui è rimasto il nome di Kephalé, tratto dall’idea che nella fonte stesse il capo del fiume, cfr. Erodoto, IV, 91; così Cibali presso Catania, torrente Cifali presso Floridia, Cifali presso Comiso, Cefalà presso Mezzoiuso» (cfr. B. Pace, Arte e civiltà della Sicilia antica, 4 voll., 1935-49, III, Cultura e vita religiosa, Società editrice Dante Alighieri, Genova 1945, VIII+732 pp., in particolare, p. 126). In realtà, il fiume Milicia nasce dal rilievo quarzarenitico di Cozzo Bileo (m 1007 s.l.m.) presso Godrano, ma almeno dal Cinquecento, le sorgenti termali di Cefalà per il loro basilare apporto idrico (che probabilmente doveva essere maggiore e più regolare), erano considerate dagli storici siciliani quale origine del corso d’acqua.
Emblematico, in tal senso, appare quanto scrisse lo storico siciliano sac. Tommaso Fazello O. P. (Sciacca, 1498 – Palermo, 8 Aprile 1570), nel suo De rebus Siculis decades duae (Panormi, Mayda et Carrara, MDLVIII) e, nello specifico, nella versione italiana del confratello fra Remigio Nannini, pur confondendo il fiume Milicia con il torrente S. Michele, scrisse: «Questo fiume nasce ne’ bagni di Cefalà, dove sono tre fontane, lunge [sic, lontane] poco l’una dall’altra, ma molto differenti di natura, perché una è fredda, l’altra è calda, e l’altra è tepida, e queste fonti, raccogliendosi tutte insieme in una stanza fatta in volta, fanno il bagno d’allume: di poi, partendosi da questo luogo, producono il fiume, il quale da principio è picciolo, e debole, di poi va crescendo per molte acque, che v’entrano dentro, le quali scendono dal monte Cane, e correndo, viene a sboccare in questo luogo in mare» (cfr. T. Fazello. Le due deche dell’historia di Sicilia, del R. P. M. Tomaso Fazello, siciliano, dell’Ordine de’ Predicatori, divise in venti libri. Tradotte dal latino in lingua toscana dal P. M. Remigio fiorentino, del medesimo Ordine, Guerra, Venetia M. D. LXXIV., p. 272). In base a tale testimonianza, questi bagni termali usufruivano della possibilità di una miscelazione naturale di acque a diversa temperatura, costituendo una vera e propria rarità.
I ruderi medievali del castello e relativo abitato, documentati sin dal dominio normanno, sono ancora parzialmente visibili sul dorso dell’attuale rilievo calcareo di Pizzo Chiarastella (668 s.l.m.). Il pizzo si mostra come una dorsale allungata in direzione NO-SE con versanti carbonatici che spesso si presentano dotati di elevata acclività, essendo dovuti a grandi versanti di faglia, oppure mostrano una sequela di gradinate spesso in corrispondenza di una serie di banchi rocciosi stratificati. Complessivamente, queste rocce calcaree lapidee, stratificate e fratturate, esibiscono pertanto delle forme legate all’erosione selettiva ed al carsismo. Al contrario, le pendici marnoso-argillose, sono caratterizzate da versanti poco inclinati, modellati soprattutto da processi gravitativi [cfr. G. Avellone, A. Contino, A. Contino, L. La Pica, G. Madonia, M. Vattano, Aspetti geologici e geomorfologici dell’area di Pizzo Chiarastella (Sicilia settentrionale), Atti del “2° Seminario Internazionale di studi sul Carsismo negli Iblei e nell’area sud-mediterranea”, 28-30 maggio 2004, Castello di Donnafugata (RG). Suppl. a “Speleologia Iblea” n. 12, 2007, pp. 237-246].
Il sito fa parte della riserva naturale orientata Bagni di Cefalà Diana e Chiarastella, istituita con decreto dell’assessorato regionale del territorio e dell’ambiente numero 822/44 del 20 novembre 1997, ed è un importante tassello del patrimonio UNESCO arabo-normanno (cfr. https://arabonormannaunesco.it/altri-monumenti/bagni-di-cefala-diana.html).
Inoltre, con D. A. 283 del 29 Agosto 2017, pubblicato nella GURS n. 43 del 13 Ottobre di tale anno, Pizzo Chiarastella è divenuto geosito in seno alla predetta riserva, proprio per le sue peculiarità stratigrafiche, tettoniche e geotermiche.
Il luogo, proprio a causa della sua conformazione geologica, si presentava favorevole alla nascita di un insediamento indigeno, il quale quasi non necessitava di difese artificiali, grazie all’elevata acclività dei versanti, tanto da rappresentare un vero e proprio sito naturalmente fortificato. Il castello, collocato al culmine del rilievo, dominava nettamente il paesaggio e godeva di una invidiabile posizione strategica, a controllo di gran parte della vallata del Milicia, anche in relazione dell’asse viario che congiungeva Palermo con Girgenti (oggi Agrigento). Viste le tracce di frequentazione dalla preistoria al medioevo sarebbe auspicabile una campagna sistematica di indagini archeologiche e geoarcheologiche che potrebbero gettare nuova luce sul passato di questo sito come già auspicato nel XX secolo già alla fine degli anni 60’ (cfr. F. D’Angelo, C. Filangeri, C. Trasselli, Cefalà o Chiarastella?, in “Sicilia Archeologica”, d’ora in poi SicAr, anno II, 5, Trapani 1969, pp. 11-17) e ribadito negli anni 80’ (cfr. F. Maurici, Le due Cefalà, SicAr, XVI, 51, 1983, 71-80).
Nonostante sia ormai acclarata la distinzione tra l’antica Cefalà ed il sito del castello trecentesco, ancora in tempi molto recenti alcuni studiosi continuano a fare una notevole confusione (cfr., ad es., E. Di Pasquale, Il giro della Sicilia in 501 luoghi, Newton Compton Editori, 2014, 576 pp., in particolare: 85. I bagni arabi di Cefalà Diana, 86. Riserva Naturale Bagni di Cefalà Diana e Chiarastella).
Particolarmente rilevante per la Cefalà posta sul Chiarastella appare la testimonianza del geografo islamico al-Idrīsī nel suo Nuzhat al-mushtāq, altrimenti detto Libro di Ruggero (Kitāb Rugiār), ultimato nel 1154, dove è ricordata nella forma arabizzata di Ğaflah. adattamento di toponimo anteriore alla dominazione musulmana: «grazioso paese (balād), ha vasto distretto e gran territorio, con masserie (daya) ed abitati aperti o casali (riḥāl). Le acque di questo paese, spandendosi fanno dei stagni assai vasti; [contuttociò il contado abbraccia] spaziose terre da seminare ed ha estesi confini» (cfr. M. Amari, C. Schiaparelli, L’Italia descritta nel Libro del re Ruggero, Salviucci, 1883, 300 pp., nello specifico, p. 41).
Sinora gli studiosi che si sono occupati dei bagni di Cefalà, hanno ritenuto che al-Idrīsī abbia tralasciato di farne menzione. Noi, invece, siamo di diverso avviso. Infatti, a tal proposito appare illuminante quanto scrisse verso l’anno 1775, il medico Antonino Silvestro Bellitti a proposito dei detti bagni: «il Castello di Cefalà, alle di cui falde scaturiscono le acque minerali sperimentate utilissime per certi crudeli malattie. Queste acque, che anche per poto ordinario, si bevono, in ampj stagni si raccolgono, ove si bagnano i cagionevoli» (cfr. A. S. Bellitti, Delle stufe e de’ bagni di Sciacca opera postuma del dottor fisico D. Antonino Silvestro Bellitti di Sciacca, Reale Stamperia, Palermo MDCCLXXXII, 215 pp., in particolare, p. 12). Nonostante l’opera di Bellitti sia alquanto distante cronologicamente da quella di al-Idrīsī, in entrambe si fa riferimento a scaturigini che danno vita a stagni, che lo studioso settecentesco attesta essere presenti proprio nel sito dei bagni di Cefalà. La coincidenza dell’ubicazione degli stagni citati dai due autori, appare ammissibile anche tenendo conto della continuità della modalità d’uso delle acque termali, specie per le affezioni dermatologiche anche degli animali che si curavano generalmente per immersione in appositi specchi d’acqua.
Plausibile appare l’ipotesi proposta da Alessandra Bagnera ed Annliese Nef di localizzare sul sito dei bagni di Cefalà l’hospitalis ecclesie sue Sancti Laurentii, ubicato lungo la via che da Palermo conduce a Vicari, in tenimento chifale di cui si fa menzione nel 1242 in un documento bilingue latino ed arabo dell’archivio della cattedrale di Agrigento [cfr. A. Bagnera, A. Nef, Les bains de Cefalà Diana (prov. de Palerme) contexte historique et fonctions, in M. Guérin-Beauvois, J.-M. Martin, Bains curatifs et bains hygiéniques en Italie de l’antiquité au moyen âge, École française de Rome, 22-24 Mars 2004, Rome 2007, 428 pp., pp. 293-302; P. Collura, Le più antiche carte dell’archivio capitolare di Agrigento (1092-1282), Documenti per servire alla storia di Sicilia, prima serie, Diplomatica, vol. 25, Manfredi, Palermo 1961, 428 pp., in particolare, p. 120 e segg.]. Ciò, del resto non sarebbe che una ennesima testimonianza dell’innegabile collegamento geo-agiografico tra il Santo martire e le acque termali (in Piemonte, la sorgente S. Lorenzo nelle terme di Bognaco nella provincia del Verbano-Cusio-Ossola; in Campania, le terme S. Lorenzo ad Ischia; in Sicilia, a Roccamena nel libero consorzio comunale di Palermo, la sorgente termale di S. Lorenzo, in contrada Ponte Calatrasi, sulla sponda sinistra del Belice destro, che nel 1966 erogava circa 30 l/s, scomparsa con il sisma del 1968). I balnea medievali, infatti, avevano indubbiamente un significato simbolico, ma anche uno scopo igienico, sociale ed assistenziale [cfr. L. Saguì, Balnea medievali: trasformazione e continuità della tradizione classica, in L. Saguì, L. Paroli, a cura di, L’esedra della Crypta Balbi nel Medioevo (XI-XV secolo), Biblioteca di Archeologia Medievale, All’Insegna del Giglio, Firenze 1990, pp. 98-116].
I Bagni di Cefalà Diana costituiscono l’unico complesso termale superstite in Sicilia ad avere una tipologia islamica, testimonianza di un antico hamma, nel quale ancora oggi si può respirare una particolare atmosfera orientale, come quella che nella prima metà dell’Ottocento studiosi e viaggiatori cercarono di riprodurre nelle loro tavole. I due visitatori più attenti di cui abbiamo memoria furono, rispettivamente, il viaggiatore e politico inglese Henry Gally Knight (2 Dicembre 1786 – Londra, 9 Febbraio 1846), accompagnato dal versatile disegnatore George Belton Moore (Londra, 24 Marzo 1805 – ivi, 4 Novembre 1875), ed il pittore-disegnatore, storico dell’architettura, archeologo e pioniere della fotografia, il francese Joseph-Philibert Girault de Prangey (Langres, 21 Ottobre 1804 – Le Val-d’Esnoms, 7 Dicembre 1892), entrambi acuti osservatori (cfr. H. Gally Knight, The Normans in Sicily: being a sequel to an architectural tour of Normandy, Murray, London MDCCCXXXVIII., pp. 323-326, pl. 4; G. de Prangey, Essai sur l’architecture des Arabes et des Mores en Espagne, en Sicile, et en Barbarie, A. Hauser etc., Paris 1841, XII+210+XXVIII pp., 28 pl., nello specifico, p. 96 e pl. 7).
In particolare, la litografia di Léon Auguste Asselineau (Amburgo, 8 Marzo 1808 – Le Havre, 25 Marzo 1889), tratta da un disegno d’après nature del detto Joseph-Philibert Girault de Prangey, mostra con estremo dettaglio i suggestivi interni dei bagni di Cefalà, così come apparivano negli anni 40’ dell’Ottocento.
Per ulteriori approfondimenti sugli studi relativi a questo importante complesso normanno, rimandiamo il lettore alle seguenti opere: S. Cuccia, I bagni di Cefalà Diana, I.T.E.S., Catania 1965, 46 pp.; S. Boscarino, L’edificio dei bagni a Cefalà Diana, “Quaderno dell’Istituto di disegno dell’Università di Catania”, 2 (1964-1965), pp. 1-22; D. Ryolo, I bagni di Cefalà, SicAr, 15, 1971, pp. 19-32; F. S. Brancato, I bagni di Cefalà Diana, Flaccovio, Palermo 1982, 114 pp.; A. Bagnera, L’Islam e le terme di Cefalà Diana. Nuovi dati archeologici e questioni aperte, in M. V. Fontana, B. Genito, a cura di, Studi in onore di Umberto Scerrato, vol. I, Napoli 2003, pp. 35-76; A. Bagnera, A. Nef, Bagni di Cefalà (secoli X-XIX). Pratiche termali d’origine islamica nella Sicilia medievale, École française de Rome, Roma 2018, 640 pp.; A. Bagnera, Il bagno termale (al-hamma) di Cefalà Diana (Palermo). Primi dati per una storia del termalismo in Sicilia tra epoca islamica e XX secolo, in R. D’Amora, S. Pagani, a cura di, Hammam. Le terme nell’Islam, Atti del convegno internazionale di studi, Santa Cesarea Terme, 15-16 maggio 2008, Olschki, Firenze 2011, pp. 107-135; A. Bagnera, A. Nef, Les bains de Cefalà (Xe-XIX siècle): pratiques thermales d’origine islamique dans la Sicile médiévale. I bagni di Cefalà (secoli X-XIX): pratiche termali d’origine islamica nella Sicilia medievale, Collection de l’École Française de Rome, 538, Roma 2018, 640 pp.
L’edificio monumentale normanno all’interno di un baglio esibisce un vasto ambiente rettangolare che era originariamente alimentato naturalmente dall’emergenza sorgentizia idrotermale. La sala delle terme, a pianta quadrangolare irregolare, appare realizzata in muratura di pietrame irregolare, di spessore notevole fino ad oltre un metro e mezzo. Il manufatto, sui tre lati O, N ed E esibisce una fascia costituita da grossi elementi lapidei in calcarenite dai caldi toni giallognoli, decorrente ad un’altezza di poco superiore al piano di imposta della volta di copertura, nella quale appaiono intagliate due cornici leggermente aggettanti, decorate a girali di palmette, con in mezzo una iscrizione commemorativa in caratteri cufici, purtroppo alquanto danneggiata. L’intervento conservativo del manufatto è stato supportato da ben quattro campagne di scavo sia interne (1992– 1997). sia esterne (1993-2001) che hanno permesso di confermare la datazione dell’edificio termale alla seconda metà del XII secolo come già ipotizzato da Umberto Scerrato (1928-2004), uno dei più importanti archeologi iranisti e islamisti italiani. La sorgente termale scomparve verso la fine degli anni 80’ ed oggi una condotta esterna collega il Pozzo Chiarastella, sito a monte dell’edificio, permettendo di alimentare l’impianto termale.
Nel mondo arabo, la tipologia tipica dei bagni di Cefalà, alimentati dalle acque termominerali sorgentizie, è designata con il termine al ḥāmmah, mentre laddove l’acqua subisce un riscaldamento artificiale, si utilizza la denominazione di hammām (cfr. A. Huici, al Hamma, “Encyclopédie de l’Islam”, d’ora in poi EnIs, 3, 1975, pp. 137-138; A. Louis, Hammām, EnIs, 3, 1975, pp. 142-149). I nuovi scavi nel sito termale hanno restituito anche dei frammenti di ceramica a vernice nera, databili al IV-III sec. a. C. e tracce preistoriche con ceramica ad impasto lavorato a mano, associati a scarti di lavorazione in selce, che costituiscono un indizio probante dell’antichissima frequentazione dell’area sorgentizia [cfr. A. Bagnera, Le cosiddette ‘Terme Arabe’ di Cefalà Diana (Palermo): relazione preliminare sulle indagini archeologiche, in “Atti delle Terze Giornate Internazionali di Studi sull’Area Elima (Gibellina – Erice – Contessa Entellina, 23-26 ottobre 1997)”, I, Pise-Gibellina, 2000, p. 57-78, in particolare, p. 72; G. Battaglia, La ceramica e l’industria litica di età preistorica e protostorica, in A. Bagnera, A. Nef, Bagni di Cefalà (secoli X-XIX)…cit., pp. 356-359]. Del resto, sul Monte Chiarastella erano già documentate delle grotte, esplorate dal paleontologo e stratigrafo Gaetano Giorgio Gemmellaro (Catania, 24 Febbraio 1832 – Palermo, 16 Marzo 1904) e, successivamente, dall’antropologo e geologo Ferdinand Leopold von Andrian (Vornbach, 20 Settembre 1835 – Nizza, 10 Aprile 1914), che hanno restituito reperti preistorici, oggi inquadrabili tra l’età del rame ed il bronzo antico [cfr. F. L. von Andrian, Prähistorische Studien aus Sizilien, “Zeitschrift für Ethnologie”, X, suppl. Berlin 1878, pp. 1-92, in particolare, pp. 37-38 (contrada Chiaristella); S. Tusa, La Sicilia nella preistoria, Sellerio, Palermo 1999, p. 278, dove sono menzionate delle terrecotte appartenente alla cultura eoliana di Capo Graziano ed a quella del bicchiere campaniforme].
Tornando ai bagni medievali, anche se in parte controversa come fonte duecentesca, appare molto interessante la biografia agiografica di S. Angelo da Gerusalemme (Gerusalemme, 2 marzo 1185 – Licata, 5 maggio 1220), religioso carmelitano che morì martirizzato in Sicilia. La vita sarebbe stata redatta da un certo Enoch patriarca di Gerusalemme, vissuto nei primi decenni del secolo XIII, riscoperta ad opera del protonotaro apostolico e canonico della cattedrale palermitana, Tommaso Bellorosso o Bellorusso, latinizzato in Bellorosio, edita nel 1526 a Palermo da Antonio Maida e Pietro Spira. Su tale opera si veda: T. Bellorosio, Vita S. Angeli Hierosolymitani, Martyris, Doctoris, Virginis, Ех Ordine beatæ Virginis Мariæ de Monte Carmelo‚ scripta anno 1227. ab oculato Teste Enoch Patriarchi Hierosolymitano; in Capita digesta editi an.1527., Panormi 1527; B. Gonon, Vitae et sententiae Patrum Occidentis, Libri VI Digestæ, Durand, Lugduni MDCXXV, pp. 227-233; G. A. Filippini, La vita, e molti de i miracoli di S. Angelo vergine, e martire gerosolimitano, Professore dell’antica regolar osservanza De i [sic] Carmelitani. Raccolta da gli [sic] scritti di molti Auttori [sic], A. Fei, 1641, 122 pp., in particolare, p. 66, dove però erroneamente sono menzionati i “Bagni di Cefalù” invece di Cefalà; T. Cantoni, Vita S. Angeli martyris Ord. beatiss. Dei Genitricis semperque Virginis Mariæ de Monte Carmelo Anno 1227. à D. Enoch patriarcha Hierosolymitano teste oculato conscripta; anno 1527. à Thoma Bellorosio digesta in Capita; & Panormi ædita; Anno 1687. ab adversantibus Danielis Papebrochij iaculis vindicata; Suoquè Auctori Asserta, Petri-Mariae de Montibus, Bononiae 1691; D. van Papenbroeck, De S. Angelo Martyre Presbytero ex Ordine Carmelitarum Leocatæ in Sicilia, in “Acta Sanctorum”, Maii, II, Antuerpiae MDCLXXX, pp. 56-95, Appendix, pp. 798-842, in particolare, p. 825 e 828; G. Morabito, Angelo da Gerusalemme o da Licata, in “Bibliotheca Sanctorum”, Istituto Giovanni XXIII nella Pontificia Università Lateranense, Città del Vaticano, Roma 1961, vol. I, coll. 1240-1243).
Il padre Ludovico Saggi O. Carm. (1921-1988) ritenne che la vita predetta possa essere opera di uno scrittore siciliano della prima metà del sec. XV, ben informato sulle vicende relative al soggiorno nell’Isola di S. Angelo (cfr. L. Saggi, Angelo di Sicilia, santo, in “Dizionario biografico degli italiani”, d’ora in poi DBI, vol. 3, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1961; Idem, S. Angelo di Sicilia: studio sulla vita, devozione, folklore, textus et studia historica carmelitana, VI, Institutum Carmelitanum, 1962, 358 pp., in particolare, pp. 101-103, 140, 208-210, 257, 267-269).
Del resto, nei dintorni di Cefalà Diana esiste effettivamente una testimonianza oronomastica dell’antico passaggio di S. Angelo: il rilievo collinare omonimo, calcareo e calcareo marnoso, ubicato in posizione eminente (772 m s.l.m.), ad occidente dei Bagni, dove forse vi sorgeva un luogo di culto. Il sito ha restituito tracce di frequentazione non solo indigena, ma anche medievale [cfr. P. Lo Cascio, A. Scarpulla, Indagini a Cozzo S. Angelo e Cozzo Quattro. Finaite (Marineo – Palermo), SicAr, XXVI, 82, 1993, pp. 7-22).
Nel suo viaggio da Palermo verso Agrigento, S. Angelo, giunse ai bagni termali di Cefalà (Balnea Cephalitana in ipso thermarum loco o balnea Chifalii), dove vi ritrovò un gruppo di sette lebbrosi, indicati con il nome ed il luogo di provenienza: Giovanni di Trapani, Pino (troncamento di Iacopino, diminutivo di Giacomo/Iacopo) di Termini, Francesco di Patti, Andrea di Noto, Lazzaro di Randazzo, Antonio di Caltanissetta e Manfredo di Sutera.
La lebbra [lat. tardo lĕpra(m), che è dal gr. lépra, deriv. di lépein ‘squamare’] è una malattia infettiva, trasmissibile, a decorso cronico con esito generalmente letale, causata dal batterio Mycobacterium leprae, scoperto dal medico norvegese Gerhard Armauer Hansen (1841-1912) nel 1873 (donde la denominazione di bacillo di Hansen), dotato di un’elevata affinità per i nervi periferici (dando origine a neuropatie) e per l’epitelio (dando origine a lesioni cutanee eritematiche, affezioni delle mucose, ad es. nasali, e reazioni infiammatorie acute). I lebbrosi erano totalmente segregati dal resto della società e per essi furono istituite chiese e cimiteri separati, al fuori dalle mura civiche, in cui le loro spoglie mortali potessero essere sepolte. I lebbrosi, dovevano rendersi riconoscibili indossando abiti particolari ed avere segni distintivi (una croce gialla cucita sui vestiti, una campanella da portare al collo, ed un peculiare bastone adoperato per indicare ciò che essi volevano comperare o per raccogliere il contenitore delle elemosine. La diffusione della trecentesca peste nera, che colpì terribilmente e violentemente i lebbrosi e la diffusione della tubercolosi (legata ad un agente patogeno simile a quello della lebbra, estremamente più aggressivo, ma immunizzante nei confronti del Mycobacterium leprae) furono determinanti nella scomparsa progressiva della malattia in Europa con gli ultimi focolai radicatisi nel nord del continente [cfr. N. S. Brody, The disease of the soul. Leprosy in medieval literature, Cornell University Press, Ithaca, New York 1974; J. Ruffié, J. C. Surnia, Les épidémies dans l’histoire de l’homme. Essai d’anthropologie médicale, Flammarion, Paris 1984; S. Watts, Epidemics and history. Disease, power and imperialism, Yale University Press, New Haven-London 1997; A. Parravicini Bagliani, F. Santi, eds., The regulation of evil. Social and cultural attitudes to epidemics in the Late Middle Ages, Sismel, Firenze 1998].
Secondo la biografia di S. Angelo, i predetti lebbrosi presenti a Cefalà insistevano nel volere accedere ai bagni termali, ma il balneorum custos glielo impediva sostenendo che non era luogo per loro. Il racconto è plausibile e questo balneorum custos potrebbe essere una figura di locatario del bagno, di tradizione islamica, che accoglieva i clienti all’ingresso (cfr. C. Fournier, Chapitre VI. Gestion et usagers du bain, in: Idem, Les bains d’al-Andalus: VIIIe-XVe siècle, Presses universitaires de Rennes, Rennes 2016, pp. 189-217).
Angelo, udendo il contrasto tra il balneorum custos ed i lebbrosi, dopo aver rappacificato gli animi dei presenti, domandò ai lebbrosi se fossero convinti di riacquistare la salute in virtù delle acque di questo bagno termale. Alla loro risposta affermativa, il Santo carmelitano rispose che grande era certamente il loro errore, poiché per altra via dovevano cercare la salute, infatti prima dovevano pentirsi sinceramente dei loro peccati e fare una buona confessione e ciò sarebbe stata la loro vera medicina con la quale, senza entrare nei bagni termali, sarebbero tornati sani nello spirito in uno con il corpo. Avendo udito ciò i lebbrosi, pentitisi dei loro peccati vollero confessarli al Santo e ricevettero l’assoluzione. Allora S. Angelo, con le proprie mani li lavò con l’acqua di un fonte, che sgorgava nelle vicinanze e, dopo aver pregato per loro, comandò che in virtù di Gesù Cristo fossero abbandonati dalla lebbra e subito guarirono totalmente con la totale remissione dei segni legati alla malattia. Il Santo li ammonì di non peccare mai più per non incorrere in una infermità più grave. All’evento miracoloso impetrato da S. Angelo, secondo il biografo, furono presenti trenta persone, tra i quali un certo Goffredo (Gotfredo) Arcivescovo di Palermo che si trovava nei bagni a causa dei dolori che lo assillavano e, immantinentemente, anche lui fu guarito (cfr. Documento n.1). A quel tempo, in realtà, era vescovo di Palermo Berardo, il quale effettivamente soffriva di una malattia reumatica [cfr. L. Jadin, Bérard de Castaca, in “Dictionnaire d’histoire et de géographie ecclésiastiques”, VIII, Paris 1935, coll. 322-324; F. Giunta, L’arcivescovo Berardo (1170 [?]-1252), “Archivio Storico Siciliano”, ser. III, 6, 1955, pp. 7-45, riedito in Idem, Uomini e cose del Medioevo mediterraneo, Palermo 1964, pp. 65-117; A. Pratesi, Berardo de Castacca, in DBI, VIII, Roma 1966, pp. 781-783]. Già lo storico Agostino Inveges (Sciacca, 1595 – Palermo, Aprile 1677) nei suoi annali corresse in Berardo il nome del detto vescovo Goffredo (cfr. A. Inveges, Annali della felice citta [sic] di Palermo prima sedia, corona del re, e capo del Regno di Sicilia nelli quali si contiene la sua origine, progressi, e varietà di stato sacro, politico, e militare, vol. III, Dell’Isola, Palermo MDCLI, p. 544). Dorothy Alberts, invece, sostiene che il vescovo palermitano aveva come nome Goffredo Berardo, ma non fornisce alcunché a sostegno (cfr. D. Alberts, Messaggero di Dio. Tacita invasione dei barbari, Booksprint, 2016, 242 pp.).
Curiosamente, il compianto storico medievista Enrico Pispisa (1944-2008), dopo aver ricordato che l’arcivescovo Bernardo nel Maggio 1217 si trovava a Cefalù, fa confusione con Cefalà e scrive che «secondo una pia tradizione, priva peraltro di qualsiasi attendibile riscontro, nel 1220, mentre risiedeva a Cefalù per una cura delle acque, Bernardo si sarebbe incontrato con il santo carmelitano Angelo che lo avrebbe guarito: probabilmente fin da allora l’arcivescovo soffriva della malattia reumatica che lo avrebbe a lungo tormentato negli anni a venire» [cfr. E. Pispisa, Berardo di Castagna (di Castacca), in Federico II. Enciclopedia Federiciana, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 2005, I, pp. 162–168].
Quale tangibile traccia del passaggio di S. Angelo a Cefalà, presso i bagni veniva mostrata nella roccia una presunta impronta rassomigliante a quella di un piede, che secondo la tradizione popolare sarebbe stata lasciata dal carmelitano (cfr. G. Pitré, Feste patronali in Sicilia, Torino-Palermo 1900, pp. 413-421; Idem, Studi e leggende popolari in Sicilia, Torino 1904, pp. 340 e segg., 354, 364).
Le acque termominerali di Cefalà Diana hanno attratto l’interesse scientifico e sono state sottoposte ad indagini fisico-chimiche almeno dalla seconda metà degli anni 70’ del Settecento. Purtroppo, a causa della somiglianza tra i toponimi Cefalà e Cefalù, alcuni studiosi hanno ingenerato una notevole confusione che qui per la prima volta mettiamo in evidenza. La presunta attività idrotermale riferita da alcuni studiosi alla rocca di Cefalù è infondata e deve invece essere riportata a quella della Cefalà normanna, cioè Pizzo Chiarastella. Si tratta di un esempio emblematico di come un errore così madornale, non solo sia sfuggito anche agli studiosi più attenti, ma sia stato reiteratamente ripetuto acriticamente soprattutto nell’Ottocento, sino ad essere scoperto solo oggi grazie alle ricerche portate avanti dagli scriventi.
La storia ebbe inizio con le ricerche del conte Michał Jan Borch (Warklany, Polonia, 30 Giugno 1753; ivi, 10 Gennaio 1810) che visitò la Sicilia nel 1776-1777. Egli era un nobile polacco, naturalizzato francese, cultore di scienze naturali e, in particolare, di mineralogia, litologia ed idrogeochimica, ma che si è occupato proficuamente anche di botanica e micologia (cfr. T. Turkowski, Borch Michał Jan, “Polski Słownik Biograficzny”. t. 2, Skład Główny w Księgarniach Gebethnera i Wolffa, Polska Akademia Umiejętności, Kraków 1936, pp. 313–314; A. Gawel, Memorial Michala Borcha z roku 1780 jako pierwsza w Polscé próba geobiochemicznych poszukiwan kruszcowych, “Prace Muzeum Ziemi”, no. 8, 1966, pp. 31-48; K. Maslankiewicz, Michal Jan Borch (1751-1810) and his activity in mineralogy and geochemistry, “Actes du XIe Congrès International d’Histoire des Sciences”, 4, Wroclaw 1968, pp. 284-86).
Il conte de Borch condensò i risultati delle sue indagini scientifiche siciliane in tre opere: Lithographie Sicilienne ou Catalogue raisonne’ [sic] de toutes les pierres de la Sicile. Propres á embellir le Cabinet d’un Amateur (Naples MDCCLXXVII), catalogo di minerali e litotipi raccolti; Lythologie sicilienne, en connaissance de la nature des pierres de la Sicile, suivie d’un discours sur la Calcara de Palerme (Benoît, Rome MDCCLXXVIII, dedicata a papa Pio VI), primo trattato sulle rocce di Sicilia; Minéralogie sicilienne docimastique et métallurgique, ou connaissance de tous les minéraux que produit l’île de Sicile, avec les détails des mines et des carrières, et l’histoire des travaux anciens et actuels de ce pay [sic]; suivie de la Minérhydrologie sicilienne, ou la Description de toutes les eaux minérales de la Sicile par l’auteur de la Lythologie sicilienne (Freres Reicenus, Turin 1780). In quest’ultima opera, lo studioso polacco fornisce un elenco ed una breve descrizione mineralogico-litologica delle località di affioramento, a cui si aggiunge una sezione conclusiva dove, per la prima volta sono descritte, alcune caratteristiche fisico-chimiche delle principali sorgenti minerali e termominerali dell’Isola. Egli, almeno per quanto risulta allo stato attuale delle ricerche, fu il primo a scambiare Cefalù per Cefalà (cfr. Documento n. 2), ma almeno ha come attenuante il fatto di essere straniero. Con questo studioso ebbe inizio, anche se ancora con mezzi abbastanza rudimentali di analisi chimica, l’esigenza scientifica e classificatoria relativa alle caratteristiche organolettiche dell’acqua termale, iniziando il percorso di valutazione da meramente qualitativa a quantitativa.
In ordine di tempo, nel 1810 segue il sac. Francesco Ferrara (Trecastagni, 2 Aprile 1767 – Catania, 12 Febbraio 1850), poligrafo, scienziato, archeologo e storico, che nella sua opera sul vulcanesimo della Sicilia, fa una breve rassegna anche delle sorgenti termali e delle emanazioni bituminose, condensando i risultati in una carta mineralogica, primo esempio di tale produzione cartografica, almeno per la Sicilia. Relativamente a Cefalà, menzionata erroneamente Cefalù, Francesco Ferrara scrisse: «Venti miglia a scirocco di Palermo, al basso di altra rupe sopra cui è Cefalù [sic, Cefalà] che forma un forte Castello, e poche miglia a ponente di Sclafani, escono altre acque di cui una fredda, una mediocremente calda e la terza calda al 44mo [°R, 55°C] dalla cui sorgente s’inalzano anche dei vapori acquosi, che riempiono tutta la cavità» (cfr. F. Ferrara, I Campi Flegrei della Sicilia e delle isole che le sono intorno o Descrizione fisica e mineralogica di queste isole, Stamperia dell’Armata britannica, Messina MDCCCX, 422 pp., nello specifico, p. 40).
L’anno successivo fu la volta di Alfio Ferrara (Trecastagni, 7 Marzo 1777 – Parigi, 27 Ottobre 1829), medico, chirurgo, oftalmologo e numismatico, fratello di Francesco e del padre maestro Agostino Maria O. Carm., docente di teologia morale nell’università di Roma (cfr. S. Vicario, Ferrara, Alfio, DBI, vol. 46, 1996, on-line all’indirizzo: https://www.treccani.it/enciclopedia/alfio-ferrara_%28Dizionario-Biografico%29/). Alfio Ferrara fu autore di una importante memoria sulle acque della Sicilia, con particolare attenzione alle sorgenti minerali e termominerali, pubblicata in Inghilterra, dove egli per un certo periodo svolse la sua attività professionale nel grande ospedale londinese Mathe e fu socio del locale Royal College of Surgeons. Questa opera di Alfio Ferrara esibisce il medesimo sbaglio già perpetrato inizialmente dal conte de Borch, seguito da Francesco fratello dell’autore, tanto che leggiamo Cifalù al posto di Cifalà/Cefalà (cfr. A. Ferrara, Memoria sopra le acque della Sicilia, loro natura, analisi, ed usi, Londra, Della Stamperia di Dennett Jaques, Lower Sloane Street, Chelsea 1811, pp. 60-62; p. 117: bagni di Cifalù; p. 127: Sotto il Castello di Cifalù; p. 131: Acque termali di Cifalù). Nonostante l’errore ripetuto nel testo, Alfio Ferrara fornisce però una collocazione topografica del sito termale che si attaglia benissimo a Cefalà, non certo a Cefalù, poiché specifica che il castello è «fabbricato pittorescamente sopra alta ed alpestre rupe nel fondo di una valle non lungi che poche miglia a ponente di Sclafani, e circa venti a scirocco di Palermo». Inoltre, Alfio aggiunge una ulteriore notizia che senza alcun dubbio dimostra che si tratta di Cefalà: «le acque di queste sorgenti unite ad altre, formano al basso il fiume di S. Michele [sic, Milicia], che va a gettarsi nel mare nella spiaggia di Solanto tra Termini e Palermo». Relativamente alla sorgente termale è doveroso sottolineare che in questa opera si accenna anche al passaggio di S. Angelo carmelitano dai bagni termali, con la guarigione dei lebbrosi. Particolare importanza rivestono soprattutto le temperature rilevate: 42 gradi Réaumur, cioè 52,5°C, e 44 gradi Réaumur, cioè 55°C, non più documentate successivamente, nonché la testimonianza relativa all’interruzione temporanea: «non è gran tempo che queste acque cessarono di sorgere per qualche spazio, ed indi rivennero». Lo studioso attribuì l’episodio all’effetto di eventi sismici e/o siccitosi prolungati, avvenuti in precedenza (cfr. Documento n. 3). Vista l’eccezionalità della scomparsa della sorgente termale di Cefalà, sembrerebbe che il regime della medesima non fosse ancora intermittente, come poi costantemente attestano le fonti bibliografiche del Novecento (cfr. M. Carapezza, G. Cusimano, V. Liguori, R. Alaimo, G. Dongarrà, S. Hauser, Nota introduttiva allo studio delle sorgenti termali dell’isola di Sicilia, “Bollettino della Società Geologica Italiana”, vol. 96, 1977, pp. 813-836, e relativa bibliografia precedente).
Il successivo risveglio di interesse sulle acque termali di Cefalà, Termini Imerese e Sclafani si lega proprio ad un evento sismico. Il terremoto del 5 Marzo 1823, avvenuto nelle tarde ore pomeridiane, fu preceduto da alcuni eventi precursori avvenuti sia alcune ore prima. sia nel mese antecedente (16 Febbraio). L’evento determinò notevoli effetti macrosismici su gran parte della Sicilia settentrionale, da Naso (VIII-IX MCS) sino a Palermo ed in una ampia fascia retrostante [cfr. F. Ferrara, Memoria sopra i tremuoti della Sicilia in marzo 1823, Dato, Palermo 1823, 60 pp.; Anonimo (C. Dolce), Sul tremuoto avvenuto in Palermo il giorno 5 marzo 1823, Abbate, Palermo 1823, p, 40; A. Gallo, Completo rapporto de’ tremuoti avvenuti in Sicilia dai 16 febbrajo del corrente anno 1823 fino a 21 aprile, in “Giornale di Scienze, letteratura ed arti per la Sicilia”, 1823, tomo I, pp. 125-144; E. Guidoboni, G. Ferrari, D. Mariotti, A. Comastri, G. Tarabusi, G. Sgattoni, G. Valensise, Catalogo dei Forti Terremoti in Italia (461 a.C.-1997) e nell’area Mediterranea (760 a.C.-1500). Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia INGV, 2018, CFTI5Med. doi: https://doi.org/10.6092/ingv.it-cfti5]. Emblematico fu poi il caso di Termini Imerese, le sorgenti termali, a seguito del sisma esibirono variazioni nelle portate e nelle caratteristiche fisico-chimiche (cfr. D. Scinà, Rapporto delle osservazioni fatte sulle acque de’ bagni in Termini in seguito del tremuoto del 5 marzo, in “Giornale dell’Intendenza di Palermo”, n. 68, 30 Giugno 1823, Pedone, Palermo 1823, pp. 44-46; A. M. Gargotta, Su i bagni termo-minerali di Termini-Imerese notizie storiche di Antonino Maria Gargotta direttore dello stabilimento colle osservazioni chimiche e medicinali su quelle acque dal medesimo riunite e pubblicate, Dato, Palermo 1830, 308 pp., si vedano le pp. 48-59).
Il 14 Giugno 1825, il medico e chimico Antonino Furitano (Lercara Friddi, 1778 – Palermo 1836) per ordine regio campionò e poi analizzò le acque termali dei tre predetti stabilimenti. Relativamente a Cefalà, misurò all’emergenza una temperatura di 31,2 °R, cioè 39 °C, molto più bassa rispetto ai dati precedenti del conte de Borch e di Alfio Ferrara (cfr. A. Furitano, Analisi delle Acque termali di Sclafani, di Cefala’ Diana, di Termini, e di quelle non termali del Bivuto, Dato, Palermo 1825, 54 pp., nello specifico, pp. 17-24).
Gli anni trenta e quaranta dell’Ottocento videro una notevole fioritura di studi in ambito medico, soprattutto in Germania, sulle proprietà delle acque minerali e termominerali con la nascita di opere di ampio respiro. Nel 1842, fu pubblicata postuma l’opera del medico e chirurgo tedesco Carl Ferdinand von Gräfe (Varsavia, 8 Marzo 1787 – Hannover, 4 Luglio 1840) dedicata alle emissioni gassose naturali dell’Italia meridionale e della Germania, grazie alle cure del collega Philipp von Walther (Burrweiler, 3 Gennaio 1782 – Monaco di Baviera, 29 dicembre 1849), coeditore della rivista specializzata Journal der Chirurgie und Augenheilkunde (cfr. C. F. Graefe, Die Gasquellen Süd-Italiens und Deutschlands, Reimer, Berlin 1842, XX+606 pp.). In tale monografia, basandosi proprio sulla Minéralogie del conte de Borch, sono citate le sorgenti termali di Cefalu (sic). L’anno seguente, nel terzo volume pubblicato postumo, dell’opera del medico e fisiologo tedesco Emil Osann (Weimar, 25 Maggio 1787 – Berlino, 11 Gennaio 1842), che descrive le caratteristiche fisico-medicinali delle sorgenti curative dei paesi d’Europa, si menziona solo Cefalu (sic) ripetendo acriticamente e pedissequamente quanto ebbe a scrivere Alfio Ferrara (cfr. E. Osann, Physikalisch-medicinische Darstellung der bekannten Heilquellen der vorzüglichsten Länder Europa’s. 3 voll., Dümmler, Berlin 1832-1843, III, 1843, p. 1151).
Nel 1846 e nel 1848, ancora un altro medico tedesco, Christian Friedrich Harless (Erlangen, 11 Luglio 1773 – Bonn, 11 Marzo 1853), pubblicò una ulteriore opera che si prefiggeva di trattare tutte le sorgenti medicinali e le terme dell’Europa meridionale e centrale, dell’Asia occidentale e dell’Africa settentrionale, utilizzate in epoca antica e moderna (cfr. Ch. F. Harless, Die sämmtlichen bisher in Gebrauch gekommenen Heilquellen und Kurbäder des südlichen und mittleren Europas, West Asiens, und Nord-Afrika’s, in alter und neuester Zeit., 2 voll., Nauck, Berlin 1846, XX+324; 1848, XVI+646). Anche lo studioso tedesco fa riferimento a delle sorgenti termali che egli esplicitamente finisce per ubicare a Cefalù, sulla scorta del conte de Borch e di Alfio Ferrara (che erroneamente chiama Alfons, cioè Alfonso). Lo studioso, dovendo citare anche le analisi di Furitano, correttamente ubicate a Cefalà, finisce per sospettare che ci sia qualcosa di anomalo, tanto da scrivere: «ma dove si trova questa Cefala Diana, o se è la stessa della Cefalù precedente, non sono riuscito a scoprirlo, e forse lo potrò affermare in seguito» (cfr. Ch. F. Harless, op. cit., II, p. 77, n. 12).
Nella seconda metà dell’Ottocento, con lo sviluppo degli studi sulla balneoterapia si ebbe una vera e propria fioritura di opere sulle acque termali italiane, generalmente a carattere enciclopedico e purtroppo spesso meramente compilative, nelle quali continuò a protrarsi la confusione tra Cefalà e Cefalù, con voci distinte nei vari repertori.
Il medico napoletano Antonio Perone, ex ispettore del Consiglio Superiore della Sanità, nel suo dizionario universale delle acque minerali relativamente a Cefalù riporta i dati di Alfio Ferrara, mentre per Cefalà (che addirittura chiamò Cefalù Diana o Diana di Cefalù) si affidò a quelli di Furitano, senza minimamente sospettare di aver duplicato una unica manifestazione idrotermale [cfr. A. Perone, Dizionario universale topografico storico fisico-chimico terapeutico delle acque minerali e delle precipue mofette [sic] e fumane di terreni evaporanti, ed emettenti fango, fino ad ora conosciute in tutte le provincie italiane, Trani, Napoli 1870, VI+1244 pp., in particolare, pp. 333-335]. Luigi Marieni (Averara, 7 Agosto 1800 – Milano, 26 ottobre 1874), infettivologo e medico dell’Ospedale maggiore di Milano, autore di pubblicazioni a carattere enciclopedico, non si discostò gran che da quanto scritto dal Perone continuando a commettere i medesimi errori nel distinguere Cefalà e Cefalù come due differenti manifestazioni idrotermali (cfr. L. Marieni, Geografia Medica dell’Italia. Acque minerali, F. Vallardi, Milano 1870, 664 pp., in particolare, pp. 181-182).
Il geologo di ascendenza inglese William (Guglielmo) Paget Jervis (Belgaum, Karnataka, India, 15 Novembre 1832 – Torino, 18 Febbraio 1906), nella sua guida a carattere enciclopedico sulle acque minerali d’Italia, continuò a perpetrare la confusione tra Cefalà e Cefalù ed a proposito di quest’ultima ebbe a scrivere: «L’Acqua salina di Cefalù scorre al livello del mare al piede del promontorio sul quale ergevasi anticamente la città di Cefalœdium, a pochi passi da Cefalù verso nord [allude a Presidiana]. Storia. L’acqua di Cefalù fu adoperata nel secolo XIII nella cura della lebbra [sic, è quella di Cefalà], ma né consta con quale risultato, né si sa il luogo preciso della scaturigine, per verificare se fosse identica con quella in parola» (cfr. G. Jervis, Guida alle acque minerali d’Italia coll’indicazione delle proprietà fisiche, chimiche e mediche delle singole sorgenti e cenni storici, geologici e climatologici corredata di tre specchi sinottici, contenenti le migliori analisi chimiche e numerose illustrazioni originali in fotografia, litografia e xilografia per cura di Guglielmo Jervis, Province Meridionali, Ermanno Loescher, Roma-Torino-Firenze 1876, XVIII+304 pp., in particolare, p. 200).
In tale errore, basandosi sugli scritti di Francesco Ferrara, è incappato anche il sac. Giuseppe Mercalli (Milano, 21 Maggio 1850 – Napoli, 18 Marzo 1914), geologo, sismologo e vulcanologo (cfr. G. Mercalli, Vulcani e fenomeni vulcanici in Italia, A. Vallardi, Milano 1883, 374 pp., in particolare, p. 193).
Finalmente, Giuseppe Scipione Vinai, medico ed idrologo, direttore dello Stabilimento idroterapico di Andorno ed il collega Rodolfo Pinali, nella loro opera sulle acque minerali e sugli stabilimenti termali, accennano alla sorgenti termali di Cefalà Diana ed a quella minerale salina fredda di Cefalù, cioè Presidiana, senza prendere in considerazione le fonti tardo-settecentesche ed ottocentesche (cfr. G. S. Vinai, R. Pinali, Le Acque Minerali e gli Stabilimenti Termali Idropinici ed Idroterapici d’Italia. Guida redatta sotto gli auspici della Associazione medica italiana d’idrologia, di climatologia e di terapia fisica, a cura della Società A. Wassermann, 2 voll., Grioni, Milano 1916-1923, pp. VII+466;VI+534 pp., in particolare, II, pp. 382-383 e 384).
Concludendo, la nostra indagine, attraverso un approccio interdisciplinare e multidisciplinare, per la prima volta è riuscita finalmente a mettere in luce l’inconsistenza del presunto termalismo di Cefalù, legato alla confusione con Cefalà Diana.
L’analisi preliminare dei dati acquisiti dagli scriventi, relativamente alla sorgente idrotermale che approvvigionava l’antico stabilimento (oggi rifornito dal Pozzo Chiarastella), induce ad auspicare una futura revisione del modello idrogeologico proposto nel 2006 (cfr. G. Avellone, A. Contino, G. Cusimano, A. Frias Forcada, Studio idrogeologico del circuito idrotermale della sorgente Bagni di Cefalà Diana. “Acque Sotterranee”, Giugno 2006 n. 3, fasc. 101, Geograph, Segrate, Milano, 2006, pp. 45-53).
Cefalà Diana attende ancora una oculata politica di sostegno che, al pari di altri centri datati della risorsa geotermica, potrebbe fattivamente contribuire al rilancio economico, attraverso l’affermazione di un appropriato e qualificato turismo culturale, capace di valorizzare le peculiarità geologiche (soprattutto stratigrafiche, strutturali, geomorfologiche, geotermali, geoambientali), archeologiche, storiche, artistiche, etnoantropologiche etc., per una crescita sostenibile del territorio.
Patrizia Bova e Antonio Contino
Dedichiamo questa nostra ricerca all’indimenticabile e sempre compianto amico e collega prof. Gioacchino Cusimano (1947-2018) fulgido esempio di docente e studioso nel campo delle Scienze della Terra.
Appendice documentaria
Documento n.1
- Bellorosio, Vita S. Angeli Hierosolymitani, Martyris, Doctoris, Virginis, Ех Ordine beatæ Virginis Мariæ de Monte Carmelo‚ scripta anno 1227. ab oculato Teste Enoch Patriarchi Hierosolymitano; in Capita digesta editi an.1527. per Thomam Bellorosium Canon. Panormitanum, Panormi 1527.
[pp. 173-174] 129. Porrò transeunti per balnea Cephalitana, in ipso thermarum loco inventi sunt septem Viri leprosi videlicet Joannes Drepanensis Pinus Thermentis [sic, Thermensis], Franciscus Pactensis, Andreas Nothensis, Lazarus Randacensis, Antonius Calathamixentis [sic, Calathanixectensis], Manfredus Suteranus, quibus cum aliquamdiu balneorû[m] custos contenderat, prohibens ne balneum intrarent, ipsum leprosorum non esse attestans. Tum ille eorum contraversiam audieris, dixit: Pacem habete, precor, viri Christiani, & audite obsecro: creditísne balnei virtute sanitatem vobis rеstitui posse? At illi Credimus, inquiunt. Tunc Angelus: Error certè vester еst viri Christiani aliâ[m] enim viâ[m] sànitas vobis quaerenda еst: poenitere vos peccatorum oportet, contritione præviâ[m] confessio vestra est mеdicina, quâ[m] sine balnei ingressu jam liberati erítis. His auditis sancti Viri monitis parent & pœnitentiæ sacramentum perficiunt. Quos Angelus proximi fontis aquâ[m] propriis manibus lavat, & oratione præhabitâ[m] per virtutem Jesu Christi lepram abire jubet, subitoque eorum carnes mundissimæ visæ, sunt, ac si nunquam lepræ contagiô laborassent. Sanatis verò Angelus dixit: Cavete, nè in aliam, peccando, graviorem ægritudinem incidatis; scelus enim infirmitatis causa еst, & peccatum in Deum, & proximum. Fecit autem vir Dei sa nctus hoc miraculum palàm: quod manifestum fuit viris centum & triginta præsentibus, præcipuè verò Gotfridô Panhormitanô Æpiscopô, qui doloribus pressus in balneis morabatur. Et Deum magnificans in sancto Viro Angelo subitò & ipse sanus fuit.
Documento n. 2
Comte de Borch, Minéralogie sicilienne docimastique et métallurgique, ou connaissance de tous les minéraux que produit l’île de Sicile, avec les détails des mines et des carrières, et l’histoire des travaux anciens et actuels de ce pay [sic]; suivie de la Minérhydrologie sicilienne, ou la Description de toutes les eaux minérales de la Sicile par l’auteur de la Lythologie sicilienne, Freres [sic, Frères] Reicenus, Turin 1780, LXXX+264 pp., tabl. 13.
Segnatura: Bibliothèque nationale de France, département Sciences et techniques, S-20542. http://catalogue.bnf.fr/ark:/12148/cb301311460.
[p. 253] 4. Eau sulphureuse [sic, sulfureuse] de Cefalu [sic, Cefalà] hors de la cité.
Cette eau est semblable à celle de Termini excepté qu’elle est un peu alkaline, ce qui lui donne un goût un peu acre; sa limpidité est moindre & son degré de chaleur est à 39 & demi, suivant le Thermometre [sic, Thermomètre] de Réaumur [49,375 °C].
Documento n. 3
- Ferrara, Memoria sopra le acque della Sicilia, loro natura, analisi, ed usi, Londra, Della Stamperia di Dennett Jaques, Lower Sloane Street, Chelsea 1811, pp. 60-62.
Al piede del Castello di Cifalù [sic, Cefala] fabbricato pittorescamente sopra alta ed alpestre rupe nel fondo di una valle non lungi che poche miglia a ponente di Sclafani, e circa venti a scirocco di Palermo, vicino ad una sorgente fredda evvene [sic] una mediocremente calda, ed un altra al calore del 42 [gradi Réaumur, 52,5°C] al 44 [gradi Réaumur, 55°C]. In questa ultima l’acqua esce in vapore in una gran parte, e riempie la cavità, dal fondo della quale essa sorge, ed indi addensata dalla temperatura dell’aria ambiente cade in gocciole sopra le pietre, e sopra il terreno della stessa cavità. Queste acque delle quali nessuno degli antichi fece alcuna menzione, non sono solforose come alcuno dei moderni ha detto, né alluminose come le disse un altro; contengono poca quantità di sali magnesiaci, onde leggermente purgano, il ventre, tostochè sonosi, raffreddate, si bevono comunemente la più antica memoria, che ne abbiamo è quella, che si trova nella vita di S. Angelo Carmelita, che fiori nel secolo decimoterzo, il quale sanava i leprosi [sic] strofinandoli con quell’acqua calda. Alcuni caratteri nella stessa rocca hanno fatto sospettare che siano punici [sic], e che le acque siano state in uso nel tempo, che i Saraceni ebbero l’Isola, ma si riconosce che sono delle incisioni fatte a capriccio nella pietra, e forse casuali. Si era detto, che vi era una interna comunicazione dall’alto del Castello sino al fondo della sorgente, ma non si è potuta trovare mai. Non è gran tempo che queste acque cessarono di sorgere per qualche spazio, ed indi rivennero; questo ed altri simili fenomeni debbono attribuirsi o a lunghe siccità, o ad effetti delle scosse, che otturano i canali sotteranei [sic], ed impediscono lo scolo delle acque, sinché radunate queste possano fare un empito per rompere gli argini, ed aprirsi, l’antica strada. Si va a queste acque per uso di bagni, e per sudare nella capacità ripiena dai vapori acquei. Le acque di queste sorgenti unite ad altre, formano al basso il fiume di S. Michele [sic, Milicia], che va a gettarsi nel mare nella spiaggia di Solanto tra Termini e Palermo.
[p. 131] Acque termali di Cifalù [sic, Cefalà].
Calde a 42. in 44. di R.
Due libre [sic] danno.
Solfato di magnesia 8 1/2
Carbonato di magnesia 3
Carbonato di calce 5 2/3
Solfato di calce 1 1/2
Ferro 1/8
Allumine 1/2
Sono limpide, hanno un colore cristallino, e non danno alcuno odore sensibile.