Prossima alla demolizione, la casa-studio dello scultore termitano Filippo Sgarlata, uno dei maggiori artisti del Novecento italiano.
Venduta dagli eredi a privati sembra sia stato presentato al Comune un progetto per la sua demolizione. Al suo posto un anonimo edificio a due elevazioni fuori terra, che cancellerà un pezzo di storia di Termini Imerese. Sembra anche che la Soprintendenza ai Beni Culturali di Palermo abbia espresso parere favorevole a tale nefasta iniziativa.
Ancora una volta, tra l’indifferenza generale, una comunità vede cancellare una importante testimonianza della propria storia.
Sembra che l’edificio non solo non sia stato inserito tra le emergenze architettoniche nel Piano Regolatore del Comune, ma che addirittura si possa demolire e non mantenerlo con interventi di restauro conservativo, pur magari cambiandone la destinazione d’uso.
Ci chiediamo come mai l’Ufficio Tecnico e le Amministrazione che si sono succedute non abbiano provveduto a porre vincoli affinché non si arrivasse a tale situazione, o ancora meglio acquistare la casa-studio per farne ad esempio un museo delle sue opere?
La casa-studio dello scultore Filippo Sgarlata è stata costruita dall’artista dopo il suo rientro dall’America, con ogni probabilità intorno al 1932. L’edificio si presenta volumetricamente compatto. La pianta della casa doveva originariamente essere di forma rettangolare. in epoca successiva (intorno agli anni ‘50) è stato realizzato il lucernario e successivamente un basso corpo nella parte retrostante, lato nord-est.
La parte che prospetta la Via Falcone e Borsellino è rifinita con uno stile eclettico che si rifà all’architettura arabo-normanno. Così, varcato il cancello in ferro che ci ricorda le arcate intrecciate della facciata del duomo di Cefalù e sostenuto da due pilastri in conci di tufo sormontate da due cupolette prestate da S. Giovanni degli Eremiti, ci si avvia per la stretta scala rivestita da pedate, realizzate in graniglia di colore bianco. Il piano della casa-studio è posto a circa m. 2,30 dal piano stradale ed arretrato rispetto alla carreggiata. Un’area destinata a giardino si protende verso la strada, sostenuta da un muro in pietrame calcareo, una volta rivestito da intonaco e rifinito in sommità da una cimasa a dentello e mattone di cotto. L’ingresso dell’edificio avviene da un portoncino posto centralmente, caratterizzato dall’arco a sesto acuto.
Tre aperture poste al piano primo ritmano il prospetto principale. Realizzate a doppia ghiera a sesto acuto, sono chiuse da un parapetto decorato in sommità e sulla cui superficie doveva molto probabilmente alloggiare una medaglia. Analoghe aperture si trovano sui due prospetti laterali, che si appoggiano a due finestre di forma rettangolare, che illuminano i due ambienti di piano terra.
Gli infissi sono in ferro, con vetrate e rete a maglia romboidale. Tutta questa parte è rifinita esternamente con intonaco di colore ocra, tipo muratura in conci di tufo. La cimasa di coronamento si presenta con archetti ogivali. Varcato il portoncino di ingresso, un piccolo corridoio disimpegna una modesta cucina e una camera, mentre da una scala adiacente la cucina si accede a due locali soprastanti. Servivano certamente tali ambienti per quei momenti in cui il lavoro richiedeva una permanenza maggiore. Lo studio era subito dopo tali ambienti. Vi si aprivano per ogni lato tre finestre ad archi ogivali, di cui due più ampie. Nella parte retrostante si apriva solamente un portone . L’altezza di tale locale, la cui luce doveva penetrare tramite queste finestre, era di m. 5,70. Oggi tale ampio locale si presenta ”forato” nella parte centrale con la creazione di un torrino-lucernario, con copertura a falda inclinata. Tale corpo è certo stato realizzato in occasione della realizzazione della porta bronzea della Cattedrale di Palermo. L’esigenza di poter lavorare alle formelle, senza rinunciare ad una visione generale dell’opera, costrinse l’artista ad apportare delle modifiche al suo studio.
Strutturalmente l’edificio è realizzato in muratura portante in conci di tufo, con un solaio realizzato in calcestruzzo gettato in opera. La copertura è piana, rivestita con dei mattoni di graniglia, mentre il lucernario ha una copertura con travi in legno, tavolato e tegole marsigliesi.
Tutto questo rischia di scomparire.
Sarebbe opportuno che l’Amministrazione comunale, che dichiara ad ogni piè sospinto di avere a cuore la tutela del patrimonio storico della città, si attivasse mettendo in campo ogni iniziativa utile a bloccarne la demolizione. Inoltre sarebbe il caso anche di verificare se la Soprintendenza era a conoscenza che questo edificio di stile eclettico, della prima metà del Novecento, costruito peraltro a pochi metri dall’acquedotto Cornelio, era la casa-studio dello scultore Filippo Sgarlata.
Esiste una legge che tutela gli studi di artisti, facciamo si di non perdere anche questo patrimonio collettivo che racconta la storia del grande scultore medagliere che scelse di vivere in questa città e ne rappresenta ancora una delle figure più prestigiose dell’ultimo secolo.
No, non lo dovete permettere, rappresenta un pezzo di storia della nostra città…
La notizia provoca indignazione. Tempi oscuri, questi, in cui con un colpo di ruspa – da ignoranti o, peggio, da consapevoli – ci si può permettere di cancellare la memoria di chi arrecò la sua quota di lustro alla cultura, non solo locale. Ma già un merito che fosse solo locale imporrebbe la custodia e la cura della memoria. Il merito di Sgarlata fu certamente più ampio di quello paesano, dunque questa notizia è ancora più sconfortante. Che vergogna.
Assurdo!!!! si demolisce un pezzo di memoria della nostra città, mentre ancora permettiamo che restino in piedi transenne attorno a case crollate diventate pericolo per tutti e disgusto per chi abita lì attorno, come a Termini bassa in Via Salemi Oddo… Vergogna!!!!
Spero che l’amministrazione comunale fermi questo scempio e promuova il restauro dell’edificio.
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