La siccità è una condizione meteorologica transitoria in cui si manifesta un tangibile decremento delle precipitazioni, rispetto alle condizioni medie climatiche di una certa zona, sufficientemente estesa arealmente (cfr., ad es., WMO – World Meteorological Organization, Drought monitoring and early warning: concepts, progress and future challenges. WMO-No. 1006, Geneva 2006, 24 pp.; G. Schmidt, J. J. Benítez, C. Benítez, Working definitions of water scarcity and drought. EU & CIS Document in the framework of the activities of the EU CIS “Expert Group on Water Scarcity & Droughts”, 12 pp., 2012).
Il crescente impatto antropico a livello globale ha determinato un notevole incremento dei fattori di pericolosità legati agli eventi siccitosi (cfr. A. F. Van Loon, K. Stahl, J. Di Baldassarre, J. Clark, S. Rangecroft, N. Wanders, T. Gleeson, A. IJ. M. Van Dijk, L. M. Tallaksen, J. Hannaford, R. Uijlenhoet, A. J. Teuling, D. M. Hannah, J. Sheffield, M. Svoboda, B. Verberein, T. Wagener, H. A. J. Van Lanen, Drought in a human-modified world: reframing drought definitions, understanding, and analysis approaches, “Hydrology and Earth System Sciences”, 20, 2016, pp. 3631–3650). Il bacino del Mediterraneo, per la sua peculiare collocazione geografica, costituisce un’area particolarmente vulnerabile agli eventi siccitosi (cfr. M. Hoerling, J. Eischeid, J. Perlwitz, X. Quan, T. Zhang, P. Pegion, On the increased frequency of Mediterranean drought, “Journal of Climate”, 25, 2012, pp. 2146–2161). L’aumento degli estremi climatici come la siccità viene sempre più spesso paventato per i scenari futuri proprio per le regioni del Mediterraneo (cfr., ad es., C. Tebaldi, K. Hayhoe, J.M. Arblaster, G.A. Meehl, Going to the extremes: an intercomparison of model-simulated historical and future changes in extreme events, “Climatic Change”, 79, 2006, pp. 185–211).
In funzione delle varie sfere d’impatto, la siccità viene classificata in quattro tipologie principali: 1. meteorologica, definita sulla base del grado di siccità relativa alla mancanza di pioggia in un certo periodo di tempo ed in una determinata area; 2. agricola, relativa all’impatto sul suolo e sottosuolo e, conseguentemente, sulla quantità e qualità dei raccolti; 3. idrologica, relativamente all’impatto sulle risorse idriche e sul rifornimento idrico del suolo e del sottosuolo; 4. socio-economica, relativamente agli effetti sulle società e sulle condizioni economiche, soprattutto in caso di prolungata durata della crisi e del suo impatto sui processi spazio-temporali della domanda e dell’offerta (cfr., ad es., R. R. Heim, A review of twentieth-century drought indices used in the United States, “Bulletin of American Meteorological Society”, 83, 2002, pp. 1149–1165).
Le siccità rappresentano dei rilevanti estremi climatici ed una delle pericolosità naturali più importanti, con rilevanti ricadute negative, sia sull’ambiente naturale, sia su quello antropico. Le comunità umane sono fortemente dipendenti dalla presenza di risorse idriche, per il consumo potabile, per l’irrigazione naturale o artificiale, per gli allevamenti etc.
La relativa fragilità delle comunità umane nei confronti delle siccità è testimoniata nel passato dal declino e dalla scomparsa di intere civiltà per effetto di prolungati deficit idrici (cfr., ad es., P. de Menocal, Cultural responses to climate change during the Late Holocene, “Science”, 2001, 292, pp. 667–673; R. Drysdale, G. Zanchetta, J. Hellstrom, R. Maas, A. Fallick, M. Pickett, I. Cartwright, L. Piccini, Late Holocene drought responsible for the collapse of Old World civilizations is recorded in an Italian cave flowstone, “Geology”, 34, 2006, pp. 101–104). Ancor oggi, come è avvenuto nel corso dei millenni, sono in atto movimenti migratori di popolazioni, più o meno cospicui, dalle regioni aride alla ricerca di zone più umide che offrano migliori condizioni di vita.
Nelle nazioni cattoliche, nel periodo investigato, avvenivano delle cerimonie, dette rogazioni pro pluvia, nelle quali si pregava implorando la divina maestà della grazia della pioggia per porre fine ai periodi siccitosi. Queste tipologie di rogazioni avevano un iter ben codificato ed erano generalmente richieste dalle fasce sociali più direttamente coinvolte, soprattutto quelle afferenti al comparto agricolo. Non di rado erano i rappresentanti delle stesse corporazioni di agricoltori e giardinieri che ne facevano domanda agli amministratori locali, paventando danni od addirittura la perdita del raccolto. Le autorità locali, a loro volta, valutata la situazione, si rivolgevano a quelle ecclesiastiche che davano l’assenso alla celebrazione di riti liturgici con una specifica gerarchia in funzione della gravità ed ampiezza dell’evento siccitoso [cfr. J. Martín-Vide, M. Barriendos, The use of rogation ceremony records in climatic reconstruction: a case study from Catalonia (Spain), “Climatic Change”, 30, 1995, pp. 201–221; M. Barriendos, Climatic variations in the Iberian peninsula during the late Maunder minimum (AD 1675–1715): an analysis of data from rogation ceremonies, “The Holocene”, 7, 1997, pp. 105–111).
Le fonti storiche che riportano serie di rogazioni sono particolarmente ricercate nell’ambito degli studi climatologici perché costituiscono un notevole ausilio nell’analisi degli eventi estremi [per ulteriori approfondimenti, cfr. ad es., E. Piervitali, M. Colacino, Evidence of drought in western Sicily during the period 1565–1915 from liturgical offices, “Climatic Change”, 49, 2001, pp. 225–238; R. Brázdil, A. Kiss, J. Luterbacher, D. J. Nash, L. Řezníčková, Documentary data and the study of past droughts: A global state of the art, “Climate of the Past”, 14, 2018, pp. 1915–1960; E. Garnier, Historic Drought from archives. Beyond the Instrumental Record, in A. Iglesias, D. Assimacopoulos, H. A. J. Van Lanen, (eds.), Drought Science and Policy, Wiley-Blackwell, 2019, pp. 45–67].
Una lunga successione di eventi siccitosi funestò la Sicilia nella seconda metà del Cinquecnto raggiungendo effetti cospicui tra la fine del detto secolo ed il primo decennio del Seicento.
Nell’isola, posta nel cuore del Mediterraneo, negli anni 60’ del Cinquecento sono documentate diverse annate siccitose, legate ad ondate di scirocco, che con il loro soffio ardente, determinarono effetti deleteri attestati nel Termitano e nelle Madonie, come abbiamo puntualmente documentato in un nostro precedente studio (cfr. P. Bova, A. Contino, Scirocco e siccità a Termini Imerese e nelle Madonie negli anni 60′ del Cinquecento, “Esperonews Giornale Termini Cefalù Madonie”, Domenica, 28 Luglio 2019, on-line su questa testata giornalistica). La scarsezza raggiunse l’acme nel 1569 e fece di nuovo la sua comparsa con una “gran penuria”, esattamente un decennio dopo.
Negli anni 1582-84, 1589-92, 1594, 1595, si ebbero altre siccità, accompagnate da carestie e febbri infettive.
Nel 1595, inoltre, non solo dominò in maniera incontrastata la siccità, ma vi furono anche improvvise e perniciose piogge torrentizie che allagando le campagne fecero marcire il raccolto nei covoni e nelle aie dando il colpo di grazia ad una annata già manifestatasi sfavorevole. Ciò appare documentato da una relazione del viceré di Sicilia, Gaspar de Guzmán y Pimentel Ribera y Velasco de Tovar, conte di Olivares (Roma, 6 Gennaio 1587 – Toro, 22 Giugno 1645), inviata a Filippo II di Spagna (Valladolid, 21 Maggio 1527 – San Lorenzo de El Escorial, 13 Settembre 1598). La detta relazione fu poi data alle stampe a Palermo nel 1685 [cfr. Conde de Olivares, Relación del conde de Olivares sobre el govierno de Sicilia, donde fue virrey el año 1592 hasta el 1596, en el qual se trata también materia de guerra y d’estado, en su partida el año 1596, al Marqués de Irache su sucessor y presidente en dicho reyno, Palermo 1685, pp. 51-52]. Della versione manoscritta, datata 1596, si conservano diverse copie presso la Biblioteca Comunale di Palermo, d’ora in poi BCP, tra le quali ricordiamo quella ai segni Qq D 190. Il manoscritto inviato in Spagna, invece, è consultabile presso la Real Academia de Historia in Madrid, ai segni Ms. 9/3947.
Il culmine di tale sequela di calamità si raggiunse nel fatidico anno indizionale 1597-98 quando si diffuse una gravissima e perniciosissima epidemia di vaiolo (cfr., ad es., D. Ligresti, Dinamiche demografiche nella Sicilia moderna: 1505-1806, Angeli, Milano 2002, 224 pp., in particolare, p. 108).
Relativamente al terribile evento del 1589-92, ci sembra opportuno riportare quanto ebbe a scrivere il canonico e diarista palermitano Dott. Don Giovanni Battista La Rosa Spatafora (1552-1637). Il primo editore dell’opera del detto diarista fu mons. Gioacchino Di Marzo (Palermo, 2 Dicembre 1839 – Palermo, 4 Aprile 1916), bibliografo e storico dell’arte, che utilizzò soprattutto la copia manoscritta trascritta dal canonico e storico palermitano Antonino Mongitore (Palermo, 4 Maggio 1663 – ivi, 6 Giugno 1743), conservata nella BCP, ai segni Qq C 71.
Nell’edizione a stampa curata dal Di Marzo, si legge: «Nel 1591 e 1592. Nel tempo di detto viceré conte d’Alba [Diego Enríquez de Guzmán conte di Alba de Liste o Alvadeliste, nominato il 26 Gennaio 1585, a fine mandato partito per Madrid il 16 Marzo 1592],vi fu una stupendissima [sic] carestia in Palermo e per tutto il regno, per la molta estrazione di formenti [sic] che si fece; e perciò si morivano migliara di persone. E il senato di Palermo comprò il fromento [sic] ad onze 8 la salma [misura di peso “alla grossa”, pari a 253,89 kg; di capacità per aridi, pari a 275,89 l] e più, e lo sfaceva [sic] ad onze 4; onde s’interessò di 200 mila scudi. E fu manifestamente liberata questa città da detta fame per intercessione di s. Cristina e la beatissima vergine Maria, come il tutto si può vedere per la tabella di marmo posta sopra l’arco del tocco [loggia] innanti la porta della chiesa di s. Maria la Catena, fatta a posta per narrare il detto miracolo: dove si portò il corpo di detta Santa in processione» (cfr. G. Di Marzo, Diari della città di Palermo dal secolo XVI al XIX pubblicati sui manoscritti della Biblioteca Comunale, in “Biblioteca storica e letteraria di Sicilia”, vol. II, Pedone Lauriel, Palermo MDCCCLXIX, XIX+319, in particolare, pp. 260-261).
Un’altra fonte sincrona, particolarmente interessante è l’opera in lingua spagnola del Dottor Fancesco Fortunato, Maestro Razionale del Real Patrimonio del Regno di Sicilia (presidente della magistratura contabile), redatta probabilmente su incarico del nuovo viceré Enrique de Guzmán y Ribera conte di Olivares, nella quale si attribuiva l’origine della scarsezza del raccolto del 1591 alla perniciosa nebla [ruggine delle piante] che colpì pesantemente le messi, proprio nel pieno della maturazione delle spighe, danneggiando irrimediabilmente il raccolto, tanto che la Sicilia, che egli definisce “madre del grano” (madre del trigo), fu costretta ad importare il frumento [cfr. A. Baviera Albanese, a cura di, Los avertimientos del doctor Fortunato sobre al governo de Sicilia (1591), Società Siciliana di Storia Patria, collana Documenti storia di Sicilia, 15, Palermo 1976, 162 pp., nello specifico, pp. 94-95).
Oltre ai raccolti, le risorse idriche della regione furono uno dei bersagli principali di queste sequele di eventi siccitosi, con un impatto in primis sui corpi idrici superficiali, quali fiumi e torrenti, in secundis su quelli sotterranei, con pesanti decrementi di portata di sorgenti e di pozzi idrici. Del resto, il prolungarsi della serie di eventi siccitosi dovette necessariamente determinare degli evidenti riflessi nei volumi d’acqua naturalmente disponibili all’infiltrazione, sino a determinare un certo depauperamento dei corpi idrici sotterranei, di cui si ha testimonianza almeno per i monti di Termini Imerese-Caccamo, che si rese manifesto nei diminuiti efflussi sorgentizi. Le sorgenti, come è noto, costituiscono degli indicatori precoci degli effetti che una riduzione degli afflussi produce sulle acque sotterranee.
Emblematico di una situazione di progressivo depauperamento degli acquiferi calcareo-dolomitici e carbonatico-silicoclastici, appare il caso del notevole decremento, e probabilmente anche del temporaneo esaurimento, della sorgente detta dell’Acquanova nel comune di Caccamo (oggi nel libero consorzio dei comuni della città metropolitana di Palermo). Questa scaturigine, sita alle pendici occidentali del Monte Rotondo (919 m s.l.m., prosecuzione occidentale del Monte S. Calogero, 1326 m s.l.m.), era il punto d’origine del torrente Barratina (che sfocia poi ad oriente del centro storico di Termini Imerese).
Lo stesso idronimo Acquanuova, presuppone che, in tempi ancora più remoti, la cittadina era alimentata da un’altra sorgente poi esauritasi, designata Acquavecchia quando gli abitanti furono costretti ad appresare la nuova scaturigine.
I Deputati della Fabbrica dell’acquedotto di Caccamo, volendo porre rimedio alla pesante crisi idrica che aveva colpito l’abitato, affidarono gli opportuni lavori all’architetto del comune di Termini Imerese, Antonino Spatafora (Palermo, c. 1552/53 – Termini Imerese, 22 Giugno 1613). Quest’ultimo, evidentemente dopo aver effettuato diversi sopralluoghi, misurato gli efflussi e studiato i possibili interventi, il 29 Gennaio XIVa Indizione 1600 (1601) si obbligò con i predetti Deputati a far eseguire gli opportuni lavori al capo di lacqua [sic] di questa terra chiamata lacquanova [sic] ed addirittura a duplicare la portata che esibiva la sorgente in quel torno di tempo (cfr. Archivio di Stato di Palermo, sezione di Termini Imerese, d’ora in poi ASPT, notai defunti, atti di notar incognito di Caccamo, 1599-1601, vol. 583, ff. 135r-154v). Il rogito accenna esplicitamente alla «calamità dell’acqua» che «molti anni addietro» aveva interessato questa area cagionando il depauperamento della sorgente. I lavori diretti dallo Spatafora, volti a migliorare la resa della scaturigine, dovettero giungere ai risultati attesi, tanto che egli ricevette il compenso di once 10, come da mandato del 18 Giugno XIVa Indizione 1601 per i lavori eseguiti (cfr. Idem, f. 282). E’ probabile che lo Spatafora abbia fatto asportare parte della coltre detritica dalla quale sgorgava la sorgente, entrando poi direttamente in falda attraverso una vera e propria trincea drenante.
Dopo pochi anni da questo intervento, si verificarono delle perdite nella condotta di adduzione (incatusato) ed il 13 Maggio IIIa Indizione 1605, il termitano Mastro Filippo de Amatore fu incaricato di fare gli opportuni ripari, in uno con l’appalto di manutenzione dell’acquedotto comunale caccamese per sei anni, ricevendo un compenso di once 45 (cfr. ASPT, notai defunti, atti di un anonimo notaio di Caccamo, vol. 626 s.n.).
Le carestie fecero nuovamente sentire il loro peso negli anni 1602-1604, cui fece seguito la fugace parentesi del discreto raccolto del 1604-5, mentre ripresero immediatamente vigore nel 1606 (cfr., D. Ligresti, Dinamiche demografiche…ibidem)
Nel Termitano, nella primavera-estate del 1602 si ripresentò la siccità che danneggiò il raccolto cerealicolo e fece avvizzire le uve, tanto da determinare la successiva «scarsezza di frumento» e la «sterilità dei vini» (cfr. Atti dei Magnifici Giurati della Splendidissima e Fedele Città di Termini, d’ora in poi AMG, anno indizionale 1601-1602, ms. della Biblioteca Comunale Liciniana di Termini Imerese, d’ora in poi BLT, ai segni II 10 a 19).
A Termini Imerese, il 12 Ottobre Ia Indizione 1602 i Giurati emanarono un bando di divieto della pratica di conservazione del grano in apposite fosse, più o meno grandi, scavate nel terreno: «nessuna p[erso]na possa ne debbia fare infossare formenti», proprio per evitare accaparramenti volti a lucrare sul prezzo di vendita (cfr. AMG, anno indizionale 1602-1603).
Riguardo Palermo ed il suo territorio, il già citato canonico e diarista La Rosa Spatafora ci informa della tragica situazione di assenza di piogge, con notevoli danni soprattutto per il comparto agricolo dedito al raccolto ed alla commercializzazione del grano.
L’evento siccitoso, purtroppo, avvenne proprio durante la fase più delicata del ciclo produttivo del cereale, sottoponendolo ad un notevole stress idrico che dovette determinare il rallentamento del metabolismo, una scarsa attività fotosintetica ed una inadeguata disponibilità azotata rispetto alla progressiva richiesta legata alle fasi fenologiche.
In tale contesto, vennero organizzate due successive rogazioni per impetrare Iddio della grazia di fare cessare il flagello con l’agognata pioggia ristoratrice. Nella prima, furono condotte in solenne processione i reliquiari a cassa (casci) delle sante patrone Cristina e Ninfa, nonché il simulacro ligneo del SS. Crocifisso della Cattedrale di Palermo: «A 12 d’aprile 1602. Dalli primi di marzo insino ad oggi non ha cascata gocciola d’acqua. Per la qual cosa ogni cosa é quasi persa; li lavori [le piantine verdeggianti del grano] sono fatti quasi palidi [sic, pallidi]; l’arbori [sic] hanno perso li frutti, et in fine la terra desidera talmente l’acqua, a guisa che fa l’inferno, con gran febre [sic, febbre]. Per la qual cosa ognuno piange per pietà, e dicono: forse abiamo [sic, abbiamo] errato. Per il che [sic] oggi li giorati [sic, giurati, civici amministratori] e monsignore ill[ustrissi].mo conducèro [sic] li casci di s. Cristina e s. Ninfa et il legno della Croce per l’acqua; et con li patri delli Scalzi vi venne quel servo di Dio detto fra Luca [Nicastro da Cerami], portante sopra le spalle una ponderosa croce, et sempre gridando: misericordia misericordia. Ai quali seguivano li giurati et mons[ignore]. ill[ustrissi].mo e molti uomini e donne, tutti pregando la gloriosa vergine Maria, che ripari i flagelli che per li nostri peccati meritamo [sic, meritiamo], e che ci doni la grazia in questa vita, e nell’altra la vita eterna.
A 22 d’aprile 1602. La sera, ad ori [sic, ore] tre di notte, vennero in città in processione, pregando Dio per la pioggia, li padri Cappuccini, gridando misericordia. Et ad uri [sic, ore] cinque incominciò a pioveri [sic, piovere]; et detta pioggia durò tutta la notte et altri giorni seguenti» (cfr. G. Di Marzo, Diari della città di Palermo…cit., II, in particolare, pp. 251-252). Nel Trapanese, invece, la processione per la pioggia era avvenuta il giorno 8 Aprile 1602 (cfr. E. Piervitali, M. Colacino, Evidence of drought in western Sicily…cit.).
Relativamente a Termini Imerese, scarseggiano i dati sincroni successivi, essendo lacunosa la serie degli atti dei Giurati per gli anni 1603-4, 1604-5 e 1605-6.
Fortunatamente, le minute (raccolte di rogiti preparatori inter vivos redatti su quinterni cuciti, annotati dal loro estensore, generalmente poi ricopiati per esteso nei protocolli) di notar Matteo de Michele di Termini, a quel tempo attuario dell’amministrazione comunale, sopperiscono parzialmente a questa mancanza. Infatti, uno dei rogiti datato 4 Agosto IIa Indizione 1604 ci porta a conoscenza del fatto che la produzione cerealicola dell’anno indizionale 1603-4 fu abbastanza abbondante da consentire l’esportazione verso la relativamente vicina Lipari, il cui comune (universitas), acquistò una partita di frumento al prezzo di tarì 3 grana 6 piccioli 5 per ogni salma (Cfr. ASPT, notai defunti, notar Matteo de Michele di Termini Imerese, vol. 13034, 1602-9).
La siccità del 1606 interessò non solo l’area mediterranea, ma anche l’Europa centrale ed orientale, dalla Svizzera alla Germania sino alla Cecoslovacchia (cfr. R. Brázdil, P. Dobrovolný, M. Trnka, O. Kotyza, L. Řezníčková, H. Valášek, P. Zahradníček, P. Štěpánek, Droughts in the Czech Lands, 1090–2012 AD, “Climate of the Past”, 9, 2013, pp. 1985–2002).
In Sicilia, focalizzando sul Termitano, l’anno indizionale 1605-6, a causa della penuria di pioggia, fu caratterizzato da un raccolto sterile, come espressamente specificato nel successivo registro giuratorio del 1606-7 (cfr. AMG, 1606-7). Questo evento fu prodromico alla siccità e carestia, contraddistinta da una grande penuria di viveri, che dominava in quest’ultima annata, colpendo l’intera Isola e dando origine ad una speculazione ingiustificata ed immorale, volta a lucrare sul prezzo di vendita dei frumenti e derivati. Nel Trapanese per porre rimedio alla siccità si fece una processione per la pioggia il giorno 3 Aprile 1606 (cfr. E. Piervitali, M. Colacino, Evidence of drought in western Sicily…cit.).
Nei diari di Niccolò Palmerino e Filippo Paruta (mss. della BCP, ai segni Qq C 72 e Qq F 4 n. 11, edizione a stampa curata dal Di Marzo) si legge: «1607. — A 14 di gennaro [sic]. Per la gran penuria e carestia per tutta Sicilia, si cominciò a dare il pane con le polize [sic, polizze]; e si fecero li capicento [chi aveva in affidamento la distribuzione del pane, così detto perché dovevano provvedere ad un centinaio di persone], dando grani 6 di pane per testa» (cfr. G. Di Marzo, Diari della città di Palermo dal secolo XVI al XIX pubblicati sui manoscritti della Biblioteca Comunale, in “Biblioteca storica e letteraria di Sicilia”, vol. I, Pedone Lauriel, Palermo MDCCCLXIX, XIX+303, in particolare, p. 150).
Il già citato storico palermitano Antonino Mongitore, nella sua corposa opera mariologica di ambito locale, attesta che fu proprio agli inizi della primavera del 1607 che nella sua città natia si ricorse a diverse solenni processioni, per impetrare la pioggia e scongiurare ulteriormente la siccità, nei giorni 21, 23-24, 27 e 30 Marzo.
Il 21 avvenne la prima processione alla quale parteciparono gli «Ordini Regolari, il Clero secolare, col Clero e Capitolo della Cattedrale, e molti Gentiluomini, e Cittadini e uscita dalla Cattedrale, portando la Cassa delle Reliquie di S. Cristina, antica Padrona della Città, si dirizzò [sic, si diresse] alla Chiesa di Nostra Signora della Catena. Ivi si cantarono innanzi la Vergine le sue litanie, implorando la sua benignità, e poi si riportò alla Cattedrale la Processione. Appena si terminò la funzione; che cominciò la pioggia, non senza lagrime di tenerezza». La seconda processione ebbe inizio il giorno 23: «i Padri Minimi, uscendo con l’immagine di S. Francesco di Paola dalla loro chiesa di S. Oliva, e si portarono alla stessa Chiesa della Madonna della Catena, ove cantarono le litanie della Vergine; invocando la sua pietà». La terza avvenne il 27 allorché «uscì la nobilissima Compagnia de’ Bianchi, che andò alla visita della Madonna della Misericordia, nella Chiesa de’ Francescani del Terz’Ordine: allora operatrice d’infinite maraviglie: e alla visita della stessa Vergine della Misericordia andarono a 27 del detto mese processionalmente i Padri Cappuccini, unitamente con la Compagnia di S. Francesco, e S. Bernardo. La quarta ed ultima processione vide il coinvolgimento di altri ordini: «Anche i Padri Osservanti del Convento di S. Maria degli Angeli a 30 dello stesso, disposero la loro processione, portando l’Immagine di Nostra Signora di Guadalupe. Si disposero queste, e altre simili processioni per impetrare dalla Vergine la pioggia, e a tante preghiere s’ottenne finalmente dalla Signora la grazia d’un’abbondante pioggia, che allontanò dalla Città l’imminente Carestia». Nell’Ottobre dello stesso anno, si fece una ulteriore rogazione per la mancanza delle piogge autunnali «necessarie alle campagne; onde di bel nuovo ricorse la Città al suo favorevole Rifugio Maria. Quindi a 21 dello stesso mese uscirono dalla Cattedrale le casse contenenti le reliquie di S. Cristina, e S. Ninfa con processione composta dagli Ordini Regolari, e Clero della Città, col Capitolo, e Clero della Chiesa, portandosi nella Chiesa della Madonna della Catena; ove cantate in ossequio della Vergine le litanie, fece ritorno alla stessa Chiesa Madre. Terminata poco dopo l’Ave Maria la processione, ad ore due della stessa notte sopravvenne con tant’abbondanza la pioggia, che eccitò le meraviglie ne’ Cittadini; e co[m]mosse i cuori di tutti a render le dovute grazie a Maria» (cfr. A. Mongitore, Palermo divoto di Maria Vergine, e Maria Vergine protettrice di Palermo, 2 voll. divisi in 4 tomi, Bayona, Palermo 1719-20, I, XXIV+696 pp., nello specifico, p. 223).
Inoltre, ci piace riportare la curiosa notizia che si legge nell’edizione a stampa (curata dal Di Marzo) del manoscritto miscellaneo della BCP, ai segni Qq C 48, il cui l’anonimo autore integra la raccolta dei diaristi Niccolò Palmerino e Filippo Paruta: «Sabato, a 18 di novembre 1606. Si gittò lu bandu da parti di lo ill[ustrissi].mo et ecc[ellentissi].mo sig[nor]. marchesi di Ieraci [cioè il presidente del Regno di Sicilia, Giovanni Ventimiglia (Castelbuono, 23 Luglio 1559 – ivi, 12 Giugno 1619)], che per scarsezza del frumento non si pozza fari biscotti, nè mustazzoli [varietà di dolce a base di vino cotto]» (cfr. G. Di Marzo, Diari della città di Palermo…cit., II, p. 1).
Relativamente a Termini Imerese, da quanto risulta nelle minute del già citato attuario dell’amministrazione civica, notar Matteo de Michele, nell’estate del 1607 il malcontento della popolazione raggiunse l’apice e la situazione rischiò seriamente di oltrepassare i limiti della civile convivenza per sconfinare in una vera propria sommossa.
Il 30 Giugno V Indizione 1607, il popolo di Termini, oppresso per la lunga e penosa carestia già manifestatasi in primavera, ed irritato per il continuo aumento dei prezzi dei generi di prima necessità, si assiepò davanti la residenza municipale, minacciando il Capitano, Filippo la Casta ed i Giurati, Camillo Pattieri, Giuseppe Solito, Andrea Giambruno e Giacomo Bonafede. La popolazione, esasperata, finì per minacciare di sollevarsi in rivolta, intimando agli amministratori di provvedere a calmierare in prima istanza il prezzo del pane, pena la perdita della loro stessa vita e di quella dei rispettivi familiari. Venne indetto urgentemente in seduta straordinaria il Consiglio Civico, che con estrema difficoltà riuscì a sedare gli animi approvando il calmiere ed a rassicurare la popolazione che si era immiserita vivendo «in tempi così calamitosi per la povertà grande» in cui si ritrovava a causa dell’impennata del prezzo del frumento e, conseguentemente, dei generi di prima necessità (cfr. ASPT, notai defunti, atti notar Matteo de Michele di Termini, minute, vol. 13034, 1602-9). L’assemblea dei consoli delle corporazioni, pertanto, ebbe un ruolo di primo piano nella mediazione con le autorità civiche, attraverso lo strumento del consiglio civico, contribuendo a far rientrare la protesta e, soprattutto, il pericolo di una rivolta, grazie al fatto di essere riuscita concretamente a dare voce alle rivendicazioni popolari. La protesta, marcata da una insofferenza verso i ruoli istituzionali, è probabilmente la spia di un risentimento della popolazione, già fortemente provata dallo stato di recessione, nei confronti degli ufficiali civici. Va rimarcato che alcuni dei giurati, in carica durante il detto anno indizionale, erano indissolubilmente legati alla gestione di lucrose attività commerciali o erano funzionari pubblici ai quali era affidata la gestione di imposte e dazi vari. Infatti, Camillo Pattieri, facoltoso mercante di origine pisana, amministrava diverse attività commerciali di import/export, molte delle quali investivano nella compravendita di vettovaglie; Andrea Giambruno era Regio Segreto di Termini, cioè il funzionario che dirigeva l’ufficio locale della tesoreria regia; Giacomo Bonafede, era Vice Portolano di Termini, cioè il funzionario che amministrava l’ufficio locale dei dazi marittimi legati all’imbarcadero del Caricatore (complesso di grandi magazzini pubblici dove venivano stoccate temporaneamente le vettovaglie prima dell’esportazione).
Le successive minute di notar Matteo de Michele di Termini, ci informano che gli anni 1608-9 e 1609-10 furono ancora caratterizzati da «sterilità» del raccolto, determinata dalla penuria delle piogge. Emblematico appare un atto del 16 Settembre VIII Indizione 1609 che ci dà un quadro delle condizioni economiche del comune che non era assolutamente in grado di pagare le Tande Regie (tasse dovute all’erario statale per donativi ed altre imposte) al Tribunale del Real Patrimonio (magistratura concernente il patrimonio demaniale), proprio a causa della sterilità predetta che si andava a sommare alla sequela di eventi negativi precedenti che avevano inesorabilmente prostrato i vari gettiti finanziari della cittadina imerese (cfr. ASPT, notai defunti, atti notar Matteo de Michele di Termini, minute, vol. 13016, 1609-14, f. 7r).
Purtroppo, nel frattempo anche le sorgenti che approvvigionavano Termini Imerese si inaridirono. A tal proposito, appare veramente illuminante l’autorizzazione data a Palermo il 4 Novembre VIIIa Indizione 1609, relativa al contenuto di una supplica dei giurati di Termini al viceré, don Juan Fernandez Pacheco marchese de Villena, datata 20 Ottobre VIIIa Indizione 1609. Il documento, che si conserva nel registro degli Atti dei Magnifici Giurati della Splendidissima e Fedele Città di Termini, relativi all’anno 1609-10 (cfr. AMG, 1609-10, f. 46v-47v) è stato da noi scoperto e fedelmente trascritto, rispettando l’ortografia originale, compresi gli errori di scrittura, sciogliendo le abbreviazioni per comodità del lettore, come riportato nell’apposita appendice documentaria, essendo edito qui per la prima volta nella sua interezza.
I giurati, nella detta supplica, primariamente informavano il viceré che la «seccità [sic] di tempi / passati», causata dalla mancanza delle consuete piogge che Iddio benignamente dispensava alla cittadina, aveva ingenerato una «gra[n]dissima scarsezza d’acqua». L’ assenza di piogge, come abbiamo visto in precedenza, reiterata per una lunga sequela di anni, aveva influito sulla resa delle principali sorgenti. In particolare, nella condotta idrica sin dalla prima metà del XVI secolo appresava il gruppo sorgentizio Favara-Scamaccio, sito nella contrada Fontana superiore, vitale per l’approvvigionamento della città, «è ma[n]cata gran / parte della sua antica quantita [sic]» a punto tale che è «rimasto arido» e «secco» il corso «ord[ina].rio», per cui «è stato necessario» sborsare giornalmente del denaro, sino alla cospicua somma di circa «cento cinq[uan].ta / onze». Nello stesso torno di tempo, però, come riferivano i giurati, «In molte parti di detta citta [sic]» e, in particolare, a valle della «chiesa di s[an].to vito» (a quel tempo sita nell’attuale piazza Umberto I, nella seconda metà dell’Ottocento ridotta ad abitazione privata) e di «quella dell’hosp[eda]le» (dei Fatebenefratelli, oggi locali del museo civico “Baldassare Romano”), erano state scoperte alcune «acque». Queste «acque», a giudizio dei giurati, una volta captate avrebbero potuto alimentare abbondantemente «tutti i luoghi / pubblici», topograficamente sottostanti all’area di rinvenimento. Si trattava, nello specifico, dei seguenti quartieri: «delli potigelle» cioè delle Botteghelle, con la strada (attuale Via Porta Erculea, popolarmente ancora designata con tale odonimo) e la piazza omonima (oggi intestata a Liborio Arrigo); del «ba/gno» (centrato sull’attuale Piazza delle Terme) e della «marina». (centrato sull’antico Piano della Marina, all’intersezione delle attuali vie Vittorio Emanuele e Giuseppe Salemi Oddo).
Pertanto, i giurati supplicavano il viceré di concedere loro la potestà di utilizzare a tale scopo l’introito giornaliero di «grani dui» e «menzo», dovuti all’imposizione per l’estrazione di ogni «salma» e «cantarata» del Caricatore, sia «Intra», sia «fuori regno», già destinanti ad acconciare e riparare «l’acqua di d[ett].a citta [sic]». L’introito, invece, sarebbe stato stornato per far «cavare» e ridurre in «co[n]s[er]va» tutte le acque già scoperte o che si sarebbero potute scoprire, così «dentro qualsivoglia Casa / come nelle publice [sic] strade». Il viceré, accordava benignamente la licenza chiesta dai giurati di Termini in modo da poter «far cavare dett’acqua [sic] / p[er]comodo [sic] et benefitio della citta [sic] / e suoi cittadini farla co[n]durlere [sic] alli luoghi / publici», prelevando la spesa dagli introiti delle gabelle di grani due e mezzo per ogni «salma» e «cantarata» estratti dal Caricatore, per l’esportazione intra ed extra regnum, somma già destinata allo «reparo dell’acqua». Il cantàro (dal lat. centenarius, attraverso il neo-greco κεντηνάρι, l’arabo maghrebino qanṭār, l’arabo classico qinṭār, da cui deriva anche quintale) era una antica misura di peso (pari a 79,342 kg) e di volume. Da notare che nella cosiddetta gabella della cantarata confluivano i prelievi daziari effettuati all’atto dell’esportazione delle merci extra regnum.
L’area di rinvenimento delle predette «acque» coincide con le attuale vie Marco Tullio Cicerone, Gregorio Ugdulena (entrambe denominate anticamente come Strada del Cavaliere), Roma (e vicoli contermini). In gran parte essa si identifica con l’ampia zona di testata dell’antico corso torrentizio del Vallone di S. Vito o Vallonaccio, il principale del centro storico, che delimitava l’antica città fortificata romana e medievale [per ulteriori approfondimenti, cfr. A. Contino, Aqua Himerae. Idrografia antica ed attuale dell’area urbana e del territorio di Termini Imerese (Sicilia centro-settentrionale), Giambra, Terme Vigliatore (Messina), 2019, 300 pp., in particolare, pp. 164-176]. In tale avvallamento torrentizio, specialmente in corrispondenza di coltri alluvionali e colluviali, ancor oggi fluiscono acque in subalveo, che un tempi successivi al documento da noi scoperto, furono generalmente captate tramite pozzi privati, particolarmente diffusi in questo settore intramurario. Sono altresì note anche alcune emergenze sorgentizie, legate ai sistemi di faglie distensive che bordano l’idrostruttura della Rocca del Castello di Termini Imerese, mettendo a contatto i due acquiferi in rete di fratture, dolomitico, e multifalda carbonatico-silicoclastico, stratigraficamente sovrastante al precedente, con le coperture terrigene del complesso argilloso praticamente impermeabile (Flysch Numidico).
Agli inizi del Seicento, quest’area era solo in parte edificata poiché vi erano ancora delle ampie zone a verde, retaggio dei vasti giardini medievali di pertinenza dei due complessi conventuali francescani di S. Francesco d’Assisi (c. 1256) e di S. Maria di Gesù-La Gancia (1472-73), un tempo separati proprio dall’alveo torrentizio principale del Vallonaccio, essendo il limite naturale. L’insediamento dei Gesuiti nel loro imponente edificio del collegio (1620-27) diede ulteriore impulso all’antropizzazione progressiva degli spazi verdi. Nel corso del Seicento e soprattutto del Settecento, la suddivisione in lotti edilizi dei giardini della Gancia, andò progressivamente sviluppandosi. Si raggiunse l’apice di questa espansione edilizia con l’apertura del novello asse viario della Strada Carrozzabile Stabile (antenata dell’attuale Via Stesicoro), segmento intramurario di attraversamento della cittadina imerese, facente parte della Strada per Messina andando per le Marine (1778-1859), antenata della statale 113 (cfr. S. Cucinotta, Sicilia e siciliani. Dalle riforme borboniche al “rivolgimento” piemontese. Soppressioni, Ed. Siciliane, Messina 1996, X+732 pp.). Il taglio dei giardini, inferto dall’apertura dell’asse stradale, non solo smembrò i giardini, ma favorì la nascita di un nuovo tessuto urbano allineato con la carrozzabile. La definitiva regimazione e sistemazione idraulica della parte alta dell’antico bacino del Vallonaccio, su disposizione dell’amministrazione comunale, si ebbe soltanto nel 1869, prevedendo appositi capitolati di appalto dei corsi immondi denominati S. Agata, Via Cavaliere e S. Domenico (cfr. Deliberazioni della Giunta Municipale di Termini Imerese, 1866-1869, ms. BLT ai segni DGM 1, rispettivamente ai numeri 107, 108, 110, del giorno 8 Luglio 1869, pp. 352-353; 353-356; 357-360).
Tornando all’anno indizionale 1609-10, mentre nella Sala del Magistrato nel palazzo civico, ad opera dell’architetto e pittore manierista Vincenzo La Barbera (Termini Imerese, 1577 c. – ivi, 1642), si dipingeva a fresco il grande ciclo celebrativo dei fasti di Himera e delle Thermae Himerenses in una sorta di continuità ideale con la Termini del XVII secolo (cfr. P. Bova, A. Contino, Termini Imerese, Giovanni Leonardo Faraone: il magister che aiutò Vincenzo La Barbera a realizzare la seicentesca “cammara picta”, “Esperonews Giornale Termini Cefalù Madonie”, Mercoledì, 29 Giugno 2022, on-line su questa testata giornalistica), gli abitanti della cittadina erano alle prese con i pesanti e disastrosi effetti delle siccità, tra i quali, non ultima, anche la penuria idropotabile e irrigua, legata ad un rilevante depauperamento delle risorse idriche superficiali e sotterranee.
Alla cinquecentesca fontana monumentale, sita in Plano Civitatis Thermarum, l’odierna Piazza Duomo, alimentata dall’acquedotto della Favara (del quale costituiva il punto d’arrivo), era venuto a mancare il consueto e cospicuo flusso d’acqua potabile.
Patrizia Bova e Antonio Contino
Ringraziamenti: vogliamo manifestare la nostra più sincera gratitudine, per la usuale disponibilità, ai direttori ed al personale dell’archivio di Stato di Palermo, Sezione di Termini Imerese e della Biblioteca comunale Liciniana di Termini Imerese.
Appendice documentaria
Registro degli Atti dei Magnifici Giurati della Splendidissima e Fedele Città di Termini, anno VIIIa Indizione 1609-10, ms. della Biblioteca Comunale di Termini Imerese
[f. 46v] [omissis]
Ph[ilipp]us / Mag[nifi].ci regij fideles dilecti è stato supp[lica].to / è [sic] p[ro]visto del seguente tenore Ill[ustrissi].mo et ecc[ellentissi].mo / Signore li giurati della Citta [sic] di t[er]mini / dicino [sic, dicono] àV[ostra]. [sic] E[ccellenza]. ch[e] p[er]la [sic] seccità [sic] di tempi / passati no[n] havendosi essi piaciuto als[igno].re [sic] / darci lesolite [sic] pioggie [sic] si è caggionato [sic] / nella citta [sic] gra[n]dissima scarsezza d’acqua / poich[é] quella della quale la citta [sic] si ha / soluto, è [sic] suole s[er]vire è ma[n]cata gran / parte della sua antica quantita [sic] è [sic] / quelch[è] [sic] peggio essendo p[er]d[ett].o [sic] ma[n]cam[en].to / rimasto arido è [sic] secco Ilcorso [sic] ord[ina].rio / di detta acqua è stato necessario gior[-] / nalm[en].te co[n] eccessive spese / ascendenti alla so[m]ma di cento cinq[uan].ta / onze Incirca etpoich[è] [sic] ecc[ellentissi].mo signore / In molte parti di detta citta [sic] etInparti[-] [sic]/colare sotto la chiesa di s[an].to vito è [sic] / quella dell’hosp[eda]le si sono scoverte / [f. 47r] alcun acque conlequali [sic] tutti i luoghi / pubblici delli quartieri delli potigelle [sic, Botteghelle] ba[-] / gno è [sic] marina resteranno abondantissimj [sic] / p[er]petuam[en].te supplicano p[er]cio [sic] V[ostra]. E[ccellenza]. voglia / restar s[er]vita darli [sic] potesta [sic] ch[e]s[er]vendosi / del denaro [che] giornalm[en].te entra dell’Introyto [sic] / di grani dui è [sic] menzo Imposti perlaextra[-] [sic] /ctione d’ogni salma è [sic] cantarata daq[ue]sto / ca[ricato].re p[er] Intra è [sic] fuori regno li quali sono / pure dedicati solam[en].te à [sic] conzo è [sic] reparo / dell’acqua di d[ett].a citta [sic] possanofar [sic] cavare / eridurre [sic] inco[n]s[er]va [sic] tutte l’acque gia [sic] / scoverte è [sic] ch[e] in d[ett].a citta [sic] si potranno / scoprire cosi [sic] dentro qualsivoglia Casa / come nelle publice [sic] strade di quella accioch[è] [sic] / Inesse [sic] si possano p[er] sempre abondare [sic] i / luoghi predetti come più frequentati / dacittadini [sic] è [sic] foristeri [sic] eInco[n]seguenza [sic] / la citta [sic] restar disgravata Inparte [sic] / delle d[ett].e spese eccessive poich[é] cosi [sic] face[n]do / come si spera Il tutto ricevera[n]no dalla / mano di V[ostra]. E[ccellenza]. à gr[ati]a particolare ut / altissimus pan[ormi]: 20 8bris [=Octobris] 8e Ind[ictionis] / 1609 – habeant licentia[m] p[er]esse[-] / cutione della quale p[ro]vista vi concediamo / ch[e] possiate far cavare dett’acqua [sic] / p[er]comodo [sic] et benefitio della citta [sic] / e suoi cittadini farla co[n]durlere [sic] alli luoghi / [f. 47v] publici ch[e] ni [sic] pareva è [sic] disperdere quello / ch[e] portal [sic, per tal] effetto bisognera [sic] delli denari / dell’Introyti delle gabelle di granj due / è [sic] menzo sopra l’estrattione Imposta / p[er] lo reparo dell’acqua Dat[um]. pan[ormi]. die / 4° 9bris [=Novembris] 8e Ind[ictionis] 1609 /
Il marchese [de Villena, il viceré don Juan Fernandez Pacheco] / Ber[nar]do de lyermo th[esaurari]o g[enera]le / Vinc[enti]us de La[n]fruccus m[agiste]r not[arius] /
[a margine destro] [Iohannis Baptiste Celestri] Marchio S[anc]te Crucis Pr[esident]e / [Petrum] de Blaschis m[agister]. r[ationalis]. / Do[n] Mar[ium] Gam[bacu]r[t]a m[agister]. r[ationalis]. / [Franciscus Maria Beccadelli] Bononius m[agister]. r[ationalis]. / [Marius] De Ca[n]nizarijs m[agister]. r[ationalis]. / Do[n] Gaspar Cons[erva]tor /
P[rese]nt[ata] exeq[u]a[ntur] th[esauraris] regis penes / + Andrea Ja[m]brunus J[iuratus]. /
+ Cesar Anfusius J[iuratus]. / + [spazio bianco per l’assenza del giurato Gerolamo Speciale] /
+ Jo[hannis] Franciscus b[er]tholus J[iuratus]. /
Presentata In curia magnificorum / Juratorum splendidissime civita[-] / tis termaru[m] [sic] die 15 dece[m]bris VIIIe Ind[ictionis] / 1609 de m[anda]to mag[nifi]cor[um] juratorum et / exequant[ur] etr[egistrent]ur [sic] /