Alia, nuova ipotesi sull’assetto originario della zona di ingresso della grande tholos della Gurfa

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Riceviamo dall’amico Giovanni Ferrara un contributo su una nuova ipotesi dell’assetto originario della zona di ingresso della tholos della Gurfa  Alia.

La dimostrazione che il grande complesso rupestre ha ancora molte cose da raccontare e l’ulteriore studio si inserisce nel solco nelle tante ricerche che puntano alla interpretazione e valorizzazione di questa antica architettura.
Lo pubblichiamo volentieri.

  1. Premessa

Obiettivo del presente articolo è esporre una mia recente ricerca, riferita a quello che modernamente potremmo definire il layout originario della zona di accesso alla grande thòlos della Gurfa di Alia. Un assetto oggi poco percepibile, a causa dei profondi rimaneggiamenti del complesso rupestre avvenuti nei molti secoli successivi alla prima antica modifica antropica del sito. E’ il secondo studio che dedico alla Gurfa di Alia, ma va considerato più che altro come una appendice al primo, poiché è da quel primo lavoro che sono tratte le premesse e i presupposti a monte dell’ipotesi di seguito trattata.

Si tratta di un libero ed autonomo contributo, sviluppato in un ambito di studio che suggerisce l’approccio multidisciplinare. In particolare, la prospettiva di indagine e di analisi è legata essenzialmente all’opera architettonica e alle sue funzioni, punto di vista caratteristico dell’ingegnere o architetto di lunga esperienza che sa aggiungere anche una opportuna comparazione con la Storia. Il presente contributo è a disposizione di archeologi e storici, e di ogni altro studioso e specialista del settore, nonché delle istituzioni preposte ai vari livelli alla tutela e alla ricerca su queste importanti testimonianze del nostro passato.

Come accennato, per una migliore comprensione dell’articolo è indispensabile partire da alcuni presupposti, corrispondenti ad ipotesi pubblicate in un mio precedente studio, fondate su documenti, considerazioni, e soprattutto osservazioni e alcuni rilievi svolti autonomamente sul sito. Detto studio, pubblicato la prima volta nel 2021 e recentemente aggiornato ed integrato con ulteriori elementi, è a disposizione di chiunque desideri eventualmente conoscere, nella loro interezza e in ogni dettaglio, le argomentazioni che supportano le ipotesi ivi contenute[1].

Ciò detto, per rendere più chiaro il seguito anche a chi mi legge per la prima volta, provo a richiamare di seguito, in modo necessariamente sintetico, gli accennati presupposti:

  • La Gurfa di Alia è stata idealmente modellata come un puzzle storico ancora privo di alcune parti. Ai fini della ricerca ho ritenuto necessario tentare di ricostruire e ricollocare idealmente almeno le principali tessere mancanti, con la forma e il colore In altri termini, sono state cercate tessere dotate della più attendibile compatibilità sotto vari aspetti, fra cui i più rilevanti sono quelli legati alle esigenze funzionali e quindi di carattere architettonico, ponendo attenzione alla parallela coerenza con la Storia, compresa quella più antica per quanto oggi ci è concesso conoscerla.
  • A monte di tale scelta di modellazione vi è l’ipotesi principale: dopo la realizzazione della grande thòlos ipogea (II millennio a.C.), la Gurfa di Alia ha subito lungo la sua ultramillenaria esistenza almeno quattro o cinque principali modifiche. Si tratta di ampliamenti e manomissioni profonde realizzate mediante ulteriori scavi (che ho definito “superfetazioni in negativo”). Tali modifiche, volute dai diversi proprietari e utilizzatori, corrispondono ad altrettanti interventi progettati e realizzati, a distanza di molto tempo uno dall’altro, da figure che svolgevano le funzioni che oggi affidiamo ad architetti e capi cantiere. Sotto altra prospettiva, gli strati di questo straordinario reperto non sono sovrapposti come quelli che Schliemann trovò in Anatolia cercando i resti della città di Troia, o come in molti altri contesti archeologici. La Gurfa di Alia, osservata come reperto archeologico oltre che come opera architettonica complessa, rappresenta una eccezione rispetto alle situazioni più frequenti e studiate. Gli strati storici dell’intervento umano, corrispondenti ad importanti volumi di arenaria, sono stati asportati progressivamente nel tempo. Ciò rende sicuramente più arduo e insidioso lo studio del grandioso reperto.

Le modifiche più rilevanti, secondo le mie ipotesi potrebbero così collocarsi nel tempo:

  • periodi bizantino e arabo (realizzazione dei primi vani al livello superiore e del sistema di captazione, conservazione e uso delle acque piovane ruscellanti nella parte più alta del rilievo, probabile realizzazione o modifica della camera a tenda al piano terra),
  • XIII secolo (sventramento interno della parete sud ovest nella thòlos, con realizzazione di una finestra, un camino e una scala, in relazione alla costruzione di un edificio interno appoggiato in parte ad una muratura di pietrame naturale, struttura dotata di più livelli di solai sorretti da robuste travi di legno; la costruzione occupava circa metà del volume della thòlos: una antica “casa” interna di cui ho potuto vedere le ultime tracce verso la metà degli anni ’60 del secolo scorso, vedi più avanti fig.1.2). In particolare, le modifiche del XIII sec. d.C. possono avere stretta correlazione con la fase in cui la Gurfa di Alia, insieme a molti altri feudi e possedimenti in Sicilia (ma non solo in Sicilia), fu assegnato ai Cavalieri Teutonici che proprio alla Gurfa aprirono (ampliandola e adattandola) una delle loro sedi territoriali e un “ospitale”, un caritatevole ospizio per i cavalieri più anziani e ammalati, bisognosi di assistenza.
  • altre modifiche di minor rilievo potrebbero infine collocarsi nel XVIII e inizi XIX secolo.

Come è noto, quello della perdita della memoria storica dei precedenti usi e dell’adattamento architettonico per nuove e diverse esigenze, è un destino abbastanza ricorrente in varie tipologie di reperti più o meno antichi di cui è ricco il Paese. In termini moderni potremmo definire interventi di recupero con riconversione funzionale tal genere di manomissioni, eseguite probabilmente dopo lungi periodi di abbandono e di incuria. Si trattava cioè di entità che probabilmente apparivano poco spiegabili ai nuovi utilizzatori, però riutilizzabili per nuove esigenze di uso.

Visto che il Colosseo per secoli è stato usato come una sorta di “cava” di materiale lapideo durante la lunga epoca della Roma papalina, mentre al livello stradale fu usato anche come sede di attività commerciali e artigianali, e che il Duomo di Spoleto mostre nel prospetto vistose tracce di elementi provenienti da monumenti e altre strutture risalenti in buona parte al periodo imperiale romano (per citare solo un paio di esempi fra i più noti), non vi è alcun ragionevole motivo per dubitare che la Gurfa di Alia abbia subito, lungo i suoi trentacinque secoli di vita, una sorte molto simile, contrassegnata però in questo caso, come si è detto, da asportazioni ulteriori, con contestuale realizzazione di costruzioni esterne minori.

In tale prospettiva, nel mio precedente studio del 2021 ho ipotizzato, in forma sinottica, una plausibile ricostruzione cronologica delle principali fasi di sviluppo dell’intero complesso rupestre della Gurfa di Alia, dalle sue remote origini fin quasi ai giorni nostri.

Concludo questa premessa auspicando che in futuro le accennate ipotesi relative alle fasi cronologiche di realizzazione del complesso possano essere considerate come una indipendente terza chiave di lettura, distinta da quelle che negli ultimi venti anni circa hanno polarizzato la discussione fra studiosi e appassionati in merito alle possibili origini del complesso rupestre, ossia:

  • ipotesi di datazione minoico/micenea dell’intero complesso in uno stato di fatto non molto diverso da quello attuale, con prevalente destinazione ad attività di tipo sacrale e sepolcro monumentale;
  • ipotesi di datazione medievale dell’intero complesso, a partire da una fossa granaria di epoca tardo romana o forse bizantina.
  1. Ipotesi intorno all’allineamento originale del varco di accesso alla thòlos e dello scomparso dromos.

Il comune visitatore della Gurfa che oggi, durante una visita breve, accede al grande vano campaniforme, può facilmente essere ingannato dalla situazione attuale del fronte esterno e della porta di accesso.

In effetti, sulla base di alcuni segni e indizi geomorfologici, di allineamenti e rilievi geometrici, e di altri attenti riscontri meglio descritti nel mio precedente studio, emerge che le modifiche dei secoli passati non si limitarono alla creazione di nuovi ambienti ipogei e alla modifica interna della thòlos originaria e della limitrofa “camera a tenda”, più o meno coeva della prima. Un’imponente opera esterna di asportazione, assimilabile tecnicamente a una cava a cielo aperto, permise di creare l’attuale piazzale e il prospetto esterno, ossia la parete verticale nella zona più bassa che poi si raccorda più in alto con la morfologia originaria del rilievo, dove si trovano alcune preistoriche tombe a grotticella.

E’ pertanto possibile ipotizzare, e tentare di ricostruire virtualmente, lo stato di fatto precedente tali poderose modifiche. Per farsi un’idea anche sommaria, anche al visitatore odierno, purché sufficientemente attento e non troppo frettoloso, basterebbe comunque posizionarsi frontalmente alle due entrate del livello più basso (thòlos e camera a tenda), volgere lo sguardo anche a destra e a sinistra del complesso, osservare la conformazione originaria del rilievo e compararlo con la situazione attuale del fronte esterno del monumento.

Uno zoccolo di base di roccia arenaria, ancora presente davanti ai due ambienti del livello inferiore (campitura di colore rosa, vedi fig.2.1), e due vistose emergenze rocciose ai lati (circondate da linee rosse nella stessa figura), indicano ancora oggi i resti di quella che, molto probabilmente, era la naturale conformazione del massiccio prima degli interventi umani.

Tali elementi sembrano indicare anche la probabile esistenza di un dromos oggi scomparso: si osservino, nella fig.2.1, le due linee colore blu divergenti e l’area di forma trapezoidale compresa fra esse, campita in grigio nella figura. Il dromos, pertanto, così come l’originario varco di accesso, doveva avere l’asse mediano rivolto verso il centro del cerchio di base della thòlos nella sua conformazione originale[2].

Nella stessa figura, la campitura di colore rosso vivo all’interno della thòlos indica le asportazioni di arenaria avvenute per le profonde modifiche interne già descritte in precedenza (realizzazione di una costruzione interna ad uso abitativo in epoca medievale). Queste asportazioni vanno sicuramente poste in relazione con la costruzione di un muro portante in pietra naturale collocato in posizione quasi diametrale (Fig.2.2), e con la realizzazione di solai lignei e rampe di scale per l’uso dei livelli abitativi superiori (Fig.3.1).

 

Elaborazioni grafiche dell’autore di questo articolo, tracciate sulla planimetria del rilievo dello stato di fatto della Facoltà di Architettura di Palermo (Arch. Marescalchi e Modica)
Vano campaniforme visto dal- l’oculo sommitale. Si notano i resti dell’antico muro della costruzione interna. Fotografia di Rossella Salerno (1976), pubblicata a pag.5 del “Notiziario Archeologico della Soprintendenza di Palermo” n. 20/2017.

 

 

Fig.2.3                                                                               Fig.2.4
In questa elaborazione grafica (immagine a destra) di una mia recente foto, è stata evidenziata in grigio semitrasparente la probabile pendenza di una delle due pareti laterali dello scomparso dromos, schematizzato in pianta da due linee di colore blu nella precedente figura 2.1. Il blocco di arenaria ancora presente, lasciato volutamente ai tempi delle profonde modifiche descritte in questo paragrafo, reca ancora sul lato sud i fori e i segni di una copertura a falda. Si tratta della parete dietro l’altare di una cappella cristiana, risalente al XII o XIII secolo, la cui presenza fra i beni a disposizione della Magione di Palermo è attestata da documenti storici. Il ritrovamento di una piccola acquasantiera da parte di privati nella prima metà del XX secolo (reperto di cui oggi è sparita ogni traccia) e di monete del XVII secolo (anche queste in mano a privati) ci racconta la probabile durata del piccolo edificio, sicuramente crollato per incuria nel XIX o inizio XX secolo. Vi sono tracce di un’altra costruzione muraria minore nello spazio compreso fra lo stesso blocco e la parete esterna del complesso rupestre: costruire sfruttando il più possibile le pareti di roccia, con minore spesa e in minor tempo, è il criterio adottato nello stesso periodo medievale dentro la thòlos.

Semplici operazioni di allineamento e di tracciamento, verificabili e ripetibili da chiunque, sono state eseguite dentro la thòlos dal sottoscritto a fine agosto 2021 con strumentazione ottica al raggio laser[3]. Esse mostrano che il varco di accesso, oggi simile agli stipiti di una porta di un vecchio edificio di campagna così ampio da permettere il transito di un mulo carico, in epoca successiva alla prima apertura venne leggermente ampliato, ma soprattutto, con l’esecuzione di modifiche esterne e sventramenti interni, fu orientato in modo diverso rispetto all’originale, con una leggera rotazione antioraria del suo asse. L’allineamento che ho verificato è una linea retta passante per due punti ben identificabili sulla pianta. Il primo punto è il centro geometrico della originaria pavimentazione circolare della thòlos. Il secondo punto è la mezzeria geometrica della attuale luce dell’accesso. Il rilievo svolto dimostra che, all’epoca della sua realizzazione originale, il varco di accesso alla thòlos era nettamente visibile dal centro della stessa, però appariva diverso da quello che vediamo oggi. Come in tutte le altre thòlos protostoriche, il suo asse mediano era di sicuro disposto in direzione radiale, ossia passante sul centro della base della thòlos riportata virtualmente alla sua originaria forma circolare. Detta direzione, rivolta ad Ovest, sembra ancora indicare il punto all’orizzonte ove in quei tempi remoti avveniva il tramonto del sole nei giorni di equinozio. Altre considerazioni geometriche elementari consentono di affermare che, in tale ipotesi, la larghezza iniziale del varco di accesso era sicuramente inferiore alla larghezza attuale. Un varco destinato solo agli uomini, quindi, e non anche per l’ingresso di asini, cavalli o bovini, esigenza che risultò necessaria circa venti o venticinque secoli dopo, in epoca molto probabilmente compresa fra l’età bizantina (VI÷IX sec.) e i profondi adattamenti funzionali dei Cavalieri Teutonici, nel XIII sec.

In origine si trattava quindi di un varco di accesso tutt’altro che ampio. Quanto bastava per accedere ad un luogo sacro da mantenere buio, in cui la luce solare che penetra dall’oculo sommitale disegna ancora quotidianamente, sulla parete interna lato nord, il suo magico disegno, diverso ogni giorno in funzione del calendario. Ma in particolare, nei giorni prossimi al solstizio di giugno colpisce a mezzogiorno esatto un punto ben preciso del pavimento, con una inclinazione massima (20/22 giugno) di circa 75°. Grande significato simbolico e rituale doveva avere anche la luce rossastra che colpiva la parete di fondo solo al momento del tramonto dei due giorni di equinozio. Tutto ciò svolgeva probabilmente un ruolo fondamentale ai fini sacri e rituali. Sono argomenti suggestivi e molto affascinanti su cui altri studiosi, certamente più esperti del sottoscritto su questi specifici temi, stanno svolgendo da anni approfonditi studi, pertanto in questa sede non ritengo di dover procedere oltre[4].

Va sottolineato in ogni caso che il tema dell’originario allineamento geometrico dell’asse del varco di accesso riveste, a mio avviso, un ruolo dirimente. Unitamente ad altri aspetti potrebbe far ipotizzare l’inserimento del vano campaniforme della Gurfa di Alia nel numeroso gruppo delle thòlos mediterranee di epoca protostorica. In tal senso si potrebbe perfino auspicare un aggiornamento allo studio “Le tombe a tholos della Sicilia centro meridionale” di Francesco Tomasello (1997).  Uno dei motivi che forse oggi ostacolano il riconoscimento del vano campaniforme della Gurfa di Alia come grande thòlos protostorica (sarebbe la più grande fra quelle conosciute), risiede proprio nella apparente mancanza di direzione radiale dell’asse della porta, qualora questa venga osservata e studiata tenendo conto unicamente della sua conformazione attuale. A tal proposito si rimanda al “Notiziario archeologico della Soprintendenza di Palermo, 20/2017, Le Grotte della Gurfa: evidenza monumentale, storia degli studi e interpretazione”, in particolare a pag.17 del paragrafo 2 “Per un’interpretazione dell’evidenza archeologica”.

3. Una inedita ipotesi relativa all’assetto originario della zona di accesso alla thòlos.

Partendo dai presupposti fin qui descritti, ho recentemente condotto un esame più minuzioso e attento della porzione inferiore della parete interna della thòlos in prossimità dell’accesso, sia mediante osservazioni accurate sul posto che esaminando le tavole del rilievo ufficiale, oltre a varie immagini fotografiche.

Devo a questo punto precisare che una mia prima provvisoria ricostruzione grafica dell’area di ingresso, tracciata nella figura 2.1, lasciava spazio a qualche dubbio. In particolare, l’ipotesi della esistenza di uno stomion non proprio breve, la secca intersezione con il corridoio di accesso alla camera a tenda, e infine il fatto che all’estremità opposta tale corridoio si innesta in corrispondenza di uno spigolo dell’altro ambiente ipogeo, sono aspetti che nel loro insieme suscitano qualche perplessità.

Si osservi ora la fotografia della figura 3.1 (vedi pagina successiva), la quale mostra nitidamente, al livello più basso, l’esistenza di una sorta di arco ribassato. Tale elemento architettonico se osservato sul posto appare più o meno percepibile in funzione delle condizioni variabili di luce diurna, nonché della posizione e dalla distanza dell’osservatore.

Per quanto oggi a mia conoscenza, le ipotesi finora formulate sul complesso rupestre della Gurfa, comprese in particolare quelle più recenti che ho citato alla fine della paragrafo 1, non sembrano aver esaminato e valutato questa particolare conformazione della parete interna prossima all’entrata. Limitandosi ad esempio al caso delle due suddette recenti interpretazioni del complesso, in un contesto di eventuale approfondimento gli interrogativi da risolvere potrebbero essere i seguenti:

  • Esiste una plausibile motivazione di natura funzionale, o rituale o altro, che spinse un architetto del II millennio (secondo una delle due ipotesi, artefice unico dell’intero complesso, creato in uno stato di fatto non molto dissimile dallo scheletro roccioso oggi ben visibile), a scegliere quella particolare forma per scolpire la parte più bassa della parete interna, posta subito dopo l’accesso al vasto ambiente sacro?
  • Viceversa, per quale motivo nel medioevo coloro che si calarono dentro una fossa granaria bizantina profonda sette o otto metri per eseguire nuovi scavi fino a raggiungere la profondità attuale (circa 16 metri), e quindi creare ambienti abitabili su più livelli, scelsero di dare a quel tratto di parete una forma così singolare e complicata sul piano esecutivo? Dopotutto per le esigenze dell’epoca si trattava di un semplice accesso, oltre il quale gli animali proseguivano verso la stalla posta nella metà più interna della thòlos, mentre gli uomini si fermavano nel primo ambiente adibito ad usi diurni, oppure procedevano fino ai locali posti al livello superiore[5].
Fig. 3.1 La mezza volta ad arco ribassato descritta in questo paragrafo è ben evidenziate in questa fotografia. A destra ho graficamente evidenziato tale forma aggiungendo una linea di colore giallo. Con riferimento a quanto già scritto in precedenza, questa immagine fornisce anche l’opportunità di mostrare i vistosi e profondi sventramenti interni di una porzione della parete interna, intimamente legati alla realizzazione di un fabbricato murario dentro la cosiddetta “grotta a campana”. Sulla base di documentazione storica (atto di concessione della Gurfa ai Cavalieri Teutonici da parte di Federico II), e di attenta osservazione di aspetti costruttivi, come la presenza di sedute laterali accanto alla finestra e il camino, ho ritenuto di attribuire tali modifiche ad epoca medievale. Le differenze delle fasi cronologiche, suggerite dalle forme e dai segni dei colpi tracciati degli attrezzi di scavo, così come la presenza di incrostazioni da nerofumo, molto più marcate nella ex “casa medievale” dotata di camino, appaiono ancora più evidenti osservando le pareti dal vero.

Possiamo quindi interpretare quella singolare forma, che oggi appare come sezione di una tipica volta ipogea, come il poco che oggi rimane – dopo gli sventramenti ed adattamenti medievali sopra descritti – di un originario vestibolo tholoidale, interposto fra varco esterno e thòlos principale?

Si tratta, come anticipato in premessa, di una mera mia ipotesi, piuttosto recente e a mio avviso originale e finora inedita. Ipotesi che considero abbastanza plausibile, sotto vari aspetti. Allo stato attuale delle conoscenze, non ho certamente la pretesa di sostenerla come altamente più attendibile rispetto ad eventuali diverse spiegazioni. Tuttavia, per quanto a mia conoscenza, aggiungo che al momento attuale non risulta che esistano ipotesi alternative circa l’esistenza di questo particolare elemento architettonico interno.

Nonostante i pochi elementi fisicamente disponibili e osservabili, e i limitati mezzi tecnici di cui dispongo, ho comunque tentato di verificare meglio l’ipotesi sopra accennata, procedendo a una prima schematica ricostruzione grafica basata principalmente sulla compatibilità volumetrica, e anche alla comparazione con alcuni noti reperti protostorici caratterizzati da minori dubbi circa la loro datazione.

Le seguente figura mostra quindi, in forma schematica ma utile a rendere l’idea,  la buona compatibilità geometrica dell’ipotesi che descrivo in questo lavoro, ossia la probabile presenza, in epoca protostorica, di un vestibolo tholoidale a pianta ovale che precedeva l’ingresso alla thòlos templare vera e propria.

Fig. 3. 2 Su una planimetria del rilievo ufficiale realizzato nel 1995 dalla Facoltà di Architettura di Palermo, ho riportato (immagine a destra) la ricostruzione virtuale della ipotesi di un vestibolo tholoidale a pianta ovale, di cui le profonde manomissioni e modifiche medievali (compreso l’allargamento e il nuovo orientamento del varco di accesso descritti nel paragrafo 2) avrebbero lasciato solo poche porzioni. La più evidente potrebbe essere proprio la forma ad arco ribassato evidenziata nella fotografia della figura 3.1.

La comparazione delle forme con almeno una delle tombe a thòlos di S. Angelo Muxaro, e con altri sepolcri preellenici in Sicilia, sembra mostrare una forte affinità[6], ovviamente al netto delle differenze dimensionali dovute alla grande dimensione della thòlos della Gurfa. Restando ancora un momento in tale contesto comparativo, giova rammentare che l’ipotesi che la thòlos della Gurfa sia nata inizialmente come importante sepoltura destinata ad una o più figure regali, per essere trasformata dopo non molto tempo in un tempio religioso previa apertura dell’oculo, l’ho già accennata in precedenza[7].

Per completezza, nella seguente figura 3.3 riporto anche, sempre in forma schematica, una ipotesi alternativa leggermente diversa. Essa sembra giustificare l’esistenza del vestibolo tholoidale in funzione di raccordo e disimpegno con il corridoio ipogeo che porta alla camera a tenda. Aggiungo però subito che trovo questa idea alternativa un po’ meno convincente di quella rappresentata nella precedente figura 3.2. Rimane infatti qualche perplessità sul caso, raro se non singolare, di un corridoio ipogeo che si diparte da uno spigolo della pianta della camera a tenda e non dalla mezzeria della parete, come anche la sua forma in pianta leggermente curva, aspetti costruttivi che farebbero pensare ad una realizzazione di molto successiva, probabilmente necessaria per adattamento a nuove funzioni.

Su una planimetria del rilievo ufficiale realizzato nel 1995 dalla Facoltà di Architettura di Palermo, ho riportato (immagine a destra) la ricostruzione virtuale della ipotesi di un vestibolo tholoidale a pianta ovale, di cui le profonde manomissioni e modifiche medievali (compreso l’allargamento e il nuovo orientamento del varco di accesso descritti nel paragrafo 2) avrebbero lasciato solo poche porzioni. La più evidente potrebbe essere proprio la forma ad arco ribassato evidenziata nella fotografia della figura 3.1.

Ciò che in ogni caso ho qui ritenuto utile evidenziare, anche ai fini di eventuali future ricerche, riguarda principalmente la probabile presenza in origine di un vestibolo tholoidale a pianta ovale, interposto fra l’esterno e la thòlos principale. Giova ribadirlo: questa mia ipotesi è basata su attente osservazioni e rilievi in sito, operazioni facilmente ripetibili e verificabili da terzi, oltre che su attenta comparazione con complessi rupestri più o meno simili ma indubbiamente protostorici. Aspetti che occhi più esperti dei miei sarebbero sicuramente in grado di verificare ed approfondire. Sono quindi auspicabili, con riferimento all’intero complesso rupestre, ulteriori studi e analisi scientifiche da svolgere con ricorso a tecnologie più raffinate e moderne sulle superfici e sulla loro forma, sulle incrostazioni, sulla vasta biblioteca fornita dai segni degli attrezzi usati per lo scavo[8], come ho già suggerito nella mia precedente pubblicazione. Tutte attività che un privato, per quanto studioso e appassionato, di sicuro non può permettersi.

Aggiungo infine, quasi sottovoce, un ultimo parere del tutto personale. Ritengo che limitarsi esclusivamente a campagne di scavo archeologico di tipo tradizionale da fare negli immediati dintorni possa rivelarsi non molto utile, perché la stratificazione di popoli e fatti storici in quell’area siciliana è stata notevole. Eventuali scavi e prospezioni di punto eseguiti su pochi siti di estensione limitata, scelti con criteri da definire, potrebbe dare risposte perfino fuorvianti. Aggiungo che da alcuni secoli, in particolare negli ultimi tre, si rincorrono voci di scavi segretamente effettuati dai proprietari degli estesi terreni dell’ex Feudo della Gurfa. Esisteranno quindi con grande probabilità numerosi reperti che sono rimasti nelle collezioni private di poche importanti famiglie siciliane, o forse in parte sono ancora oggi ben conservati in qualche importante museo straniero.

Giovanni Ferrara

 

[1] Giovanni Ferrara, “La Gurfa dei misteri –  Vita ultramillenaria di una thòlos mediterranea”, nuova edizione integrata con ulteriori rilievi e studi (2022). Il libro è disponibile su Amazon libri.

[2] In colore verde chiaro è indicato il probabile percorso di un separato dromos e di un breve  stomion di accesso al vano a pianta rettangolare (camera a tenda), allineato con l’asse di simmetria della camera. Entrambi i dromos sono scomparsi a causa delle profonde modifiche esterne richiamate in questo paragrafo.

[3] Rilievi e osservazioni dettagliatamente documentate in una lettera a mia firma, inviata alla Soprintendenza di Palermo nel novembre dello stesso anno.

[4] Due evidenti irregolarità della curvatura ogivale presenti solo nella parte sommitale della thòlos, possono far ipotizzare che la realizzazione dell’oculo zenitale potrebbe essere state decisa ed attuata in un momento di poco successivo. Si è trattato forse del probabile passaggio dalla classica thòlos-tomba di epoca micenea, con “scodella” rovesciata in apice, alla funzione di tempio?

[5] E’ un fatto certo che, almeno fino alla seconda metà il XIX secolo, dentro la cavità campaniforme, alla quota in cui ancora oggi vediamo il camino e un’ampia finestra, esisteva un’ampia camera da letto. Il suo pavimento ligneo poggiava su robuste travi di legno infisse da una parte all’arenaria (sono ancora evidenti i fori sulla parete), e appoggiate dall’altra all’antico muro di pietra naturale (v.Fig.2.2). [Fonte: narrazione orale tramandata in famiglia. Esattamente in quella camera da letto, intorno al 1870/75 trascorse la sua prima notte di nozze la mia bisnonna materna, Maria Rosa Alessandra, che per il resto della vita descrisse a figli e nipoti quel luogo in termini suggestivi.]

[6] Vedi ad esempio  “Ori della regia sicana di Camico”, studi di B.Pace, ristampato in “Kamikos”, Comune di S.Angelo Muxaro, 1999.

[7] Rimando ai contenuti della nota 4 a pagina 6.

[8] Auspico una campagna di ricerche in ambito universitario e/o del CNR che possa sfruttare, fra l’altro, le potenzialità delle moderne tecnologie informatiche per una sistematica comparazione della poderosa biblioteca di segni lasciati dallo scavo manuale, in raffronto con le numerose tombe a grotticella della zona, con l’evoluzione della qualità dei metalli e della forma degli attrezzi di scavo nelle varie epoche storiche in quell’area geografica, ma anche studi sulla lichenometria delle varie superfici e, ove possibile, l’analisi al radiocarbonio degli strati di nerofumo sulle pareti, e ogni altra possibilità di analisi oggi disponibile per la ricerca scientifica.