Accogliendo una specifica istanza del Collegio Universitario Arces, inoltrata il 16 maggio 2007, l’Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana della Regione Siciliana iscrisse l’Arte Orafo – Argentiera Palermitana in data 12 aprile 2011 nel Libro dei Saperi e il Maestro Argentiere Antonino Amato in data 25 maggio 2011 nel Libro dei Tesori Umani Viventi.
È solo una delle tappe di un percorso intrapreso nel 1995 dagli architetti Ciro Lomonte e Guido Santoro, con attività di formazione e valorizzazione del settore dell’artigianato dei preziosi in Sicilia. I due progettisti ritenevano e ritengono tuttora doveroso difendere una eccellenza assoluta nel panorama delle realtà produttive palermitane. Delle numerose attività si trova traccia in pubblicazioni come Ritorno al futuro – Antichi saperi per nuove occupazioni (Arces, Palermo 2012) e Sogni d’oro. Criticità ed eccellenze nella Sicilia post industriale (Arces, Palermo 2013) oltre che in alcuni suggestivi documentari.
Nei venti anni 1995 – 2015 l’azione educativa della Scuola di Formazione Arces era stata sviluppata su tre livelli:
– l’obbligo formativo, cioè i tre anni di scuola obbligatori dopo le medie inferiori; la finalità dei corsi triennali è stata la formazione di giovanissimi apprendisti orafi e argentieri;
– corsi post diploma per dare i rudimenti di base a potenziali incastonatori, cesellatori, progettisti, ecc.;
– un Master di II livello in Storia e Tecnologie dell’Oreficeria, in collaborazione con il Dipartimento di Chimica dell’Università di Palermo, i cui profili in uscita sono consulenti per l’autenticazione e la valutazione di manufatti preziosi, da un lato, e curatori di collezioni pubbliche e private, dall’altro.Un tempo il mestiere si imparava a bottega. I genitori portavano i figli adolescenti nei laboratori di quegli artigiani che accettavano dietro compenso di trasmettere la propria arte, di cui essi restavano i gelosi custodi. L’apprendistato era duro: iniziava con le mansioni tipiche del garzone di bottega, passava del tempo prima che il ragazzo potesse mettere mano alla lavorazione vera e propria. Una volta appreso tutto o parte del mestiere, il giovane poteva rimanere come dipendente oppure avviare una propria attività. Oggi non è più così. Il fittizio benessere diffuso (e alcuni errori educativi da parte dei genitori, ingannati dai miraggi mediatici alimentati dalla finanziarizzazione più recente del capitale, sempre più distante dall’economia reale) convincono gli stessi figli degli artigiani ad abbandonare l’arte del padre e vagheggiare il “posto fisso”, con uno stipendio mensile assicurato e con incombenze poco faticose, che non richiedano di sporcarsi le mani.
D’altra parte la formazione professionale è stata per troppo tempo in Sicilia un pericoloso ammortizzatore sociale, che distribuiva compensi e indennità ad un numero considerevole di docenti, amministrativi e studenti, senza che gli investimenti pubblici avessero una misurabile ricaduta occupazionale nei comparti ai quali i giovani venivano introdotti.
La pseudo riforma del settore operata dai governi Crocetta ha bruciato il grano più che estirpare la zizzania. I corsi migliori, progettati e condotti con professionalità, hanno subito dei tagli relativi alle spese su materiali e attrezzature, indispensabili nella trasmissione dei saperi manuali. Hanno costretto inoltre ad avvalersi spesso di docenti privi di competenze specifiche. Sono tristi conseguenze della colonizzazione della Sicilia ad opera dello Stato Italiano, che sottrae ogni anno 10 miliardi di euro provenienti dal gettito fiscale dell’Isola, poggiandosi su politici collaborazionisti siciliani, i quali a loro volta fondano il proprio potere su un clientelismo improduttivo. Solo politici siciliani liberi possono fare gli interessi degli abitanti di questa terra meravigliosa, da duecento anni maltrattata come non lo era mai stata prima.
A seguito della riforma peggiorativa della formazione, Arces preferì dedicarsi a corsi meno legati alle esigenze degli antichi mestieri. Ciro Lomonte e Guido Santoro decisero allora di fondare l’Associazione Magistri Maragmae con la propria Monreale School of Arts & Crafts. Negli ultimi mesi hanno stretto nuovi accordi con l’ENDO FAP di via Ammiraglio Rizzo, la scuola professionale dell’Istituto Don Orione.
– A novembre è stato avviato un corso in obbligo formativo per orafi in via Ammiraglio Rizzo, dove è stata allestita un’aula con le attrezzature che negli ultimi anni erano state sistemate a Monreale.
– è stato altresì avviato un corso orafi a pagamento, il primo di una serie volti ad introdurre chiunque lo desideri alle fasi più complicate della lavorazione dei metalli preziosi.
– Sta nascendo una Fondazione con ENDO FAP, Università di Palermo, Associazione Orafi, Città Metropolitana, Magistri Maragmae, per attivare un ITS (corsi biennali per diplomati e forse un Master di II livello in Storia e Tecnologie dell’Oreficeria).
– Va aggiunto che si sta cercando di ricostruire la chiesa di S. Eligio degli Orefici, un tempo sede delle maestranze degli orafi e degli argentieri palermitani.
Tutto ciò andrebbe esteso a tutte le forme di artigianato siciliano di qualità: ebanisteria, lavorazione del ferro, ceramica, vetrate artistiche, ceroplastica, mosaici. In fondo è necessario difendere un mondo che rischia di sparire sotto gli assalti della finanza internazionale, che predilige la grande distribuzione, la scarsa qualità dei prodotti, l’usa e getta al posto della riparazione, l’ignoranza sull’essenza delle cose, la fretta di vite prive di senso. Ritornare alla realtà e all’identità è quanto mai urgente.
È sconfortante registrare l’insorgere di un fenomeno nuovo, figlio della “civiltà” di massa e dell’appiattimento culturale indotto dai mezzi di comunicazione: la massaia di oggi non è più in grado di riconoscere un oggetto d’argento. Non sa come stabilirne il valore attraverso i marchi ed i punzoni con cui si dichiara il titolo, non sa impiegarlo adeguatamente in casa, non sa pulirlo. Non è capace di distinguere una cornice cesellata, di solito composta da lastre di sette decimi di millimetro, da una prodotta con la tecnica industriale che consiste nello stendere una pellicola di spessore microscopico su di un supporto di resina sagomata.
Qualsiasi danno alla prima può essere riparato, anche a distanza di centinaia di anni. Un graffio alla seconda la rovina irreparabilmente.
Non dimentichiamo che l’Isola ha sempre contato su artigiani superlativi, come quelli dell’Ergasterion del Palazzo Reale nella capitale, in cui venne realizzata la famosa Corona di Costanza.
Fra il XV e il XIX secolo, Palermo conobbe lo sviluppo di corporazioni prestigiose che contesero gli incarichi più impegnativi alle potenti maestranze di Trapani, Messina, Catania, Acireale e Siracusa. Tutta l’Isola era un sofisticato opificio artigiano. Poi, nell’ambito dell’argenteria, è rimasta solo Palermo. Fino al 1910 circa i maestri siciliani continuarono a produrre manufatti al passo con le linee del gusto, della moda e dell’arte a loro contemporanea. Questa è una delle sfide del presente: dare vita ad una nuova collaborazione fra artisti contemporanei e nuovi artigiani, ricominciando a creare oggetti preziosi all’avanguardia, realizzati con le tecnologie più aggiornate, tratto distintivo delle migliori forme di artigianato di tutti i tempi.
Nel XX secolo la crescita della produzione argentiera ha riguardato più la quantità di manufatti in stile che la qualità e l’innovazione. Fino agli anni Novanta le tonnellate di argento lavorato rendevano Palermo la capitale mondiale della produzione in questo settore. Esistevano una decina di fabbriche, alcune delle quali giungevano a 100-150 dipendenti, e numerose botteghe artigiane. C’è chi ha cominciato a raccontare l’epopea postbellica dei vari Di Cristofalo, Longo, Formusa G.E.A., L.A.F.A., Caruso, Lupo, Stancampiano, D’Agostino, Bonura & Cusimano, Silver Star.
Da allora in poi si è assistito ad un declino inarrestabile dovuto a molteplici ragioni: i cambiamenti nel mercato del regalo, che ha visto la crescita degli articoli di telefonia e informatica a discapito delle suppellettili per la tavola e dei gioielli; la mancata innovazione delle forme dei manufatti; il cambio dell’euro rispetto al dollaro; la speculazione finanziaria che ha fatto crescere vertiginosamente il prezzo dell’oro e dell’argento; la concorrenza dei produttori asiatici (in particolare cinesi, thailandesi e turchi). Questi ultimi, in verità, hanno invaso più l’ambito dell’oreficeria che quello dell’argenteria. I costi bassissimi della manodopera orientale rendono impossibile agli orafi nostrani battere la loro concorrenza, tranne che sul campo della creatività artistica in cui sono maestri indiscussi.
Si può affermare che Palermo rimanga tuttora la capitale mondiale della produzione in argento, se non altro per il valore della lavorazione manuale degli artigiani locali, alcuni dei quali in grado di operare pregevoli interventi di manutenzione e di restauro su oggetti di tutte le epoche. La diffusione dei macchinari industriali non ha infatti interrotto il tramandarsi della capacità di eseguire a mano le fasi più delicate del processo di produzione dei manufatti d’argento, che possono restare in tal modo pezzi unici. È frequente trovare nei laboratori palermitani antichi manufatti di pregio da restaurare, perché questi argentieri sono rimasti gli unici (almeno in Italia) a conservare le conoscenze complete dell’intero processo di realizzazione e la capacità di riprodurlo. Essi continuano infatti a produrre copie che un occhio profano non riesce a distinguere dall’originale. I maestri argentieri palermitani hanno una grande passione per la manutenzione, perché abituati da sempre a concepire il manufatto in modo da poterlo smontare e rimontare tutte le volte che sia necessario, anche a distanza di secoli, allo scopo di effettuare le riparazioni e le integrazioni necessarie.
Di fronte alle potenzialità immense di Palermo, chi è disposto a rimboccarsi le maniche per dare vita ad un nuovo prodigioso sviluppo? Ciro Lomonte e Guido Santoro ci credono e continuano con tanti idealisti siciliani a prestare il loro servizio agli artigiani della propria terra ed ai giovani che vogliano apprendere gli antichi mestieri.