Le acque termo-minerali di Termini Imerese sono state oggetto di studio sin dalla seconda metà del Settecento, soprattutto in relazione alle loro notevoli proprietà terapeutiche. Uno dei primi studiosi siciliani ad averle prese in considerazione durante le sue ricerche è stato il medico palermitano Vincenzo Ryolo che le visitò nel 1787, lasciando a noi posteri un resoconto molto interessante.
Prima di affrontare nel dettaglio l’argomento della visita del Ryolo ai Bagni di Termini, ci piace tratteggiare, sia pure a grandi linee, la storia di questa importante risorsa geotermica.
Termini Imerese, cittadina sulla costa settentrionale della Sicilia, sita a circa 25 km a Est di Palermo, sorge sul sito delle antiche «terme di Himera» (Θέρμαι ‛Ιμεραῖαι, Thermae Himerenses) approvvigionate dai bagni caldi (thermà loutrà), dalle quali deriva il toponimo, legati al mito di Eracle. Lo storico siceliota Diodoro Siculo (Agyrion, odierna Agira, c. 90 a. C. – c. 27 a. C.), autore della monumentale storia universale, intitolata Bibliothēkē historikē (Βιβλιοθήκη Ἱστορική), originariamente composta da ben 40 libri, riferisce estesamente del culto pagano di Eracle in Sicilia, ben radicato finanche nella sua città natia. In particolare, nel libro IV (23, 1), racconta che Eracle, transitando da Capo Peloro ad Erice con la mandria dei buoi di Gerione (durante la nona fatica), secondo il mito si sarebbe fermato lungo il lido imerese dove le ninfe Nàiadi avrebbero fatto scaturire delle sorgenti calde per ristorarlo dalle sue fatiche. Rammentiamo al lettore che le Nàiadi erano delle divinità pagane femminili delle fonti, dei fiumi e delle zone umide, derivando il loro nome dal greco náein (νάειν) ‘fluire’. Relativamente alle ninfe, per ulteriori approfondimenti, cfr. M. Halm-Tisserant, G. Siebert, Nymphai, in “Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae”, VIII Suppl., Zürich – München 1997, pp. 891-902).
Il nostro storico siceliota, nel libro quinto della sua opera Bibliothēkē historikē, dedicato alle isole, in primis alla Sicilia, ritorna sull’argomento del termalismo imerese. In esso egli fa esplicito riferimento al culto di Athena ad Imera (oggi ampiamente confermato dalle indagini archeologiche), al passaggio di Eracle, per il quale le Ninfe, in grazia della dea, avrebbero fatto sgorgare i bagni termali ed all’esistenza di una regione consacrata alla dea della sapienza, chiamata Athenaion (V, 3).
Alcuni scrittori dell’antichità ci tramandano che nel mondo greco vi era la generale convinzione di una stretta connessione tra le acque termali ed il mito di Eracle. Il commediografo greco Aristofane (c. 450 a. C. – c. 388 a. C.), ad esempio, sostiene che «E dove mai hai visto Bagni di Eracle di acqua fredda?» (cfr. Aristophánēs, Nephelai, v. 1051; Aristofane, Nuvole, testo greco a fronte, traduzione ed edizione a cura di A. Grilli, Biblioteca Universale Rizzoli, Classici Greci e Latini, Milano 2001, 258 pp.). Ciò appare maggiormente ribadito da Ateneo di Naucrati, attivo nell’età imperiale, che nella sua opera Deipnosofisti riferisce che «tutti i bagni caldi (thermà loutrà), che sorgono dal terreno, sono universalmente detti essere sacri ad Eracle» (cfr. Athen. Deipnosophistai, XII, 6; Athenaei Naucratitae, Dipnosophistarum libri XV, recensuit G. Kaibel, III, Teubner, Lipsiae 1887, XII+810 pp., on-line all’indirizzo http://www.perseus.tufts.edu/hopper/text?doc=Perseus%3Atext%3A2013.01.0001%3Abook%3D12%3Achapter%3D6). Parimenti, anche nel mondo romano Eracle/Ercole continuò ad essere collegato con le acque termali, avendo mutuato dagli Etruschi la credenza che fosse il protettore delle acque termali (cfr. V. Bellelli, Un bronzetto etrusco, Cerveteri e le ‘Acque di Ercole’, “Mediterranea. Quaderni annuali dell’Istituto di Studi sulle civiltà italiche e del Mediterraneo antico”, III, 2006, pp. 173-226).
A nostro avviso, i Bagni di Termini rappresentano uno degli esempi più interessanti ed ancora poco investigati, di intimo intreccio tra mito, storia, geologia e archeologia. L’importante emergenza geologica appare congiunta a forme della sacralità pagane legate ad essa sin dall’età antica, sostituite poi, con l’avvento del cristianesimo, dai culti mariani e del santo taumaturgo Calogero. Si tratta di un rilevante ed emblematico geoarcheosito che presenta interconnessioni complesse tra i peculiari fenomeni naturali attivi nell’area termale e gli aspetti storico-archeologici, antropologici, religiosi etc.
Il termalismo a bassa entalpia di Termini Imerese è la principale manifestazione superficiale di un vasto ed ancora poco esplorato campo geotermico che rientra nei sistemi a circolazione di acque calde. Per ulteriori approfondimenti sui campi geotermici, cfr. M. P. Hochstein, Classification and Assessment of Geothermal Resources, in M. H. Dickson, M. Fanelli, Eds., Small Geothermal Resources: A Guide to Development and Utilization. UNITAR/UNDP Centre on small Energy Sources, Rome 1990, pp. 31-59.
Le sorgenti termali termitane costituiscono un punto chiave per la comprensione dei circuiti idrotermali dei monti di Termini Imerese-Trabia, di fondamentale importanza per approfondire le ricerche sul termalismo siciliano.
Relativamente al grande anticlinorio che costituisce i Monti di Termini Imerese-Trabia, siamo essenzialmente in presenza di reservoirs geotermici a bassa entalpia ospitati in acquiferi carbonatici e carbonatico-silicoclastici (successione Imerese), in rete di fratture e carsismo, più o meno profondi. Questi acquiferi carbonatici e carbonatico-silicoclastici sono, a loro volta, tettonicamente sovrastanti ad acquiferi carbonatici di piattaforma molto profondi. L’intero edificio idrostrutturale nel suo complesso forma una pila di corpi rocciosi, tettonicamente sovrapposti, che ospitano acquiferi multifalda, dello spessore totale di circa 15-20 km, separati di orizzonti impermeabili e/o semipermeabili. La maglia di faglie, con le relative zone di fratturazione, favorisce gli interscambi tra acquiferi sovrapposti ed i flussi convettivi idrotermali.
Nel settore orientale dei detti monti, in particolare, le acque termali in risalita subiscono fenomeni, a scala variabile, di diluizione e di mescola con acqua dolce, fredda, proveniente dalle aree di ricarica (Monte S. Calogero-Rocca di Mezzogiorno), come attesta la presenza del gruppo sorgentizio Favara-Scamaccio che in passato esibiva acqua ipotermale alla temperatura di circa 20°-24° C (cfr. P. Bova, A. Contino, G. Esposito, Analyse historique des variations du débit provoqué par les séismes pendant les siècles XVe–XXe: le cas de Termini Imerese (Sicile centro-septentrionale), in G. Polizzi, V. Ollivier, S. Bouffier, eds., From Hydrology to Hydroarchaeology in the Ancient Mediterranean, Archaeopress, Oxford 2022, pp. 61-75).
Le acque calde di Termini Imerese (considerando un gradiente geotermico medio di ~30°C/km, debbono provenire da una profondità superiore ad 1 km) risalgono attraverso processi convettivi/advettivi, fungendo da fluidi vettori del calore proveniente dall’interno della Terra. Una serie di discontinuità tettoniche (fratture, faglie) consentono la circolazione delle acque, precedentemente riscaldate in profondità in base al gradiente geotermico medio. La risalita avviene preferibilmente attraverso grandi sistemi di faglie e zone di fratturazione ad essi associati, che fungono da vie preferenziali di ascesa di acque termali e gas. Nelle aree strutturalmente ribassate le coperture impermeabili (prevalentemente costituite dalle argille oligoceniche del Flysch Numidico), sigillano i fluidi termali presenti nei serbatoi. Nel caso dei Bagni di Termini Imerese, la risalita avviene proprio lungo quello che uno degli scriventi ha opportunamente designato il “lineamento delle Terme” ad andamento NE-SO (cfr. A. Contino, Geologia urbana dell’abitato e della zona industriale di Termini Imerese (Sicilia settentrionale), tesi sperimentale di dottorato di ricerca in Geologia, Università degli studi di Palermo, Dipartimento di Geologia e Geodesia, dottorato di ricerca in Geologia, XVII ciclo, 215 pp.). Tutto ciò evidenzia in maniera incontrovertibile l’intimo legame tra tettonica e siti di emergenza delle acque termali. Le stesse faglie che consentono la risalita delle acque termali, nel loro insieme hanno permesso l’estrusione della Rocca del Castello di Termini che, nel fianco nord-orientale, esibisce un marcato ‘gradino morfologico’, legato al “lineamento delle Terme”, su cui si sorgevano le fortificazioni della città antica e medievale e su cui sono abbarbicati i pittoreschi quartieri Rocchecelle (S. Orsola) ed Annunziata. Le acque termali che fuoriescono dal “lineamento delle Terme”, inoltre, vanno ad alimentare anche la falda idrica libera, presente nei depositi alluvionali e litoranei che formano il sottosuolo della parte bassa della cittadina, sostenuta dai sottostanti depositi terrigeni impermeabili (argille del Flysch Numidico ed Argille Varicolori). Nella piana costiera sulla quale sorge Termini Bassa, si vengono a creare, pertanto, dei complessi fenomeni di diluizione e mescolamento tra le acque termali calde mineralizzate, acque dolci della falda libera nonché con quelle marine salmastre. La gestione e la salvaguardia di una così importante risorsa idrica termale avrebbe richiesto un adeguato monitoraggio, regolare e sistematico, dello stato e dei caratteri di essa, sinora totalmente disatteso a causa di una gestione miope e priva di alcuna pianificazione a lungo termine. In corrispondenza di tutti i punti d’acqua principali (sorgenti e pozzi; manifestazioni minerali fredde) si sarebbero dovute istallare delle stazioni di misura continue (registrazione automatica computerizzata) per il monitoraggio e l’acquisizione di dati geochimici (parametri di base, elementi in tracce, emanazioni di CO2), piezometrici, termometrici, di portata, radiometrici (emanazioni di radon). Questi dati, monitorati nel lungo periodo (decennale, pluridecennale) grazie all’utilizzo di metodologie a basso impatto ambientale, rivestono, infatti, un’importanza fondamentale per meglio comprendere i reali meccanismi di scarico e di ricarica dei serbatoi idrici sotterranei, nonché le caratteristiche chimico-fisiche delle acque sorgive minerali e termominerali. L’analisi ed elaborazione del dataset di monitoraggio, possono portare ad una corretta pianificazione e realizzazione di opportune misure di disciplina, e/o di provvedimenti straordinari, al fine di tutelare la risorsa idrica sotterranea e di calibrare i modelli idrogeologici, idrogeochimici ed idrotermali, sinora sviluppati per questa area. In tal modo, si possono ottimizzare i prelievi e tutelarli da possibili fonti di inquinamento e di interferenza. I prelievi possono così essere stimati e valutati attentamente, per non intaccare la riserva e per non innescare fenomeni tendenzialmente irreversibili, quali il prosciugamento delle sorgenti e la predisposizione dei corpi idrici all’inquinamento. La mancanza di tale monitoraggio, infatti, non consente una idonea valutazione dell’impatto di processi sia naturali, sia di origine antropica sui corpi idrici.
Le sorgenti termali in questione, sono note sin dall’antichità classica e nel periodo ellenistico. Furono cantate da Pindaro (Olimpica XII, 19, che esaltò le virtù atletiche nella corsa dell’oriundo cretese Ergotele cittadino di Himera) e diversi riferimenti ad esse si riscontrano anche nelle emissioni monetali di Himera e di Thermai. Ci riferiamo soprattutto ai tipi di una corposa serie di tetradrammi argentei di Himera (V sec. a. C.) che, quasi come réclame ante litteram, nel rovescio esibiscono la figura centrale della ninfa eponima offerente in un’ara, ed il satiro che si bagna con il getto idrico che sgorga da una protome leonina [cfr. F. Gutmann, W. Schwabacher, Tetradrachmen und Didrachmen von Himera (472-409 v. Chr.), “Mitteilungen der Bayerischen Numismatischen Gesell”, 47, München 1929, pp. 101-144, tavv. VIII-X; C. Arnold Biucchi, La monetazione d’argento di Himera classica. I tetradrammi, “Numismatica e Antichità Classiche”, XVII, 1988, pp. 85-100]. Relativamente alla monetazione bronzea di Thermai ci piace menzionare i didrammi in bronzo che sempre nel rovescio esibiscono la figura di Eracle (cfr. in particolare, B. Carroccio, Dal basileus Agatocle a Roma. Le monetazioni siciliane d’età ellenistica (cronologia – iconografia – metrologia), Pelorias 10, Università di Messina, Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne, Messina 2004, 336 pp.). Si tratta di una palese allusione al mito del passaggio di Eracle e del suo legame con le acque termali imeresi nel sito dell’odierna Termini Imerese.
Le acque termominerali furono ampiamente sfruttate a scopo idroterapico dai Romani che realizzarono un grande ed articolato complesso termale, nel quale doveva spiccare il grande edificio a pianta circolare. Sotto il dominio romano la cittadina imerese divenne uno dei primari centri termali dell’Isola, nel quadro di una profonda cultura idroterapica che si prefiggeva una valorizzazione generalizzata delle acque medicamentose, attraverso la capillare realizzazione, anche nelle provincie più remote, di strutture termali a scopo igienico-terapeutico e ludico-ricreativo ad esaltare la magnificente potenza imperiale (cfr. G. Marasco, Aspetti sociali, economici e culturali del termalismo nel mondo romano, “Studi Classici e Orientali”, vol. 47, n. 3, Settembre 2004, Pisa University Press, pp. 9-64).
Del resto, fu proprio il mondo romano, soprattutto fra il I sec. a. C. ed il I d. C., a dare vita ad un vero e proprio “apogeo del termalismo” (cfr. R. Jackson, Spas, waters, and hydrotherapy in the Roman world, in J. DeLaine, D. E. Johnston, Eds., Roman Baths and bathing, “Proceedings of the First International Conference on Roman Baths, Bath, England, 30 March – 4 April 1992”, Portsmouth, R.I., Journal of Roman Archaeology, 1999, I, pp. 107-116; C.M. Jansen, A. O. Koloski-Ostrow, E. M. Moormann, Roman Toilets: their Archaeology and Cultural History. Babesch. Supplement, 19, Peeters, Leuven-Paris-Walpole, MA U.S.A., 2011, vii+224 pp., in particolare, pp. 36-58).
La decadenza dell’impero portò alla rovina del complesso termale romano che dovette subire saccheggi e spoliazioni, a ciò si aggiunsero tra il VI e il VII sec. d. C., degli eventi alluvionali di una certa rilevanza che impattarono sulle strutture termali allagandole ripetutamente e lasciando dei depositi che andarono a riempire l’interno dell’edificio già in rovina (cfr. O. Belvedere, A. Contino, V. Forgia, Geoarchaeological evidence for the Abandonment of the Roman baths at Thermae Himerae (Termini Imerese, Sicily), in J. Bergemann, Hrsg., Kultur und Natur in der antiken Mittelmeerwelt – Cultura e Natura nel Mediterraneo antico – Italienische und deutsche Forschungen in Archäologie und Geschichte und ihre Bedeutung für die moderne Diskussion über Klimawandel; Villa Vigoni Gespräch vom 3. – 6. April 2018, organisiert von J. Bergemann (Göttingen) und M. Cultraro (Catania), Göttinger Studien zur Mediterranen Archäologie, band 9, Verlag Marie Leidorf GmbH · Rahden/Westf. 2020, pp. 65-70). Tali eventi, non a caso, si collocano in quella che i climatologi hanno designato come la “Piccola Età Glaciale della Tarda Antichità” (Late Antique Little Ice Age, LALIA).
Anche per Termini Imerese, come per Lipari e Sciacca, è attestato il collegamento tra il taumaturgo San Calogero e le manifestazioni termali. Ricordiamo che il nome Calogero deriva dal greco kalógēros (καλόγηρος), composto da καλός (kalós), ‘bello’ e da γέρων (géron) ‘vecchio’. Secondo le fonti agiografiche, il santo anacoreta, nel novero dell’evangelizzazione della cittadina imerese, in nome di Cristo scacciò i diavoli che infestavano il sito dalle terme, purificandolo e permettendo l’accesso agli esseri umani (cfr. D. Papebroch S. J., De Sanctis Eremitis Calogero Presbytero, et Sierio eius discipulo, in Agrigentina Siciliæ Dioecesi. Commentarius prævius, in Acta sanctorum Junii, III, Antuerpiæ, Thieullier, MDCCI, pp. 589-594, in particolare, p. 589). Il racconto agiografico allude ad un vero e proprio processo di cristianizzazione voluto dal Santo taumaturgo dell’antico sito per sradicare il culto pagano dedicato ad Eracle/Ercole ed alle Ninfe salutari. Ciò è, a nostro avviso, un ulteriore esempio dell’infondatezza del radicato luogo comune che vorrebbe avallare la tesi, totalmente inconsistente, di una presunta avversione del cristianesimo nei confronti dei bagni termali. A tal proposito rimandiamo all’illuminante saggio di Cosimo D’Angela (Università di Bari) che smantella parecchi falsi preconcetti (cfr. C. D’Angela, Cristianesimo e fruizione delle acque salutari nella tarda antichità. Alcune osservazioni sui centri termali in Italia, in “Vetera Christianorum”, Rivista del Dipartimento di Studi classici e cristiani, Università degli Studi di Bari, N.35, Edipuglia, Bari 1998, pp. 69-78).
A nostro avviso, nel sito dei bagni, gli effetti combinanti di eventi antropici e naturali, dovettero determinare la “contrazione” degli ambienti superstiti utilizzati, sino alla fruizione esclusiva dei settori che insistevano più direttamente sui punti di emergenza delle due scaturigini termali. Nel medio evo, pertanto, sulle due emergenze principali, sorgevano altrettanti rispettivi edifici balneari, probabilmente ricavati utilizzando in gran parte alcuni ambienti antichi superstiti, distinti in base ai sessi, detti Bagno degli Uomini e Bagno delle Donne o Comune (quest’ultimo provvisto di lavatoio pubblico), come si ricava dai rogiti notarili, anche se tardi, essendo del Quattrocento. Il Bagno delle Donne, sino alla sua distruzione ebbe i caratteri peculiari dell’architettura arabo-normanna, mantenendo la tipologia islamica degli hamma, similmente ai Bagni di Cefalà Diana, l’unico complesso termale superstite in Sicilia ad avere tali caratteristiche così peculiari (cfr. P. Bova, A. Contino, Bagni di Cefalà Diana tra termalismo, geomorfologia e archeologia, “Esperonews”, Mercoledì, 11 Maggio 2022, on-line in questa testata giornalistica).
Del resto, il viaggiatore e geografo Muḥammad al-Idrīsī (forse Ceuta 493 dell’Egira/1099-1100 – Sicilia, c. 560/1164-1165) nella sua opera «Libro del sollazzo per chi si diletta di girare il mondo» (Kitāb nuzhat al-mushtāq fī ikhtirāq al-āfāq), altrimenti detta il «libro di Ruggero» (Kitāb Rujār o Kitāb Rujārī), completata verso il 1154, descrivendo la cittadina imerese rammenta «due bagni l’un presso dell’altro, entrambi eccellenti, su i quali sorge un edifizio antico» (cfr. A. Amari. C. Schiaparelli, L’Italia descritta nel “Libro del re Ruggero” compilato da Edrisi, Salviucci, Roma 1883, p. 28).
Nella prima metà del Trecento, nel quadro della guerra dei Vespri, l’area dei Bagni fu coinvolta negli eventi bellici che portarono a due saccheggi del borgo fuori le mura (1300, 1326) ed altrettanti assedi angioini della cittadina (1302, 1338), l’ultimo dei quali particolarmente distruttivo [cfr. A. Contino, Aqua Himerae. Idrografia antica ed attuale dell’area urbana e del territorio di Termini Imerese (Sicilia centro-settentrionale), Giambra, Terme Vigliatore, Messina, 2019, pp. 41-42].
Negli anni 30’ del Cinquecento, il patrizio siracusano Claudio Mario Arezzo, dei baroni della Targia, nella sua opera De situ insulae Siciliae libellus, che rappresenta il primo tentativo umanistico di una erudita descrizione geografica dell’Isola, ci fornisce un importante flash, relativo ai bagni, dove convenivano molti malati, ed alle strutture termali superstiti dell’edificio antico: «ubi etiam nu[n]c perantiquum sane: ac structile suis concamerationibus aedificiu[m]», (cfr. Cl. Marii Aretii Viri Patricii Syracusani De Situ Insulae Siciliae libellus, Mayda, Panhormi M. D. XXXVII., XLII ff., in particolare, f. XXXVIv, http://www.bibliotecaregionalepalermo.it/index.php?it/132/biblioteca-digitale-cerca-nel-catalogo/356/cl-marii-aretii-de-situ-insulae-siciliae-libellus).
Alla fine del Cinquecento, la fase di progressiva decadenza e spoliazione delle strutture antiche dovette ormai raggiungere il massimo e gli amministratori dovettero rendersi conto che bisognava intervenire preservando gli spazi superstiti sui quali edificare un novello edificio balneare. Fu così che nella prima metà del Seicento, il Bagno degli Uomini fu ampiamente ristrutturato, ricostruendo ex novo le strutture portanti, mentre quello delle Donne, subì lavori di manutenzione di una parte della volta (per i lavori eseguiti, cfr. A. M. Gargotta, Su i bagni termo-minerali di Termini-Imerese. Notizie storiche di Antonino Maria Gargotta direttore G[enerale]. dello stabilimento colle osservazioni chimiche e medicinali su quelle acque dal medesimo riunite e pubblicate, Dato, Palermo 1830, 308 pp., in particolare, pp. 21-26). Ricordiamo che la paternità del progetto dell’edificio seicentesco, in uno con la sistemazione della piazza antistante (sorta su metà delle strutture romane dell’un ampio complesso a pianta circolare) va ascritta all’architetto civico, il palermitano Antonino Spatafora (Palermo, c. 1552/53 – Termini Imerese, 22 Giugno 1613), già in carica agli inizi del secolo e che è documentato per aver ricevuto un pagamento proprio per la realizzazione delle stufe (cfr. A. Contino e S. Mantia, Architetti e pittori a Termini Imerese tra il XVI ed il XVII secolo, GASM, Termini Imerese 2001 p. 19; P. Bova, A. Contino, Termini Imerese, Antonino Spatafora e il modello ligneo seicentesco della maggior chiesa, “Esperonews”, Sabato, 27 Novembre 2021, on-line su questa testata giornalistica).
Agli inizi dell’Ottocento, i seicenteschi Bagni degli Uomini, erano nuovamente ridotti ad un deprecabile stato di incuria e di sporcizia, necessitando di un intervento urgente di riqualificazione ambientale e strutturale (cfr. A. M. Gargotta, Su i bagni termo-minerali di Termini-Imerese…cit., pp. 26-48). Negli anni 1817–28, si ebbe il tanto auspicato rinnovamento dell’edificio termale sotto la direzione dell’architetto palermitano Alessandro Emmanuele Marvuglia Gallo (1771–1845), figlio del più noto Giuseppe Venanzio Marvuglia Mazzarella (1729–1814).
Il nuovo stabilimento termale, detto Grand Hotel delle Terme (1886-1892), purtroppo, portò alla distruzione dell’antico Bagno delle Donne e di buona parte del tessuto urbano appartenente al limitrofo quartiere, facendo scomparire la Via Maisano, il Largo Minerva ed il Vico dei Bagni Comuni. L’opera fu progettata da Giuseppe Damiani Almeyda (Capua, Caserta, 10 Febbraio 1834 – Palermo, 31 Gennaio 1911), architetto, Ingegnere di ponti e strade, disegnatore e pittore.
Nel XX secolo, le sorgenti hanno esibito temperature di circa 42°- 43° C e portate complessive variabili generalmente tra 5 l/s (minimo in conseguenza del sisma del 1968) e 16 l/s. A seguito dei lavori di costruzione del bacino di carenaggio “Colombo” si ebbero dei marcati abbassamenti dei livelli piezometrici della falda termale ospitata nei depositi alluvionali e litoranei che, a loro volta, innescarono fenomeni similari nell’emergenza sorgentizia del Grand Hotel delle Terme che si tentò di ovviare attraverso la realizzazione di opere di captazione per pozzi all’interno dello stabilimento termale. La successiva dismissione dell’opera di carenaggio, solo in parte ha compensato il fenomeno.
Le acque calde, clorurato-solfato-alcaline, celebrate per le loro proprietà balneoterapiche plurimillenarie, sono state efficacemente adoperate per bagni e bevanda, particolarmente nelle comuni affezioni a carico delle vie respiratorie e dell’apparato digerente, cutaneo, etc., nonché nelle forme ipertrofiche del sistema ghiandolare, in quelle reumatico-artritiche, nelle nevralgie e nella uricemia. Purtroppo, attualmente le strutture termali non sono utilizzate essendo un bene pignorato, mesto esito di pluridecennali contenziosi tra le amministrazioni comunali ed i gestori.
Dopo questo sintetico excursus sulla storia delle terme di Termini Imerese, focalizziamo sull’argomento principale di questa nostra ricerca. Allo scadere del Settecento, prima che l’antico edificio seicentesco fosse ridotto in uno stato di deprecabile abbandono, perdurato sino al 1817, il medico palermitano dottor Vincenzo Ryolo scrisse una interessante e, per certi versi, originale relazione sui bagni termitani che, nella sua interezza, riportiamo in appendice al presente articolo.
Il dottor Ryolo, infatti, fu autore del Discorso Istorico-Analitico Dell’Acque Minerali e Termali di Sicilia pubblicato a Palermo, presso la stamperia di Solli, nel 1794, comprendente 194 pagine. Nonostante il riferimento nel titolo dello studio, all’approccio analitico, oltre che storico, in realtà orientamento più squisitamente chimico-fisico, relativo alla caratterizzazione delle acque termali, utilizzò con ampia dovizia metodi qualitativi, mentre per quelli quantitativi, nonostante i buoni propositi, i risultati non appaiono particolarmente accurati, forse per il taglio propedeutico delle sue indagini.
L’opera in questione fu dedicata al viceré e Capitan Generale nel Regno di Sicilia, Francesco Maria Venanzio d’Aquino Pignatelli (Napoli, 27 Febbraio 1738 – Palermo, 9 Gennaio 1795), IX principe di Caramanico (oggi Caramanico Terme, comune dell’Abruzzo, in provincia di Pescara, nel cuore del parco della Majella). Ciò appare chiaramente dal frontespizio e, soprattutto, dalla dedica che occupa cinque pagine a stampa, scritta dal Ryolo a Palermo, il 15 Dicembre 1793. In quest’ultima, il medico palermitano mise giustamente in evidenza che il Discorso edito, lungi dall’avere alcuna pretesa di essere esaustivo, esponeva i risultati preliminari della ricerca sino a quel momento portata avanti dall’autore, era in definitiva l’esposizione dello stato dell’arte dell’indagine. Il Ryolo, si soffermava sul fatto che, una indagine a tutto campo sulle acque minerali e termominerali della Sicilia, abbisognava di apposite sovvenzioni governative, avendo egli approntato di tasca propria le spese per dare inizio allo studio: «Questo Discorso Istorico-Analitico sull’Acque Minerali, Termali di Sicilia, che io ora vengo presentando a V[ostra]. E[ccellenza]., deve esser riguardato come un saggio di un’Opera più grande, ed estesa non come un travaglio già pel tutto fornito, ma come un cominciamento di ulteriori cure, e fatiche. Imperciochè il formare l’analisi dell’Acque tutte Minerali del Regno nostro che molte sono, ed in varj, e disparati Luoghi lo [sic] nascono, lunghezza di tempo richiede, e più, e più viaggi, ed innanzi di ogn’altro dispendj non piccoli, per cui ad una di quell’imprese s’appartiene, che senza lo zelo, ed il favore del Governo non si può veramente al debito fine condurre. Come dunque l’animo rivolsi a questo ramo importantissimo della nostra fisica utile alle lettere, e necessario, e di gran momento per la publica [sic] salute, fu mio intendimento di cominciare per mie private spese, e fatiche l’impresa onde dato incominciamento alla cosa, e conosciuto il vantaggio di queste prime fatiche riuscisse più facile movere, e pungere il Governo ad apprestare nuovi, e necessarj mezzi per proceder più oltre». Pertanto, rivolgendosi al Caramanico, il Ryolo, auspica l’interessamento del viceré ed un fattivo intervento in favore della ricerca e dei suoi futuri approfondimenti: «Per la qualcosa a V[ostra]. E[ccellenza]., e non ad altri debbo, e posso drizzare questa mia Operetta, perché son confortato dalla benignità di V[ostra]. E[ccellenza]. a sperare, che ove questo primo argomento delle mie fatiche non trovasse pel tutto spregievole, voglia somministrarmi gli opportuni mezzi, perché si tragga a fine, ed a perfezione il resto dell’Opera». E veramente altro non richieggo [sic, richiedo] da V. E. se non che nuovi, potenti stimoli, perché io più mi avanzassi in queste esperienze da farsi sull’Acque nostre Minerali, ed il patrocinio di V[ostra]. E[ccellenza]., verso di me giachè [sic] suole accordarlo a chiunque ed in alcun modo s’ingegnasse di promovere [sic] le utili cose, coltivare le scienze».
L’Isola, però, era appena uscita dalle carestie ed epidemie degli anni 1792-93, mentre il Caramanico nel febbraio 1794 dovette affrontare una grave malattia epatica che lo ridusse in pericolo di vita, tanto da costringerlo a rimanere lontano dalla Sicilia con una convalescenza di tre settimane a Caserta. Il 9 Gennaio 1795, purtroppo, il D’Aquino pose termine alla sua esistenza terrena (cfr. P. Insenga, in G. E. Di Blasi Gambacorta, Storia cronologica dei viceré, Presidenti e luogotenenti del regno di Sicilia. Seguita da un’appendice sino al 1842, Appendice, Stamperia Oretea, Palermo 1842, pp. 675-687). Fu così che le speranze di vedere realizzato il progetto del Ryolo, relativo ad un primo studio generale del termalismo siciliano sfumò inesorabilmente.
L’indagine pubblicata dal Ryolo, eminentemente propedeutica, dopo una panoramica sulle acque minerali e termominerali della Sicilia, delle quali rammenta le proprietà benefiche, le notizie storiche e le tradizioni popolari connesse ad esse, tratteggia sui singoli siti. Relativamente ai Bagni di Termini Imerese, il Discorso fornisce una interessante descrizione dell’edificio termale principale anteriormente alla riforma del 1817-1828, confermando, ma anche integrando, le informazioni trasmesse dal pittore, architetto e naturalista francese Jean Hoüel nel suo Voyage pittoresque. Hoüel, infatti, ci ha tramandato una messe di informazioni, sia testuali, sia iconografiche rappresentate negli acquerelli dedicati ai bagni di Termini, da lui visitati nel 1776 (cfr. J. Hoüel, Voyage pittoresque des isles de Sicile, de Malta et de Lipari Où l’on traite des Antiquités qui s’y trouvent encore; des principaux Phénomènes que la Nature y offre; du Costume des Habitans, & de quelques Usages, Paris, De l’Imprimerie de Monsieur [Pierre-François Didot], 4 voll., I, Paris 1782; P. Bova, A. Contino, La Splendidissima nel Grand Tour. 1776: Jean Hoüel a Termini Imerese, “Esperonews”, Giovedì, 6 Maggio 2021, on-line su questa testata giornalistica).
Ryolo rammenta lucidamente lo stabilimento termale seicentesco: «antico Edificio colle sue camere destinate al uopo e di bagnarsi, e di sudare. La Stanza destinata al sudore è situata in mezzo alle due Stanze de’ Bagni, e queste Stanze sono tutte fatte con somma maestria a volta. La stanza sudorifera a vapore naturale è così descritta nel Discorso: «La Stanza destinata al uopo del sudare è lunga palmi 17. [4,38 m], larga palmi 9. [2,25 m], vi sono dodici buchi, da dove esalano li vapori dell’Acque calde de’ Bagni, ed il Calore, che in detto luogo si osserva, sebbene non sempre uguale, da me fu ritrovato alli 6. Settembre 1787. di gradi 43. al Termometro di Rameur [sic, Réaumur, corrispondenti a 53,75 °C]». Ricordiamo che il grado Réaumur è una unità di misura della temperatura che prende il nome dal naturalista e fisico francese René-Antoine Ferchault de Réaumur (1683–1757). Anche Hoüel, del resto, rammenta l’ambiente adibito a stufa il cui «pavimento composto da lastre di pietra è perforato da dodici fori da tre a quattro pollici di diametro» (cfr. P. Bova, A. Contino, La Splendidissima nel Grand Tour…cit.).
Nel Discorso di Ryolo, viene ricordata l’esistenza dell’importante iscrizione che sanciva il completamento dei lavori relativi all’edificio manieristico nel 1642, la quale era posta «Accanto alla Porta di detta Stanza [della stufa]»: SVDORIBVS PRÆSTO SALVTEM ANN. MDCXLII.
Sul lato destro era collocato il Bagno grande, «largo palmi dieci, lungo palmi trentasei ed il Calore dell’acqua fu rinvenuto allo stesso Termometro di gradi trent’uno [Réaumur, corrispondenti a 38,75°C]». Invece, sul lato sinistro era collocato il Bagno piccolo, «largo palmi novi [sic, 2,25 m], lungo palmi trenta [7,74 m], ed il Calore della sua acqua non oltrepassava li [sic] gradi trentatre [sic] dello stesso Termometro [Réaumur, corrispondenti a 37,5°C]. In questo Bagno dall’arte si sono apprestate due doccie [sic, docce], e vi è situata sopra la doccia a man destra la Statua di S. Calogero».
L’autore del Discorso ricorda l’esistenza dell’altro edificio termale detto il Bagno delle Donne: «Pochi passi distante da detti Bagni, ve n’è un’ altro chiamato Bagno di fuori Questo è destinato per le Donne. E’ lungo palmi ventiquattro [6,19 m], largo palmi vent’uno [sic, 5,42 m] ed il Calore della sua acqua fu osservato di gradi trentasetti allo stesso Termometro [Réaumur, corrispondenti a 46,25°C]». Il Bagno delle Donne fu in gran parte sacrificato dalla costruzione del Grand Hotel delle Terme.
«Sopra detti Bagni [al primo piano] vi è un Corridore con sette Camere, ed in fondo di detto Corridore vi è una Cappella dedicata alla Gran Vergine Maria, sotto titolo della Madonna della Stufa». Ryolo è l’unico autore sinora noto a fornire questa importante ed ennesima testimonianza del profondo, riverente e devoto culto mariano a Termini Imerese e, in particolare, proprio all’interno dell’edificio termale. Ricordiamo che nella teologia cattolica (cfr. S. Agostino d’Ippona, La Città di Dio, X, 2; S. Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, II-II, q. 103, a. 3), alla Vergine Maria va prestato il culto di iperdulìa cioè «alta venerazione», per la funzione particolarissima svolta nella storia della salvezza, a differenza della venerazione prestata agli altri Santi (dulìa) e dell’esclusiva adorazione riservata alla SS. Trinità (latrìa).
In tempi successivi, soltanto il dottor Antonino Maria Gargotta Cocilovo, sia pure en passant, accenna all’esistenza di tale cappella, senza alcuna specificazione relativa alla sua intitolazione: «in fondo al corridojo fu destinata una cappella per gli esercizi della Religione» (cfr. A. Gargotta, p. 26). A nostro avviso, si trattava, con tutta probabilità, di una cappella dedicata alla taumaturga Nostra Signora della Salute o Madonna della Salute (Beata Maria Virgo Salus Infirmorum), invocata per impetrare sia la salute corporale, sia quella spirituale, il cui culto è ben documentato anche in altre aree termali italiane (ad es. nel Veneto ad Abano Terme in provincia di Padova).
Il sovrappieno delle acque dei bagni termali, prima di essere scaricato in mare, era ancora utilizzato per muovere a forza idraulica due macine del mulino, posto in prossimità del lido: «L’Acqua di detti Bagni, alla perfine [sic], pria [sic, forma antica di prima] di gettarsi nella spiaggia vicina, serve per girare due ruote da Molino».
Negli anni successivi, il detto mulino a causa del decremento di portata delle scaturigini termali rimase per lungo tempo abbandonato.
Nel 1823, il naturalista, fisico e regio storiografo, Domenico Scinà (Palermo, 31 Gennaio 1764 – ivi, 13 Luglio 1837) ricorda che a seguito dell’evento sismico del 5 Marzo di quell’anno, non solo le acque termali si arrossarono ma si ebbe un aumento di portata delle sorgenti termali (quasi quadruplicarono) tanto che si era pensato di rimettere in funzione il detto mulino. Ed infatti, lo Scinà nella sua relazione all’Intendente di Palermo, datata al 4 Aprile di detto anno, ebbe a scrivere: «È così chiara, e copiosa l’abbondanza delle acque, che si cerca di ripigliare un molino situato sulla spiaggia, ch’era stato da più anni abbandonato per la scarsezza delle acque, che nello scaricarsi nel mare vi arrivan dai bagni» (cfr. D. Scinà, Rapporto delle osservazioni fatte sulle acque de’ bagni in Termini in seguito del tremuoto del 5 marzo, in “Giornale dell’Intendenza di Palermo”, n. 68, 30 Giugno 1823, Palermo 1823, pp. 44-46). Ma l’incremento fu, in realtà temporaneo, poiché negli anni successivi si constatò un progressivo calo delle portate.
Infine, il Ryolo concluse la sua descrizione rammentando anche una delle manifestazioni termali sottomarine, in un sito antistante al promontorio roccioso della Rocca del Castello di Termini Imerese: «Sotto il sopradetto Castello a ripa di Mare dietro la Pietra caduta, gorgoglia da una Fonte un’Acqua della Natura medesima dell’Acqua de’ Bagni».
Concludendo, a titolo di curiosità, ricordiamo che nella Biblioteca Oliveriana di Pesaro (d’ora in poi BOP) si conserva un inedito manoscritto opera del dottor Giovanni Mei che interviene relativamente ad una precedente controversia di medicina tra due suoi colleghi, il palermitano Vincenzo Ryolo e Niccolò Gionantoni. Si tratta della Replica del Sig. Giovanni Mei Dottore di Filosofia e Medicina condotto nella riguardevole terra di Cartoceto alla prima lettera del Sig. Dottor Vincenzo Ryolo Medico e Filosofo Palermitano responsiva alla Lettera Apologetica del Sig. Dr. Niccolò Gionantoni Medico primario di Pesaro, ms. BOP, sec. XVIII, 24 pp. (cfr. E, Viterbo, a cura di, Inventari dei manoscritti delle biblioteche d’Italia, vol. 48, Pesaro – Biblioteca Oliveriana, Olschki, Firenze 1931, 424 pp., in particolare, p. 203). Ciò dimostra come la figura di questo studioso siciliano del tardo Settecento sia ancora totalmente misconosciuta ed ampiamente da riscoprire, grazie a future indagini e ricerche. La nobile famiglia Ryolo di Palermo, alla quale appartenne il nostro Don Vincenzo, è nota sin dal Cinquecento. Secondo lo storico ed araldista Antonino Mango di Casalgerardo (Palermo, 26 Gennaio 1876 – Milano, 30 Gennaio 1948), nel 1548, Giovan Pietro Riolo, dottore in entrambi i diritti, fu consultore del revisore dei conti del tribunale del Real Patrimonio (cfr. A. Mango di Casalgerardo, Nobiliario di Sicilia. Compilato sui documenti esistenti negli Archivi di stato, notarili e dell’ordine di Malta, e su tutte le fonti ufficiali, 2 voll., Reber, Palermo 1912-1915, II, p. 113).
Agli inizi del Seicento, il medico corleonese Valerio Rosso, ricorda un altro esponente della casata, Don Girolamo Riolo, tra gli otto duellanti della giostra generale della città di Palermo, svoltasi nelle serate del 18 e 19 Febbraio 1601, nella pianura di mare, in presenza delle massime autorità viceregie, municipali etc. (cfr. V. Rosso, Varie cose notabili occorse in Palermo ed in Sicilia, 1587-1601, in G. Di Marzo, a cura di, Diari della città di Palermo dal secolo XVI al XIX pubblicati sui manoscritti della Biblioteca Comunale, vol. I, Pedone Lauriel, Palermo MDCCCLXIX, “Biblioteca Storica e Letteraria di Sicilia”, I, pp. 273-298, in particolare, p. 294).
Patrizia Bova e Antonio Contino
Appendice documentaria
- Ryolo, Discorso Istorico-Analitico Dell’Acque Minerali e Termali di Sicilia, Stamperia Solli, Palermo 1794.
[p. 80] Li detti Bagni […] oggi si chiamano Bagni di Termini, Città situata [p. 81] sopra un’alta Collina, parte della quale che guarda il mare, soprasta [sic, sovrasta] ad una rupe, in cui oggi evvi fabbricato un ben munito Castello. L’Acque calde che servono per l’uso de’ Bagni sudetti [sic], scaturiscono [p. 82] da quella rupe presso la spiaggia della Città ove si scorge un’antico [sic] Edificio colle sue camere destinate al uopo e di bagnarsi, e di sudare. La Stanza destinata al sudore è situata in mezzo alle due Stanze de’ Bagni, e queste Stanze sono tutte fatte con somma maestria a volta. La Stanza destinata al uopo del sudare è lunga palmi 17., larga palmi 9., vi sono dodici buchi, da dove esalano li vapori dell’Acque calde de’ Bagni, ed il Calore, che in detto luogo si osserva, sebbene non sempre uguale, da me fu ritrovato alli 6. Settembre [p. 83] 1787. di gradi 43. al Termometro di Rameur. [sic, Réaumur]
Accanto alla Porta di detta Stanza s’osserva l’ Iscrizione seguente:
SVDORIBVS PRÆSTO SALVTEM
ANN. MDCXLII.
A mano destra vi è il Bagno grande. Questo è largo palmi dieci, lungo palmi trentasei ed il Calore dell’acqua fu rinvenuto allo stesso Termometro di gradi trent’uno.
A man sinistra vi è il Bagno piccolo, largo palmi novi, lungo palmi trenta, ed il Calore della sua acqua non oltrepassava li gradi trentatre [sic] dello stesso Termometro. In questo Bagno dall’arte si sono apprestate due doccie [sic], e vi è situata sopra la doccia a man destra la Statua di S. Calogero.
Pochi passi distante da detti Bagni, ve n’è un’ altro [sic] chiamato Bagno di fuori Questo è destinato per le Donne. E’ lungo palmi ventiquattro, largo palmi vent’uno ed il Calore della sua acqua fu osservato di [p. 84] gradi trentasetti allo stesso Termometro. Sopra detti Bagni vi è un Corridore con sette Camere, ed in fondo di detto Corridore vi è una Cappella dedicata alla Gran Vergine Maria, sotto titolo della Madonna della Stufa. L’Acqua di detti Bagni, alla perfine, pria di gettarsi nella spiaggia vicina, serve per girare due ruote da Molino.[…] [p. 85] Sotto il sopradetto [sic] Castello a ripa di Mare dietro la Pietra caduta, gorgoglia da una Fonte un’Acqua della Natura medesima dell’Acqua de’ Bagni da quelli Abitanti avuta in un cale.