In territorio di Alia, contrada Gurfa esiste in un masso isolato al margine della stradella pedonale lastricata in pietra, molto evidente sul lato sinistro alla fine della salita. Si tratta di una emergenza rocciosa collegata stabilmente al substrato di arenaria compatta, a pochi
passi dall’omonimo complesso rupestre della Gurfa di Alia.
All’interno in epoca sicuramente preistorica sono state ricavate due grotticelle o cavità a forno, molto vicine fra loro.
Viste esternamente (Fig.1) sono molto simili alle numerose altre piccole tombe preistoriche esistenti nelle immediate vicinanze.
L’ipotesi più ovvia e immediata è si tratti di due sepolture preistoriche. In effetti diversi anni fa fu proprio questa l’ipotesi formulata da Giovanni Mannino, ex funzionario tecnico della Soprintendenza di Palermo. Egli riteneva che il diaframma che divideva le due tombe, distrutto dall’erosione, possa essere crollato.
Ho letto tempo fa che invece lo storico aliese Ciro Leone Cardinale, in un suo scritto dei primi del 900, le aveva considerate nel loro insieme come un posto di guardia del casale. Simile interpretazione ha poi dato il prof. Carmelo Montagna, secondo il quale si tratterebbe di postazioni di presidio armato a guardia della via di accesso al complesso protostorico.
Volendo mantenere salva la prima ipotesi di due tombe preistoriche molto usurate dal tempo, si potrebbe quindi pensare ad un loro adattamento successivo.
Siamo però in presenza di due diverse interpretazioni: due tombe, oppure un posto di guardia ricavato forse da una o due ex tombe vicine, appositamente unite fra loro.
Non è raro che possano verificarsi interpretazioni diverse di uno stesso reperto preistorico. Oltre che per una obiettiva difficoltà dovuta alla scarsità di dati e di reperti, ciò può accadere in relazione alla prospettiva scelta per l’esame, in un campo di studio in cui il livello delle certezze resta piuttosto limitato. Il buon senso suggerisce allora di non scartare a priori altre ipotesi, specie se si dimostrano in grado di offrire un minimo di plausibilità e di coerenza con l’orizzonte culturale che si sta studiando.
Ben vengano pertanto eventuali altre prospettive di indagine, se ci permettono di ampliare la gamma delle ipotesi plausibili. Queste possono poi eventualmente essere approfondite ed analizzate con ogni mezzo disponibile. Poco importa che a prima vista possano apparire più o meno opinabili delle precedenti: l’importante è non scartarle in modo pregiudiziale senza prima averle ascoltate.
L’obiettivo principale di questo articolo è proprio quello appena enunciato.
Per esplorare una ulteriore prospettiva di indagine, proverò ad esaminare l’insieme rappresentato dalla coppia di cavità e dal masso roccioso che le ospita come un unico reperto, tenendo però anche conto dell’orientamento geografico.
Saranno analizzati per prima cosa i fatti e gli aspetti concreti e reali, frutto di osservazioni e rilievi verificabili e ripetibili da terzi. Seguiranno alcune ipotesi, formulate basandosi esclusivamente sui fatti e sui riscontri suddetti.
- I fatti
Questa coppia di grotticelle presenta alcune singolarità che meritano di essere approfondite.
Le due pareti di roccia del masso ove si aprono le due grotticelle, quasi verticali, formano fra loro in pianta un angolo di circa 80°. E’ altamente lecito ipotizzare che ciò sia effetto di un adattamento della roccia eseguito manualmente (Fig.2). L’esposizione ultramillenaria agli agenti atmosferici purtroppo ha eroso i segni delle lavorazioni, ed ha fortemente smussato lo spigolo verticale fra le due pareti.
Altra particolarità, non riscontrabile nelle altre numerose tombe della stessa zona, è che le due grotticelle artificiali sono talmente vicine che la tipica forma semiovoidale interna è interrotta, parchè in piccola parte le due cavità si compenetrano reciprocamente.
Le aperture hanno però quote differenti di alcuni decimetri, pertanto questa condivisione parziale dei volumi interni non è facilmente percepibile se non attraverso attenta osservazione in sito ed un rilievo estremamente preciso ed accurato.
Nella documentazione consultata ho rintracciato un solo rilievo grafico. Si tratta di due separati schizzi fatti a mano e non quotati, che contengono ciascuna un segmento con una scala grafica riferita ad un metro lineare, ma non ci sono riferimenti utili ad assemblare correttamente le due figure. Ulteriore complicazione: le due cavità sono rappresentate con due diverse indicazioni di orientamento geografico rispetto al Nord, non parallele. I due schizzi si trovano, insieme a molti altri, in una scheda redatta alcuni anni fa del già citato Giovanni Mannino, e sono firmati da G.Ceresia e G.Surdi.
In effetti, lo sfalsamento di quota delle due cavità rende molto complicata una rappresentazione grafica dell’insieme tridimensionale, a meno di non disporre di mezzi tecnologici, tempo e risorse che di solito non vengono destinati all’analisi di reperti così numerosi e molto simili fra loro.
Aiutandomi con alcune fotografie e qualche schizzo fatto a mano, provo tuttavia a mostrarle nel loro insieme, per valutare se esiste una possibile relazione funzionale che le unisce.
Aggiungo qualche dettaglio alla descrizione, con riferimento anche alla loro approssimativa esposizione rispetto ai punti cardinali.
- Cavità a quota inferiore (a sinistra per chi osserva dalla stradella), aperta verso Sud Ovest, ha un orientamento geografico di circa 240° rispetto al Nord. L’apertura ovale ha dimensioni massime di circa m.1,10 (base) x 1,30 (altezza). La pianta ha una forma ellittica che, a parte l’area condivisa con l’altra, va restringendosi vero l’alto, e un’altezza massima, al centro della pseudo cupoletta, di m.1,40
- Cavità a quota superiore (posta a destra rispetto alla precedente per chi osserva dalla stradella), aperta verso Sud Est, ha un orientamento geografico prossimo ai 120° rispetto al Nord: ha l’ingresso largo circa m.1,05 (base) X m.1,25 (altezza). La cella ha forma semi ovoidale di circa m 1,30×1,40 (rastremante verso l’alto, con la citata anomalia di una mancanza di un tratto di parete nella zona adiacente alla precedente) e l’altezza di circa m 1,55.
Di tutti i dati identificativi sopra riportati, soffermiamo un momento la nostra attenzione sugli orientamenti geografici delle due aperture, perché ci sarà utile nel seguito.
Per orientamento geografico rispetto al Nord (Fig.4), intendo l’angolo rispetto al Nord formato da una linea retta perpendicolare all’apertura che si prolunghi verso l’orizzonte.
Dobbiamo tenere conto che nel contesto in trattazione, tutti gli angoli devono essere misurati solo ed esclusivamente in senso orario, iniziando sempre dal Nord geografico (Nord = 0°).
Per gli eventuali lettori che non hanno molta confidenza con alcune nozioni astronomiche, prima di proseguire ho bisogno di introdurre la definizione di azimut, usato in astronomia e in geodesia. Cerco di farlo in modo semplice e sintetico.
L’azimut di un determinato astro indica un arco di orizzonte compreso tra il nord e la verticale dell’astro stesso, misurati da un ben definito punto di osservazione.
Per illustrare anche graficamente il concetto di azimut, potremmo basarci di nuovo sulla figura precedente, molto semplice. Preferisco però utilizzare direttamente il diagramma solare riferito alla posizione geografica della Gurfa, ottenuto mediante un software informatico specifico.
L’arco di colore rosso chiaro indica il percorso apparente del sole il 21 giugno, quello più in basso di colore azzurro chiaro indica il percorso del 21 dicembre.
Le due sagome di colore rosso a forma di pentagono allungato schematizzano l’orientamento delle due aperture descritto in precedenza.
Il diagramma solare della Gurfa (Fig.5) mostra la relazione che esiste fra l’orientamento geografico delle due aperture sopra descritto, e due precisi valori di azimut (120°/140° e 240°, rispettivamente alba e tramonto del solstizio di dicembre).
L’astro di cui stiamo osservando i valori di azimut è quindi il Sole.
Fin dalle prime applicazioni della scoperta dell’agricoltura, i nostri lontani progenitori compresero il collegamento stretto fra i periodi in cui abbondava la produzione dei semi e dei frutti necessari alla nostra vita e l’andamento ciclico annuale della disponibilità di luce e calore proveniente dal Sole.
Madre Natura (la maiuscola non è casuale, anche se per molti sembra solo un modo di dire giunto fino ai nostri tempi) non aveva nessuna voglia di dispensare i suoi doni quando ci occorrevano o quando ci facevano più comodo. In effetti la Dea Madre (esplicito richiamo ad un culto molto diffuso fra noi Mediterranei, in quei lontani secoli) seguiva solo le sue regole ferree, legate al ciclo solare, talvolta con incidenti di percorso anche molto gravi, talvolta fatali come ad esempio siccità, carestie o inondazioni.
Posso immaginare che, a questo punto, fra i lettori potrebbe esservi qualcuno piuttosto scettico davanti a qualsiasi tipo di interpretazione di reperti rupestri posta in relazione con determinati eventi astronomici.
A questi eventuali lettori chiedo cortesemente di avere la pazienza di arrivare fino in fondo nella lettura, sottolineando che in questo articolo ho tenuto separati i fatti e i riscontri concreti dalle ipotesi. Userò la necessaria prudenza nella formulazione di questi ultimi, ragionando anche sugli eventuali dubbi.
Prima di proseguire, ritengo però opportuno citare un paio di autorevoli considerazioni, utili a stimolare una riflessione in particolare fra gli scettici (compresi fra loro alcuni archeologi), inserendo una dietro l’altra le due citazioni seguenti:
“… L’allineamento astronomico è, infatti, un vero e proprio reperto di cultura materiale che, al pari per esempio delle sepolture, ci apre uno dei pochi spiragli sugli aspetti non materiali di società prive del mezzo della trasmissione scritta: perdere questo reperto equivale a scavare senza metodologie stratigrafiche! Di ciò devono rendersi conto gli archeologi quando rinunciano ad orientare le piante di scavo con metodi astronomici, vanificando così per sempre la possibilità di recuperare potenziali allineamenti nelle strutture indagate.”
(…)
“L’eventuale allineamento astronomico presente in un monumento archeologico è, a tutti gli effetti, un vero e proprio reperto di cultura materiale e come tale va trattato, in quanto “elemento dell’orizzonte culturale che lo ha prodotto”. Anzi, assieme alle sepolture, potrebbe essere una delle finestre che ci permettono di gettare uno sguardo sulla cultura intellettuale delle popolazioni preistoriche e protostoriche.”
[Marco Codebò, rispettivamente nella Appendice e nella presentazione della edizione italiana del libro di Michael Hoskin – Stele e stelle. Orientamento astronomico di tombe e templi preistorici nel Mediterraneo, Aananke, Torino 2006]
Andiamo quindi al nocciolo della questione: dal sito della Gurfa in cui si trova il nostro reperto, le posizioni del sole sull’orizzonte all’alba e al tramonto di una giornata particolare come il solstizio di dicembre, ossia il giorno più corto dell’anno, sono osservabili rispettivamente con un azimut pari a 120° (alba), e 240° (tramonto).
Dalla posizione del masso di arenaria forata che si vede nelle immagini qui inserite, i due eventi astronomici si osservano quindi all’orizzonte nei punti dell’orizzonte suggeriti dalle stesse due rette che indicano l’orientamento geografico delle due grotticelle.
Questo è un fatto. Anzi, siamo in presenza di due fatti, uno per ognuna delle due aperture che sono palesemente di fattura umana, ossia non provengono da erosione naturale.
Potrebbe trattarsi di una coincidenza del tutto casuale.
Considerato che stiamo parlando di determinate posizioni importanti del sole alle albe e ai tramonti dei solstizi, aggiungo un altro fatto, obiettivo e verificabile, di cui per il momento prendiamo solo nota: nello stesso sito, la posizione sull’orizzonte al tramonto del solstizio di giugno (il giorno più lungo) corrisponde ad un azimut di 300° (Fig.5). Come accennavo, questo dato ci tornerà utile più avanti.
Con accettabile approssimazione possiamo dire che, mediamente, alle latitudini del Mediterraneo durante l’anno le posizioni del sole all’alba e al tramonto sono comprese fra questi due limiti insuperabili. Quindi non vedremo mai il sole tramontare più a sud della posizione del solstizio di dicembre (azimut 240°), né mai lo vedremo tramontare più a nord della posizione del solstizio di giugno (azimut 300°).
Il ventaglio angolare delle posizioni al tramonto, compreso fra gli azimut 240° e 300°, vale con buona approssimazione per tutta la Sicilia, a meno di un grado o di qualche decimale in più o in meno, dettagli che sicuramente non interessavano gli umani di quel lontano passato, e quindi non devono preoccupare nemmeno noi. Nelle epoche protostoriche in cui è presumibile che siano state realizzate, o più probabilmente, adattate queste due cavità, il concetto di misura numerica esatta non esisteva. Esistevano però le osservazioni empiriche, e con esse una percezione del collegamento fra la ciclicità delle posizioni del sole con l’andamento ciclico della disponibilità di sementi e di frutti.
Fin da tempi immemorabili, e sicuramente a partire dalla scoperta dell’agricoltura, questi eventi sono stati quindi accompagnati da aspetti mitici, rituali e religiosi, ben noti agli studiosi che hanno profonda conoscenza di queste materie.
Anche questi ultimi aspetti vanno annoverati fra i fatti certi, seppure caratterizzati da un livello di percezione meno diffuso e meno immediato. In effetti, generalmente si tratta di aspetti meno noti a chi non è particolarmente interessato a certe materie.
- Le ipotesi
Nel precedente paragrafo ho raccolto i fatti, ossia alcuni dati e riscontri obiettivi che discendono da osservazioni ripetibili e verificabili da terzi, in qualsiasi momento.
Passiamo ora alle ipotesi, che proverò ad esporre con la forza più o meno convincente dei riscontri disponibili.
Nel reperto in esame, osservando gli orientamenti geografici delle due aperture con un po’ più di precisione (compatibilmente con le irregolarità del reperto e con la precisione del rilievo) essi sembrano indicare i due dati seguenti:
- Circa 242° per il vano orientato a SW: possiamo tranquillamente assumere 240° per le considerazioni di seguito esposte;
- Circa 140° per il vano orientato a SE.
L’apparente difformità rispetto alla precisione astronomica (una nostra moderna fissazione) può essere spiegata con alcune semplici considerazioni.
Per prima cosa occorre dire che per potere osservare in piena luminosità un evento solare significativo come un’alba o un tramonto attraverso un semplice allineamento passante per un foro nella roccia e un secondo ben preciso punto di mira (come nella maggior parte degli indicatori solari preistorici siciliani), oppure, come probabilmente avveniva in questo caso, attraverso una simbologia ottenuta da ombre proiettate sul fondo da piccoli betili o statuette sacre, bisognava che il Sole avesse un minimo di forza luminosa.
Ciò corrisponde ad una piccola altezza sopra l’orizzonte qualche istante dopo la sua levata, o viceversa qualche istante prima del tramonto astronomico vero. Pertanto va sempre esaminato con attenzione il contesto locale, ed ipotizzata la situazione ai tempi della realizzazione e del probabile uso del reperto come uno strumento solare.
La presenza di rilievi montuosi, e di ostacoli in genere, anche vicini, comporta che l’evento veniva osservato quando fisicamente si verificava sul posto.
Possiamo ritenere che la cavità aperta verso Sud Est sia stata creata molto tempo prima come sepoltura, molto simile alle altre presenti nella zona.
Il punto dell’orizzonte con azimut esatto di 120° (alba del 21 dicembre) non è però visibile dal sito in esame, perché si trova dietro il rilievo dove si trova il massiccio roccioso in cui sono stati scavati i grandi ambienti ipogei della Gurfa.
Questo spiega bene il motivo per cui i realizzatori, o più probabilmente coloro che adattarono una preesistente tomba a grotticella, trovarono molto utile conservare la direzione originaria del suo asse, pari a circa 140°. Come i realizzatori del Neolitico, anche loro infatti dovevano utilizzare l’alba visibile sul posto, osservando direttamente il sole alzarsi in modo netto da dietro la collina.
Un evento che in quel luogo preciso si verifica appunto un po’ più tardi, ossia quando il sole ha un azimut di circa 140°.
Posso aggiungere un dettaglio fisico che mi ha colpito: la sezione trasversale delle due cavità non è affatto simile (osservare la parte inferiore della precedente Fig.1). Quella orientata verso i 140°, che possiamo ritenere creata inizialmente come sepoltura, ha una sagoma interna più tipicamente semiovoidale. Invece l’altra cavità, ossia quella orientata a Sud Ovest verso il punto di azimut 240° (tramonto del solstizio di dicembre), ha una sezione verticale un po’ diversa, mentre l’apertura presenta i bordi più regolari tanto da ricordare l’aspetto di una nicchia votiva dedicata a qualche Santo, come le tantissime che esistono nelle Chiese cristiane e anche in alcuni centri storici.
La maggiore regolarità dei bordi può far pensare non è mai esistita una lastra di chiusura. Tutto l’insieme fa ritenere plausibile una realizzazione successiva, direttamente per lo scopo descritto in queste pagine.
Come dicevo, l’orientamento di quest’ultima (circa 242°), sembra presentare una lieve differenza rispetto al dato astronomico esatto (240°). Si può assumere con un buon grado di certezza che quelle antichissime civiltà, non disponendo di strumenti moderni e precisi come ad esempio un teodolite, “non abbia avuto la possibilità tecnica di stabilire una direzione voluta con una precisione inferiore almeno a ±1°, che peraltro è trascurabile anche nella architettura moderna”.[1] Si deve anche tenere presente che, dal punto di vista astronomico, è noto che i punti solstiziali non hanno subìto modifiche apprezzabili da almeno 3000 anni, ossia da oltre trenta secoli i punti estremi sull’orizzonte apparente riferito dalle albe e ai tramonti dei solstizi non sono cambiati.
Per dare supporto alle ipotesi contenute in questo articolo, a questo punto ritengo opportuno richiamare l’esistenza di osservazioni e di studi anche recenti che stanno dimostrando la presenza, in molte zone della Sicilia, di numerosi reperti preistorici con caratteristiche tali da farli ritenere degli indicatori solstiziali, tutti di epoca presumibilmente preistorica.
In tutti i casi di indicatori solstiziali bisogna tenere presente che per qualche giorno a cavallo del solstizio vero e proprio esiste una continuità del fenomeno di allineamento solare, fatto accertato per numerosi monumenti simili di epoca preistorica.
Più che del solstizio, bisogna quindi parlare di giorni solstiziali utili, perché la ripetizione del fenomeno per qualche giorno permetteva di attendere condizioni migliori di visibilità in caso di cielo nuvoloso. E’ forse ovvio e banale, ma forse è opportuno ribadire che per le necessità di quelle epoche, la nostra moderna mania di precisione astronomica non aveva alcun significato.
Il reperto della Gurfa qui analizzato presenta alcune analogie di contesto con altri indicatori solstiziali, che riporto nelle prossime righe.
Della fattura artificiale delle due cavità, indubbiamente realizzate da mano umana, ho già detto. In questo caso l’intervento umano sembra aver interessato la conformazione dell’intero blocco roccioso.
Oltre alla presenza del grande complesso rupestre della Gurfa, la cui datazione complessiva è ancora in fase di dibattito[2], va citata la indiscutibile presenza negli immediati dintorni di reperti preistorici stabili come le numerose tombe a grotticella, ma anche di almeno una tomba un po’ più grande avente forma tholoidale, dotata di precise caratteristiche riconosciute dal Tomasello[3].
Circa la presenza di reperti ceramici e bronzei in zona, in questa sede posso fare solo un cenno reticente senza entrare troppo nei dettagli. Si tratterebbe di almeno un ripostiglio o di una necropoli nelle vicinanze, un po’ più a valle del sito. Rinvenimenti casuale durante lavori agricoli, subito depredati con scavi clandestini, ricoperti in terra e fatti rapidamente scomparire dai proprietari del fondo verso la metà del XX secolo.
Rispetto a molti indicatori solstiziali finora individuati in Sicilia, il reperto della Gurfa oggetto di questo scritto presenta però quella che potrebbe essere una interessante caratteristica strutturale: non si tratta di un unico foro più o meno regolare, scavato con asse orizzontale attraversando una roccia emergente di spessore non molto elevato, ma di una coppia di cavità comunicanti fra loro, con i due assi orientati geograficamente verso due eventi solstiziali notevoli: l’alba e il tramonto del solstizio di dicembre.
Si potrebbe quindi ritenere che almeno una delle due, forse la più alta in quota, ossia la ex tomba, potesse fungere come una sorta di ampio oculare di uno strumento di osservazione.
Come accennato, la mia ipotesi è che la rilevazione delle giornate solstiziali potesse avvenire grazie alla probabile presenza di un idoletto in bronzo o un piccolo betile verticale in pietra fissato a metà della larghezza dell’apertura (Fig.7), oppure di una coppia di idoletti opportunamente allineati su un disco di bronzo simile al famoso disco di Nebra[4], appoggiato sulla base (Fig.8).
Nel periodo che noi moderni indichiamo come prossimo alla fine di dicembre, o di avvicinamento al Natale, l’ombra dell’idoletto si proiettava sul fondo quasi orizzontalmente, e colpiva un secondo idoletto, oppure un riferimento, un piccolo o simbolo dipinto sulla roccia all’interno. Qualunque fosse il sistema di puntamento e allineamento, l’esposizione millenaria alle intemperie e alla incuria delle generazioni successive non ha lasciato tracce percepibili (oltre al fatto che se c’erano alcuni idoletti in bronzo fissati sulla base, vennero certamente asportati in un passato ormai lontano).
L’evento del solstizio, del tutto ovvio, scontato e naturale per noi moderni, ma sicuramente simbolico e sacro per quelle antiche genti, doveva loro apparire come una specie di manifestazione o rivelazione divina che si verificava solo per pochissimi giorni.
In effetti, con una apparecchiatura del genere la possibilità di mira e allineamento delle posizioni del sole al tramonto lungo tutti i mesi dell’anno potrebbe essere stata molto più estesa.
Restando sempre nel campo delle ipotesi, ritengo infatti che esista qualche probabilità che l’osservazione potesse spingersi fino alla precisa osservazione del tramonto del solstizio di giugno, come sembra dimostrare la successiva Fig.7, in cui ho in uno schizzo manuale ho ricostruito la posizione reciproca delle due cavità viste in pianta, ed inserito un sagoma circolare che si ispira al citato “disco di Nebra”.
In tal senso, ho potuto accuratamente verificare che, dalla Gurfa, l’azimut di 300° (tramonto solstizio di giugno) riporta ad un punto cospicuo assolutamente inequivocabile: il fianco destro della rocca più elevata della montagna di Busambra, un profilo inconfondibile che si staglia in modo perfettamente visibile all’orizzonte.
In altri termini, assimilando per un momento il nostro reperto ad un arcaico “sacro” osservatorio solare compatto (a differenza dei molti già rinvenuti, che prevedevano punti di osservazione e di traguardo posti a distanza), non posso escludere che questa particolare conformazione costituisse un indicatore un po’ più raffinato ed avanzato di altri.
In effetti, la conformazione d’insieme si mostra fisicamente compatibile l’ipotesi di uso dell’apparecchiatura come una primitiva forma di meridiana, o calendario solare dei tramonti, disposto sul piano orizzontale costituito dalla base della cavità orientata a 240°.
Il complesso delle ipotesi qui esposte potrebbe forse portare all’idea di una realizzazione avvenuta in un’epoca protostorica un po’ più precisa rispetto ad una generica indicazione preistorica. La mia idea è che sia ascrivibile alla tarda età del bronzo.
Per la limitata apertura dell’angolo che permette la visione dell’orizzonte intorno a Busambra (Fig.8), si può ritenere che all’interno di un simile “dispositivo”, l’evento luminoso al tramonto dei giorni solstiziali di giugno fosse caratterizzato da una eliofania intensa e breve, della durata di alcuni minuti.
- Conclusioni
La maggiore o minore plausibilità delle ipotesi che ho illustrato può essere accompagnata da alcune riflessioni:
- L’ipotesi relativa ad una antica funzione di doppio indicatore del solstizio di dicembre è stata oggetto di una attenta verifica di compatibilità fisica e astronomica;
- Per quanto riguarda la ricerca di una compatibilità culturale e storico antropologica, salvo autorevoli smentite ritengo di poter fare riferimento ad un orizzonte culturale collocabile circa a metà del II millennio a.C., con maggiore probabilità nei riguardi del 13° secolo a.C. Si rimanda comunque ai numerosi studi esistenti e relativi all’importanza dei solstizi in epoca protostorica e storica, e alle connesse ritualità dell’area mediterranea, ben note agli esperti della materia.
Almeno per il momento, in considerazione dell’attuale insufficienza di rilievi in sito più accurati e approfonditi (lacuna che, per quanto mi riguarda, proverò a colmare al più presto) tenderei invece ad assumere un atteggiamento un po’ più prudente e cauto nei confronti dell’ulteriore ipotesi di uso anche come indicatore del tramonto del solstizio estivo (Fig.8, Fig.9, Fig.10).
Non posso nemmeno ignorare l’attuale scarsezza di riscontri di più ampio respiro, come ad esempio attente comparazioni eventuali con reperti più o meno analoghi rinvenuti in altri siti dell’isola. Per gli stessi motivi, al momento terrei sospesa anche l’ultima più complessa ipotesi, ancorché basata sulla osservazione dello stato di fatto del reperto: mi riferisco all’idea di un calendario solare annuale simile ad una rudimentale meridiana solare tracciata sulla base della cavità orientata a 240°.
Lascerei comunque aperte, senza scartarle, entrambe le suddette ipotesi, che attualmente presentano qualche margine di incertezza e di dubbio in più rispetto alla ipotesi di base, ossia quella del doppio indicatore del solstizio invernale. Per bilanciare il peso dei dubbi, bisognerebbe comunque tenere presente che sono noti a Malta templi solari megalitici ben più complessi e molto antichi.
La considerazione dubitativa contenuta nel precedente capoverso va intesa anche come suggerimento utile a stimolare ulteriori studi, rilievi e ricerche. A tal proposito condivido una ulteriore riflessione: la mancanza di visibilità dell’alba del solstizio di giugno (azimut 60°) derivante dalla presenza del rilievo montuoso, porta ad escludere l’ipotesi di uso del reperto in esame anche come indicatore dell’alba del 21 giugno; è quindi possibile ipotizzare che non lontano, probabilmente a quota più elevata, esistesse un altro sistema di allineamenti utile a questo scopo, di cui sarebbe utile cercare eventuali tracce.
In attesa di valutazioni da parte di specialisti, quelle esposte restano solo mie personali ipotesi, connotate dalla maggiore o minore plausibilità su cui mi sono espresso, e su cui si può discutere[5].
Rivendico comunque almeno l’iniziativa di aver voluto provare a esplorare anche un altro campo di indagine, ossia quello del legame fra il ciclo naturale del sole e la vita di quelle antiche popolazioni.
Questa ricerca autonoma e indipendente è a disposizione di chiunque, avendo a cuore il patrimonio storico e culturale della Sicilia, desideri approfondirla, o anche esaminarla criticamente.
Desidero infine ringraziare gli amici aliesi Pinella Drago e Rosario Fatta, autori di alcuni dei più interessanti scatti fotografici inseriti in questo articolo. Il Sig.Fatta, in particolare, per la disponibilità a recarsi sul posto per mio conto derivante dal fatto che di norma risiedo lontano dalla Sicilia, ma soprattutto per le acrobazie affrontate nel mese di gennaio 2023 per realizzare alcuni scatti anche all’interno della coppia di cavità, fra cui quello scelto per la pubblicazione (Fig.10).
Giovanni Ferrara
[1] Vito Francesco Polcaro (1945 – 2018), Ingegnere, astronomo, archeoastronomo, divulgatore. La frase fra virgolette è presa dal libro “Civiltà del sole in Sicilia – Indicatori solstiziali ed equinoziali di presumibile epoca preistorica”, autori F.Maurici, V.F.Polcaro, A.Scuderi, Ed.Kalós, 2019
[2] A mio avviso la datazione dal grande complesso rupestre della Gurfa va diversificata nelle varie parti. Numerosi indizi e vari riscontri fanno in effetti ritenere che si sia trattato di una successione di interventi umani distribuiti lungo un tempo che si può stimare di circa 33/35 secoli.
[3] Le tombe a tholos della Sicilia centro meridionale, di Francesco Tomasello (1997)
[4] Disco di bronzo del diametro di 32 cm. scoperto anni fa nel nord della Germania. Oltre ai simboli del sole, della luna e di una costellazione, era dotato lungo il bordo di un settore in oro di ampiezza di circa 80°, incastonato nel bronzo (80° è la differenza fra gli azimut dei tramonti dei due solstizi alle latitudini di Nebra). Un ipotetico “disco della Gurfa” in bronzo avrebbe invece un settore incastonato pari a circa 60°, ossia la differenza fra 300° e 240°, azimut estremi del “pendolo solstiziale” solare alle latitudini siciliane.
[5] Una prima positiva valutazione mi è stata espressa nel luglio 2023 dal prof. A.Gaspani, astrofisico dell’INAF di Brera ed esperto di archeoastronomia. Dall’esito delle sue verifiche risulta che, entro piccoli margini di approssimazione del tutto tollerabili, i dati astronomici esposti sono corretti, e tutto lo studio, nel suo complesso, è corretto. Ciò comporta un certo grado di plausibilità delle ipotesi qui esposte.
Giovanni Ferrara