Le stagioni della follia: il mese di nascita determina le anomalie nella personalità

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Un detto popolare afferma che chi è nato di marzo avrà con maggiore frequenza rispetto alla norma la tendenza a comportamenti insoliti, o a presentare tratti di personalità anomali. Si tratta di un detto a metà strada tra il serio e il faceto, diffuso in maniera abbastanza ubiquitaria, con diverse accezioni linguistiche dialettali.

Naturalmente, l’origine dell’espressione  è  semplice: marzo ha caratteristiche metereologiche instabili, oscillanti, incerte. Nell’attribuire a chi fosse nato in marzo le stesse caratteristiche del mese di nascita, non si faceva altro che estendere per transitività le caratteristiche atmosferiche a quelle di personalità, con una sorta di trasposizione magica, di sapore palesemente astrologico.

Sebbene si sia portati a credere che si tratti solamente di credenze ingenue, il problema della stagionalità di nascita in relazione alla patologia psichiatrica è stato preso in considerazione con una certa attenzione dalla psichiatria:

“La possibilità – scrivevano nel 1961 Albert Norris e J.R. Chowning – che il momento della nascita possa influenzare il destino dell’individuo è un concetto affascinante che, nella ‘scienza’ dell’astrologia, ha accompagnato l’uomo per migliaia di anni. Mentre l’astrologia nella civiltà Occidentale contemporanea non è più considerata un valida strada per l’indagine scientifica, la ricerca medica negli ultimi 35 anni ha di nuovo reso rispettabile una analoga linea di investigazione: la relazione tra mese di nascita e i vari tipi di malattie e deficienze mentali. Questi studi sono condotti con facilità e con poche eccezioni sembrano confermarsi l’uno l’altro”.

Non si tratta infatti di un filone di ricerca nuovo. Nel 1929 lo psichiatra svizzero M. Tramer, studiò, per primo, la data di nascita di 2100 pazienti ricoverati dal 1876 al 1927 nell’ospedale psichiatrico nel quale egli lavorava. Si trattava di pazienti in massima parte schizofrenici, ma anche affetti da altre gravi malattie neuropsichiatriche, come alcolisti e affetti da paresi generalizzata. Egli confrontò la distribuzione mensile delle loro nascite con quella della popolazione generale della Svizzera dal 1871 al 1880 e dal 1901 al 1910. Riuscì così ad evidenziare che i suoi pazienti sembravano nascere con maggiore frequenza in inverno, nel periodo compreso tra dicembre e marzo e, con minore frequenza, in maggio. Sebbene Tramer non abbia fornito specifiche misure statistiche, una rilettura dei dati fatta da Barry e Barry nel 1961, ha portato ad evidenziare una probabilità minore di 0.001 che i risultati addotti da Tramer fossero casuali, dimostrandone quindi la significatività statistica.

  1. Lang, che condusse nel 1931 una ricerca simile analizzando la distribuzione mensile delle nascite di 3976 pazienti schizofrenici e 1879 pazienti con psicosi maniaco-depressiva ricoverati nella Clinica Psichiatrica dell’Università di Monaco, ottenne risultati abbastanza simili: i pazienti schizofrenici sembravano nascere con frequenza maggiore e statisticamente significativa a gennaio e febbraio. Lang osservò anche che la minore incidenza si aveva nei soggetti nati tra agosto e novembre. Numerosi altri studi hanno confermato sistematicamente questi risultati, con qualche oscillazione per quel che riguarda i mesi nei quali si osservava una maggiore o minore frequenza di nascite dei soggetti schizofrenici. E’ stata studiata anche la correlazione tra stagionalità di nascita, schizofrenia e sindromi nevrotiche, trovando che nel caso della schizofrenia era evidenziabile una maggiore frequenza di nascite dei pazienti nel periodo invernale, mentre per i nevrotici tale relazione era inesistente.

Emisfero australe

Tutti questi studi sono stati compiuti nell’emisfero settentrionale. L’apparente ubiquitarietà del fenomeno della stagionalità di nascita in relazione alla patologia psichiatrica pone però il problema della zona geografica di rilevazione. Nell’emisfero meridionale, infatti, le stagioni si susseguono in maniera diversa che in quello settentrionale, per precisi motivi astronomici. L’inizio dell’inverno, quindi, coincide più o meno con il mese di maggio, e la primavera con quello di ottobre.

Se in realtà esiste un ‘effetto stagionale’ nella distribuzione delle nascite di pazienti psicotici, o affetti da qualunque altra patologia neuropsichiatrica, esso dovrebbe essere confermato senza ombra di dubbio nell’emisfero meridionale, nel quale dovrebbe potersi rilevare una maggiore frequenza nei mesi che, in quella zona geografica, coincidono con l’inverno. Gli studi compiuti nell’emisfero meridionale presentano distribuzioni di frequenze abbastanza differenti da quelle rilevate  nell’emisfero  settentrionale.

Parker e Nelson avevano riportato, nel 1976, in una indagine compiuta nel Nuovo Galles del Sud, dei risultati che, sebbene presentassero un eccesso di nascite invernali per gli schizofrenici, non erano statisticamente significativi. Sempre nel 1976, Krupinsky e i suoi collaboratori avevano trovato invece, in una indagine nello stato australiano di Victoria un eccesso di nascite di pazienti schizofrenici in autunno e in estate – un dato in assoluta contraddizione con la maggioranza degli studi – sebbene anch’esso non statisticamente significativo. Risultati abbastanza simili erano stati anche ottenuti da altri studiosi, come per esempio da Dalèn che nel 1974 aveva utilizzato un campione di schizofrenici sudafricano, con un massimo di nascite che si rilevava in maggio e ottobre. Neanche tale risultato raggiungeva comunque la significatività statistica. Tenendo presente la distribuzione delle stagioni nell’emisfero australe, come si è detto, tali punte equivalevano all’inverno e alla primavera, ma a tale dato si accompagnava una ben maggiore variabilità di risultati tra i pazienti di sesso femminile.

Un ulteriore studio di Jones e Brackenridge (1974) aveva preso in considerazione   la data di nascita di 750 pazienti schizofrenici  e provenienti da un reparto universitario e dall’ospedale cittadino ad esso associato, nello stato di Victoria. Le frequenze di nascita furono confrontate con quelle della popolazione generale dello stato per il periodo 1963-1973. Rilevarono una maggiore frequenza di nascite in inverno (5%) più marcatamente tra soggetti maschi cronici, nati durante e immediatamente dopo la prima guerra Mondiale.

Ancora Jones e D. Frei, del Dipartimento di Psichiatria della University of Melbourne, in Australia, tentarono di apportare ulteriori dati epidemiologici mediante una ricerca con un razionale differente da quello delle ricerche precedenti, il cui uso si rendeva necessario per chiarire la divergenza con i dati dell’emisfero settentrionale che era stata registrata dagli studi antecedenti al loro.

“Sta emergendo una immagine complicata: – scrivono gli autori nel loro rapporto – le scoperte dell’Emisfero Meridionale non corrispondono precisamente alle norme stagionali attese nel settentrionale e sembrano necessarie ulteriori delucidazioni”.

I due autori presero in considerazione anzitutto soltanto dei casi di schizofrenia definiti tali mediante l’utilizzazione di criteri diagnostici molto precisi. Poi ogni caso fu accoppiato in base all’età e al sesso con un controllo vivente. Questi criteri, secondo gli autori dello studio, campioni più significativi, sebbene meno numericamente consistenti di quelli degli studi precedenti. Essi misero così in evidenza una serie di problemi preliminari non presi in considerazione da ricerche precedenti. Negli studi australiani, infatti, ci  si  trovava  di fronte a tutta  una serie di problemi mai evidenziati negli studi compiuti nell’emisfero settentrionale. Anzitutto furono rilevati problemi d’attendibilità nelle statistiche fondate sulla data di nascita. Nello stato di Victoria, infatti, sino al 1963, le registrazioni dei casi venivano effettuate riportando non il mese di nascita, bensì il mese della registrazione della nascita. Allo stesso modo, le statistiche di nascita erano elaborate in accordo con questo stesso criterio. La presumibile differenza tra data di nascita e data di registrazione della nascita poteva, quindi, creare dei problemi di valutazione, essendo sostanzialmente inutilizzabile per corretti fini epidemiologici.

Solo dal 1963 furono disponibili le date reali di nascita, ma anche l’uso di statistiche fondate sul confronto tra date di nascita di soggetti nati dal 1963 in poi, come paragone con la data di nascita di soggetti schizofrenici nati prima di questo periodo sembrava inattendibile. Infatti la frequenza di nascite variava di anno in anno.

Ancora, per gli schizofrenici nati prima del 1963, bisognava considerare l’importante variabile delle due guerre mondiali che poteva in qualche modo avere influenzato i modelli di nascita della loro generazione.

Il confronto grezzo tra frequenze di nascita di schizofrenici viventi e statistiche di nascita non teneva inoltre conto, secondo i due autori, della differente mortalità tra i due gruppi. Infatti spesso le frequenze di nascita di schizofrenici venivano confrontate con quelle di gruppi di popolazione normale, senza tener conto che alcuni di essi potevano essere deceduti prima dell’età adulta. Ne conseguiva che una frequenza di mortalità diversa poteva influenzare le altre differenze statistiche evidenziate.

Un metodo di confronto più potente era allora quella di confrontare schizofrenici con soggetti viventi di età comparabile, esattamente il metodo seguito da Jones e Frei accoppiando ogni schizofrenico vivente con un soggetto di controllo vivente preso dalla popolazione generale.

Nel loro studio selezionarono i pazienti da inserire nel gruppo di schizofrenici in base a criteri diagnostici molto precisi, che implicava anche la verifica delle diagnosi di schizofrenia che apparivano più incerte con una intervista direttamente ai pazienti. Il criterio diagnostico generale fu quello dell’ICD, integrato con una analisi specifica dei sintomi riportati nelle cartelle cliniche.

Vennero esclusi tutti i pazienti che,  prima dell’esordio della schizofrenia   erano   stati  ammalati di altre affezioni (traumi cranici, alcolismo, deficienza mentale, uso di droghe psichedeliche).

Parimenti furono esclusi tutti i pazienti nati fuori dall’Australia. La ricerca, quindi, escluse un consistente numero di pazienti che, come gli autori precisano, sarebbe stato invece incluso, presumibilmente, in altre ricerche epidemiologiche di questo stesso tipo. I criteri di selezione, insomma, furono piuttosto severi, e in  totale  vennero esaminati 915 schizofrenici, 467 maschi e 448 femmine. I soggetti di controllo furono pazienti e parenti di pazienti comuni, di cui furono registrate le date di nascita. Il gruppo di controllo doveva, anche in questo caso, includere solo persone nate in Australia. Ad ogni schizofrenico fu associato un soggetto di controllo uguale per sesso e anno di nascita. In questo modo gruppo in studio e gruppo di controllo furono praticamente identici.

I   risultati   evidenziarono  che  un maggior numero di soggetti schizofrenici erano nati in inverno e in primavera, sebbene tale dato non fosse altamente significativo. I risultati invece apparivano decisamente significativi se la valutazione veniva fatta separatamente per i due sessi. Si trovò infatti che mentre le donne non mostravano un particolare eccesso di nascite invernali, per i maschi tale eccesso era dimostrabile. Inoltre l’eccesso di maschi schizofrenici nati in inverno si concentrava particolarmente tra quelli nati nel periodo 1915-1924, in otto anni sui dieci della decade presa in considerazione. Il dato generale quindi si accordava con quelli rilevati nell’emisfero settentrionale.

L’eccesso di nascite invernale nel periodo 1915-24, venne messo in relazione dagli autori con tre epidemie che colpirono l’Australia in quel periodo: la grande pandemia influenzale del 1918-19, la malattia di Von Economo, rilevata per la prima volta nel 1917 nel continente australiano, e presentatesi ad ondate sino al 1926, e l’encefalite della Murray Valley. In particolar modo la malattia di Von Economo, poichè durò per un periodo di tempo più lungo, fu quella che venne presa maggiormente in considerazione dagli autori per spiegare i risultati.

In  accordo  con altri studi essi presero in considerazione l’ipotesi che i bambini potenzialmente schizofrenici siano più resistenti a tutta una serie di stress, comprese le malattie invettive. In periodo epidemico tale resistenza si evidenzierebbe con un maggiore tasso di sopravvivenza dei bambini potenzialmente schizofrenici rispetto ai non schizofrenici, e questa differente distribuzione verrebbe rilevata nel confrontare campioni di schizofrenici e campioni di popolazione normale nati nello stesso periodo. Gli autori concludono la loro ricerca sostenendo che l’ipotesi di una aumentata resistenza alle infezioni è attendibile, ma richiede ulteriori ricerche.

Sta   di  fatto che, comunque, la nascita nei mesi invernali è considerata fattore di rischio per la schizofrenia. In un articolo pubblicato sulla Epidemiologic Review, nel 1985, William W. Eaton scrisse che “c’è un eccesso ampio e statisticamente significativo di nascite invernali per gli schizofrenici”.

In effetti, tale associazione è anche prospettabile non solo per l’inverno, ma anche per la primavera, sebbene con variazioni più o meno significative per quel che riguarda i mesi che registrano i maggiori addensamenti di casi.

In realtà il dato che mette in relazione l’insorgenza di  schizofrenia e la stagione di nascita appare non facile da comprendere. Non sembra esistere relazione con soggiorni prolungati nelle istituzioni psichiatriche, con il sesso dei pazienti, con l’età di insorgenza, con l’ordine di nascita, con il sottotipo clinico, con storie familiari di schizofrenia. L’unico dato generico è che sembra esistere una diatesi da stress, nel senso che alcuni ignoti fattori ambientali, tra i quali potrebbero essere annoverate delle infezioni virali, se in combinazione con una presumibile vulnerabilità genetica, potrebbero contribuire ad aumentare il rischio di ammalare di schizofrenia. Sta di fatto, comunque, che i dati generali dimostrano che esiste una correlazione diretta tra la nascita nei mesi invernali e/o primaverili e una maggiore incidenza di schizofrenia, indipendentemente da altre correlazioni. Perché schizofrenici e più in generale, anche se con minore regolarità, gli psicotici sembrano nascere preferibilmente in inverno o in primavera? Sicuramente non per motivi connessi al tema zodiacale di nascita.

Per spiegare i dati epidemiologici rilevati, sono state suggerite diverse ipotesi. Anzitutto quella più economica riguardante gli effetti particolarmente dannosi che avrebbero alcune stagioni se coincidono con un periodo particolarmente critico dello sviluppo infantile o perinatale. Secondo tale ipotesi, è da tenere in considerazione il momento della procreazione come periodo critico. I nati in inverno vengono procreati in primavera, ma la primavera è una stagione meteorologicamente instabile, e quindi il feto concepito in questa stagione sarà sottoposto ad una stimolazione ambientale eccessiva, affaticante che lo potrà predisporre all’insorgenza della schizofrenia.

D’altra  parte,  diversi  altri  quadri patologici, sia di tipo neuropsichiatrico che non, sembrano essere in qualche relazione con la stagione di nascita dei soggetti che ne sono affetti. L’anencefalia fu rilevata più frequente in bambini nati nel terzo trimestre dell’anno, e meno frequente in quelli nati nel secondo trimestre, e lo stesso andamento è stato rilevato per l’osteoporosi congenita del cranio.

Ritardo mentale e stagionalità

Nel 1958, Hilda Knobloch, una pediatra dell’Ohio State University of Medicine, e Benjamin Pasamanick, psichiatra nella medesima università. pubblicarono  i risultati delle loro ricerche sulle variazioni stagionali nella nascita di bambini con ritardo mentale. Studiando l’ammissione di bambini ritardati mentali a una scuola statale, essi trovarono che il ritardo mentale sembrava essere collegato con la stagione di nascita. Un numero significativo di essi era infatti nato nei mesi invernali, gennaio, febbraio e marzo.  Valutando il trimestre di nascita – anzichè la frequenza mensile – i loro dati mostravano dei modelli estremamente simili a quelli dilevati per gli schizofrenici. Gli   autori  spiegarono  il dato evidenziato come conseguenza di carenze dietetiche nel periodo della gravidanza, specialmente  durante il primo trimestre:

“Poichè il terzo mese dopo il concepimento – scrivono gli autori – è noto per essere il periodo della gravidanza in cui la corteccia cerebrale del nascituro si sta organizzando, ogni donno che intervenga in quel periodo può influenzare il funzionamento cerebrale. I mesi nei quali ciò può avvenire sarebbero giugno, luglio e agosto, i mesi estivi più caldi, quando le donne incinte possono diminuire il loro apporto di cibo, particolarmente proteine, a livelli pericolosamente bassi e conseguentemente danneggiare i loro bambini che si stanno sviluppando. Se ciò avvenisse, ci si potrebbe aspettare che le estati più calde dovrebbero risultare in una nascita significativamente maggiore di deficenti mentali rispetto a quelli che seguono ad una estate più fresca. Questo fu esattamente ciò che fu trovato a un livello altamente significativo”.

Gli autori rimarcarono l’importanza di queste rilevazioni per l’igiene pubblica, focalizzando l’attenzione della medicina sociale su diete adeguate che potessero favorire un adeguato apporto di sostanze che potessero prevenire i danni cerebrali, specialmente proteiche, in particolar modo nelle classi socio-economiche più basse. Una certa attenzione fu anche indirizzata verso il problema di una maggiore incidenza estiva di encefaliti, che potessero essere almeno in parte causa del fenomeno rilevato, sebbene di questo dato non esistesse alcuna dimostrazione.

Il problema della stagionalità di nascita in relazione a deficit neurologici è stato affrontato da numerosi studi epidemiologici. Janerich e Jacobson, nel 1977, hanno evidenziato l’esistenza di una tendenza a un modello stagionale nella nascita di bambini affetti da sindrome di Down che hanno correlato a variazioni endocrine nell’organismo materno. Sono state anche descritte malformazioni congenite sembrano avere andamento stagionale, oltre alla relazione tra la nascita di bambini con malformazioni congenite e le alterazioni cicliche nel ciclo mestruale delle madri all’epoca della gravidanza.

Mancinismo e stagionalità

In genere gli autori delle ricerche hanno spiegato i dati, in questi casi, ipotizzando una azione patogena dell’esposizione a temperature particolarmente rigide, o ad agenti infettivi delle madri, con ripercussioni sullo sviluppo cerebrale del bambino.

Di particolare interesse sembra, in questo contesto, uno   studio sulla stagionalità di nascita dei bambini mancini. Due ricercatori, Alan Leviton e Ted Kilty, rispettivamente del Dipartimento di Neurologia del  Children’s Hospital Medical Center della Harvard Medical School e del Department of Teacher Education della Western Michigan University, negli Stati Uniti, hanno evidenziato che le ragazze affette da mancinismo sembrano essere nate, in maggior parte, nel mese di novembre. I ragazzi mancini, invece, non sembrano  mostrare una particolare stagionalità di nascita.

Gli autori  della ricerca ritengono che i dati da loro ottenuti siano compatibili con l’ipotesi che la stagione invernale possa produrre degli effetti sul nascituro, sia per l’abbassamento della temperatura, con effetti ambientali ancora non esattamente valutabili, sia per la maggiore esposizione ad eventuali agenti infettivi. Non sono comunque riusciti a trovare una spiegazione al fatto che solo le ragazze mancine siano nate in inverno, mentre i ragazzi non sembrano mostrare particolari ‘preferenze’ stagionali. Attribuiscono questa stranezza alla ad una particolare suscettibilità delle ragazze ai fattori ambientali, o al contrario ad una particolare suscettibilità   dei bambini di sesso maschile, che quindi sarebbero  talmente sensibili ai fattori ambientali da presentare handicap talmente gravi da non poter essere ammessi nelle normali istituzioni e quindi sfuggire al campione.

Un’altra  ipotesi è che esistano delle differenze nella simmetria cerebrale tra ragazzi e ragazze  tali  da condizionare  l’insorgenza  o meno del fenomeno del mancinismo.

D’altra parte risulta abbastanza strano che le influenze ambientali comportino l’instaurarsi del mancinismo, che non è tutto sommato una condizione patologica: e perché non il destrismo, allora? L’ipotesi degli autori è che il cervello sinistro sia più sensibile al danno provocato dai fattori ambientali o che comunque il mancinismo sia più apparente e quindi più rilevabile rispetto al ‘destrismo’ patologico, nei campioni di soggetti studiati.

Per quanto non specifici della schizofrenia, questi dati forniscono un modello interpretativo  che  potrebbe  essere  preso  in considerazione per una spiegazione del fenomeno della stagionalità in campo psichiatrico.

Se le carenze alimentari, e in special modo proteiche  avrebbero   una  particolare importanza nelle prime settimane dello sviluppo endouterino, nelle ultime settimane di gestazione potrebbe   essere implicata una carenza   consistente di  vitamina  C, come ripetutamente sostenuto negli anni ’50 da de Sauvage Nolting. Questi sosteneva  che  le  stagioni particolarmente sfavorevoli da un punto di vista climatico, quale appunto l’inverno,  potevano coincidere con fasi di sviluppo fetale  e neonatale. Tali fasi, secondo lo psichiatra olandese, potevano essere identificate in un arco di tempo di alcune settimane prima e dopo la nascita, un periodo particolarmente critico per il normale sviluppo della corteccia cerebrale. Una quantità normale di vitamina C poteva essere ritenuta particolarmente necessaria perché lo sviluppo avvenisse secondo modalità fisiologiche. In inverno si è maggiormente esposti ad una carenza di vitamina C, per la relativa carenza di frutta fresca. Ne conseguirebbe che le persone nate in inverno sono maggiormente esposte alla schizofrenia, in quanto maggiormente a rischio – per condizioni ambientali climatiche – di tale carenza vitaminica.

Nel tentativo di chiarire meglio tale dinamica, de Sauvage Nolting studiò anche la frequenza di nascita dei deficienti mentali sia in Olanda che in Inghilterra. Egli rilevò che la massima quantità di nascita di soggetti con tale affezione si aveva in giugno e luglio. Ne concluse che anche in questo caso poteva essere implicata una carenza di vitamina C, anche se in periodi di sviluppo diversi: se la carenza vitaminica si verificava nell’ultimo trimestre di gravidanza, la conseguenza clinica sarebbe consistita nella deficienza mentale. Se tale carenza si presentava nel periodo intorno alla nascita aumentava il rischio di ammalare di schizofrenia.

Sono state suggerite anche numerose altre ipotesi: l’azione patogena di emorragie cerebrali neonatali, dovuta alla mancanza di vitamina K, per esempio, o quella di traumi perinatali, o di infezioni virali.

Quest’ultima ipotesi si fonda sull’evidenza di una maggiore prevalenza di infezioni virali nei mesi invernali e all’inizio della stagione primaverile. Se questo è un dato che riguarda tutta la popolazione, è stato anche suggerito che quando esso sia connesso ad una particolare costituzione genetica individuale, possa condizionare l’insorgenza di schizofrenia.

D’altra parte, è nota l’esistenza di un nesso tra infezioni virali contratte dalla madre durante la gravidanza e malformazioni – per esempio danni al sistema nervoso centrale – nella prole. Alcuni ricercatori hanno evidenziato questa relazione per esempio per quanto riguarda l’influenza contratta in gravidanza, o per le conseguenze dell’influenza ‘asiatica’.

Inoltre, già nei primi anni ’60, Sobel aveva documentato la maggiore frequenza di malformazioni, oltre che di mortalità infantile, nella prole di donne schizofreniche. Uno studio successivo della prole di donne ammalate di schizofrenia aveva confermato questo dato, conferendo indirettamente una maggiore attendibilità all’ipotesi di una qualche relazione tra infezioni virali e schizofrenia, mediata da una specifica vulnerabilità genetica. Globalmente, i dati inducono a pensare che la massima frequenza di nascita in soggetti ad alto rischio genetico di schizofrenia, si avrebbe nell’ultimo periodo della primavera, mentre nei soggetti a basso rischio genetico intorno ad ottobre.

La valutazione di questi dati non può prescindere da una attenta analisi della eventuale rilevanza di danni organici – per esempio malformazioni ostetriche – nella storia di soggetti schizofrenici, ma i dati sono imprecisi. E’  stata   anche   presa   in    considerazione,   come  abbiamo precedentemente   osservato,   la possibilità che la stagionalità di nascita così palese nei soggetti schizofrenici sia il prodotto di una selezione, nel senso che essendo tali soggetti più resistenti dei bambini per così dire ‘normali’ sopravviverebbero in maggior numero – pur nascendo con frequenza normalmente distribuita nei vari mesi dell’anno. In  realtà,  comunque, nessuna di queste ipotesi risce effettivamente a spiegare la particolare stagionalità delle nascite degli schizofrenici.

A    questo  gruppo di ipotesi che potremmo definire ‘ambientali-carenziali’, si associa quello delle ipotesi ‘socio-psicologiche’. Tra di esse quella che ha avuto forse la maggiore risonanza è l’ipotesi della differente distribuzione stagionale delle procreazioni.

In base ad essa, i soggetti emotivamente instabili e psicologicamente labili, infatti, sembrerebbero avere una particolare tendenza ad un aumento della loro attività sessuale, e quindi riproduttiva, in primavera. Questo implicherebbe una qualche forma di selezione: in inverno nascerebbero, insomma, più neonati potenzialmente schizofrenici, perchè in primavera i soggetti schizofrenici sono maggiormente predisposti a procreare. In realtà non è un problema di così semplice soluzione: infatti se questo è vero, è anche vero che i soggetti con particolare labilità psicologica, sono anche quelli che tendono maggiormente a produrre una disgregazione del nucleo familiare, ed è noto che la disgregazione precoce del nucleo familiare è un fattore di rischio per la schizofrenia. I bambini che da adulti diverranno schizofrenici, quindi, lo diventano perché sono stati concepiti  in primavera da genitori psicologicamente labili, o perché i loro genitori, psicologicamente labili, hanno prodotto una patogena disgregazione del nucleo familiare quando il soggetto che successivamente sarebbe diventato schizofrenico era ancora in un delicato periodo del proprio sviluppo psicologico? A questa domanda non è ancora stato possibile dare una risposta attendibile.

Lo  stesso  può dirsi per tutte quelle ipotesi che hanno preso in considerazione l’influenza di altri fattori sociali, soprattutto il basso livello sociale riscontrato negli schizofrenici che favorirebbe un più alto tasso di procreazione in primavera, un maggior numero di nascite in inverno e quindi un più alto rischio di disagi sia per la madre che per il feto che potrebbero condurre all’insorgenza di una schizofrenia.

Hare  e  Price   hanno  avanzato per spiegare i loro dati epidemiologici due ipotesi appartenenti ad entrambi questi quadri di riferimento: una carenza di proteine nella dieta delle madri durante i mesi estivi, insieme ad una carenza di vitamina C, o la più frequente esposizione a malattie infettive che causerebbe un danno costituzionale, il quale aumenterebbe la penetranza di un gene schizofrenico.  Nel contempo essi considerano  la  possibilità  che i genitori non sappiano programmare la procreazione dei figli, facendo coincidere la nascita del neonato in mesi sfavorevoli come quelli invernali. La maggiore frequenza di schizofrenici nati in inverno sarebbe quindi un epifenomeno, mentre il dato epidemiologico sarebbe l’ereditarietà di una forma di instabilità psichica.

L’argomento della stagionalità di nascita come fattore di rischio per la schizofrenia presenta due aspetti intriganti: il primo è che in realtà quasi tutti i dati sembrano convergere verso l’evidenza di una qualche forma di relazione tra stagionalità e rischio di ammalare di schizofrenia; la seconda è che di questo dato non esiste alcuna spiegazione certa, sebbene di tentativi di interpretazione ne siano stati fatti molti.

Due ordini di fattori vanno sicuramente indagati: quelli relazionali e quelli psicobiologici. Per quanto riguarda i primi, non v’è dubbio che la nascita nei mesi invernali possa condizionare la relazione tra ambiente esterno e neonato, in maniera più marcata che nelle stagioni più ‘miti’. In inverno è osservabile, per esempio, un aumento dei bisogni, in termini biologici di cure, calore, alimentazione, e quindi della dipendenza del neonato dalla figura materna. A questo aumento dei bisogni ‘orali’ del neonato può rispondere con maggiore frequenza di quanto accada in altre stagioni l’assenza di una figura materna protettiva. Si intende dire che poiché i bisogni aumentano, aumenta anche la possibilità che la figura materna sia assente. Questo può avere un peso nel determinare una fissazione allo stadio orale, o costituire una premessa per una regressione successiva alla fase orale, che è, dal punto di vista psicoanalitico, una condizione indispensabile per lo sviluppo di una psicosi, in particolare di una schizofrenia. Nel contempo la nascita in una stagione severa, come quella invernale, potrebbe rendere più frequenti le frustrazioni e le privazioni, e quindi favorire lo sviluppo di tratti di personalità abnormi che potrebbero rendere in nati in inverno più suscettibili allo sviluppo di una psicosi.

Insomma, solo ipotesi, che inducono un testo fondamentale della psichiatria alla seguente affermazione:

“Nessuna di queste ipotesi appare sostenuta da validi dati empirici. Il fenomeno della maggiore natalità degli schizofrenici nei mesi invernali, pur mantenendo il suo significato di fattore di rischio, resta allo stato attuale del tutto inspiegabile”.

Giovanni Iannunzzo