La Sicilia non ha lesinato grandi artisti ed espressioni di eccellenza nella sua millenaria storia. Anche le civiltà d’importazione hanno conosciuto pagine straordinarie nell’isola. E Palermo, nella veste di capitale e poi di capoluogo, non ha sfatato, fino all’alba dello scorso secolo, la tradizione che l’ha voluta città “felicissima”. Così persino fra le due guerre, la città capitale del regno Normanno, amata da Federico II, fucina di artisti come Antonello Gagini, Pietro Novelli e Giacomo Serpotta, riesce a produrre e portare ai massimi livelli una corrente di gusto già fiorita nell’ultimo decennio dell’800 un po’ in tutta Europa.
La mostra proposta dalla Fondazione Sant’Elia e allestita presso il Palazzo omonimo (già Celestri di Santa Croce ma passato al ramo parentale dei Trigona e Gravina di Sant’Elia poco prima del 1870) è in effetti suddivisa in quattro periodi che vedono gli esordi, quindi l’affermazione, anche in chiave produttiva e d’impresa, e infine il declino del movimento culturale che ha caratterizzato l’ingresso della Sicilia e di Palermo nel paese ancora eterogeneo ma aspirante alla definizione di moderno all’indomani della proclamata unità nazionale.
La mostra raccoglie una significativa e vasta selezione di materiali in grado di fare cogliere all’istante la portata dell’adesione del modernismo isolano alla tendenza prospettata dall’opera di Horta, Klimt, Mucha,Toulouse-Lautrec, Gaudi.
La scuola Siciliana, capeggiata da Ernesto Basile, crea in effetti un proprio profilo originale che non manca di favorire la trasformazione dell’abitare e del vivere in genere, di pari passo col mutare del costume e del peso delle componenti sociali.
Stile della classe media per eccellenza il Liberty guadagnerà anche l’attenzione dell’aristocrazia, ormai sempre più intrisa di valori borghesi, lasciando un’impronta indelebile sul volto della città lanciata verso la prima vera espansione al di là degli antichi confini. Al tempo stesso il nuovo stile riuscirà ad introdurre il proprio linguaggio fortemente simbolico anche nella sfera popolare e delle attività artigianali e tradizionali in genere, come ben mostrato dall’esperienza immersiva dedicata al celebre pannello del panificio Morello.
Vecchia e nuova mondanità si mescolano, l’abitudine al passeggio in strada e non più solo in carrozza fa la propria comparsa, portando con sé esigenze di abbigliamento specifico, accanto alle mises da cerimonia, e alle toilettes da grande soirée; di pari passo le sartorie estere, parigine in primis, preferite dalla nobiltà, lasciano terreno alle produzioni locali, ben rappresentate e ricordate nelle sale dedicate alla moda.
Eccezionale e interessante la sezione che consacra i grandi nomi dell’oreficeria e della gioielleria palermitane.
La parte del leone è comunque certamente giocata dall’estensiva documentazione architettonica e di design, costituita da decine di schizzi, tavole, studi, chine, acquerelli e lastre fotografiche dei più importanti progettisti del liberty a Palermo e nei dintorni. Non mancano i dipinti che sin dalla prima sala introducono ai luoghi, quegli stessi che vedranno la fioritura di edifici pubblici e privati il cui indiscusso valore non varrà a salvarli dalla mattanza.
L’ultimo piano, oltre a celebrare l’impresa Ducrot e la Targa, con filmati e oggetti, si concentra sul sacco edilizio e sulla tragica pagina urbanistica degli anni 60 attraverso un documentario asciutto e significativamente ‘muto’, ma non per questo meno struggente, che mostra il passaggio dai villini e dalle palazzine ai condomini di cui l’episodio più rappresentativo resta quello di villa Deliella nella contrada delle Croci e della sconsolata voragine che appare la mattina seguente la demolizione.
Sembra proprio che Palermo abbia infine deciso di aprire definitivamente le vecchie ferite per recuperare quantomeno la paternità di un figlio abbandonato al proprio destino. Il liberty inghiottito quasi interamente dalla folle propaganda del “facciamola ancora più bella” sembra aver trovato infine il proprio posto nella memoria e nella consapevolezza. Un po’ troppo tardi, ma meglio che mai.
La mostra sarà visitabile fino al 30 maggio 2024 dal martedì al domenica. Informazioni sul sito fondazionesantelia.it e sulle pagine fb e Instagram. Acquisto on line disponibile su vivaticket.com
Barbara De Gaetani